Francoforte ha aumentato di 5,5 miliardi gli acquisti dei nostri titoli. Una barriera che protegge i Btp in modo totalmente discrezionale. E che può essere tolta in ogni momento, come all’epoca del Conte uno.
Francoforte ha aumentato di 5,5 miliardi gli acquisti dei nostri titoli. Una barriera che protegge i Btp in modo totalmente discrezionale. E che può essere tolta in ogni momento, come all’epoca del Conte uno.Da martedì pomeriggio sappiamo una cosa in più e continuiamo a non sapere molte altre cose. La cosa che sappiamo è che a ottobre la Bce ha alzato un’eccezionale barriera protettiva a favore dei Btp e, in ultima istanza, del neonato governo di Giorgia Meloni. Poi ci sono le (tante) cose che non sappiamo: con quale metodo si muove la Bce e, soprattutto, quali contropartite ha fornito la Meloni. Poi ci sarebbero le cose che non sappiamo di non sapere - citando l’ex segretario alla Difesa Usa, Donald Rumsfeld - per le quali non c’è rimedio.Il fatto certo - la cui esistenza era già ipotizzabile osservando l’andamento dello spread e di tutta la curva dei rendimenti dei nostri Btp nel mese di ottobre - è che la Bce al 31 ottobre ha aumentato di 5,5 miliardi le consistenze di titoli italiani detenuti nell’ambito del programma di acquisti Pspp. Anche la Germania ha beneficiato di acquisti aggiuntivi per 3,2 miliardi. Mentre Spagna e Francia hanno visto minori acquisti per 3,6 e 5,6 miliardi rispettivamente. Ciò deve necessariamente accadere perché, nel complesso, i titoli della Bce non possono aumentare. Questo programma è partito nel 2015 sotto la presidenza di Mario Draghi e - con qualche interruzione - è proseguito fino al giugno scorso. Da allora la Bce si limita al reinvestimento dei proventi dei titoli che giungono progressivamente a scadenza, attività che dovrebbe durare «per un prolungato periodo dopo il rialzo dei tassi». Non conosciamo le variazioni - pubblicate solo bimestralmente - relative al programma «pandemico» Pepp, ma abbiamo evidenze che depongono a favore di reinvestimenti superiori ai rimborsi.È ovvio che, ogni mese, il flusso dei rimborsi e dei reinvestimenti non può coincidere al centesimo e quindi può essere lievemente disallineato generando aumenti o diminuzione delle consistenze nette di titoli italiani o di altri Paesi in portafoglio alla Bce.Ma qui siamo in presenza di variazioni macroscopiche che sono il risultato di una ben precisa volontà di sostegno del mercato dei titoli italiani. È altrettanto ovvio che su periodi più lunghi tali deviazioni devono rientrare, perché la Bce deve rispettare una ben precisa proporzione tra i diversi Stati membri che corrisponde alle quote di partecipazione al capitale della banca (per l’Italia il 17%). Ma è un fatto innegabile che nei mesi in cui la Bce si sbilancia, in un senso o nell’altro, indirizza inequivocabilmente gli altri investitori. A prescindere dai volumi dei maggiori acquisti o rimborsi. Nessun investitore scommette contro la Bce, ma la segue.È altrettanto oggettivo che dal 2015, gli unici mesi in cui negli uffici dell’Eurotower qualcuno ha sollevato le mani dalla tastiera sono stati quelli di ottobre-novembre 2018 (in occasione del famoso deficit/Pil al 2,04% del governo Conte uno) e della primavera 2019 (quando la Lega mieteva consensi alle europee). Da ultimo, una deviazione negativa molto consistente si è verificata proprio ad agosto e settembre, quando in piena campagna elettorale, ogni giorno i media internazionali, sapientemente imbeccati da fonti italiane, gridavano al pericolo del ritorno dell’estrema destra incline alle scontro con le istituzioni europee. In quel bimestre i minori acquisti sono stati pari a complessivi 8,2 miliardi. Un segnale troppo grande per essere l’effetto di una coincidenza e, non a caso, lo spread nelle ultime settimane di settembre è arrivato intorno a 250 punti base.Poi è accaduto qualcosa che possiamo solo ipotizzare. Nel triangolo Bruxelles-Berlino-Francoforte dovrebbero aver capito che danneggiare l’Italia non è nell’interesse di nessuno. La Meloni potrebbe aver fornito sufficienti rassicurazioni circa la volontà di non alimentare alcuno scontro, a patto di non vedere l’Italia regolarmente umiliata su tutti i dossier, come è purtroppo accaduto in dieci degli ultimi undici anni in cui il Pd è stato al governo. Segno tangibile di questo «appeasement» è il livello di deficit/Pil per il 2023 pari al 4,5%, al centro del corridoio di discesa già tratteggiato dal governo Draghi, ma che sfrutta tutto lo spazio disponibile da parte della Commissione, senza innescare alcuno scontro.Insomma, è ragionevole ipotizzare che ci sia stato un «do ut des». Che è già un buon risultato, considerato che in passato abbiamo spesso ricevuto pacche sulla spalla e promesse mai mantenute.Tutto bene, dunque? Niente affatto. Il metodo è tossico. Dimentichiamo che, in questa particolare congiuntura, l’Italia abbia beneficiato dell’azione della Bce e il governo Conte uno, per non parlare del governo Berlusconi nel 2011, sia stato invece «dato in pasto» ai mercati.Ciò che deve spaventare e mettere in allerta è il fatto che tutto ciò avvenga nella più totale mancanza di trasparenza e trionfo di discrezionalità. E, come se non bastasse, ciò avviene a opera di un’istituzione non politicamente responsabile e priva di legittimazione democratica diretta.Tale discrezionalità non è affatto tenuta nascosta. Negli ultimi comunicati la Bce ha detto chiaramente che prevede di effettuare deviazioni nei riacquisti, sulla base di valutazioni circa la «meritevolezza» dei fondamentali economici dello Stato membro.Considerato che negli ultimi sette anni, Francoforte ha comprato anche ben più delle emissioni nette del Tesoro, dominando il mercato, Christine Lagarde e il suo comitato esecutivo si sono di fatto autoattribuiti il potere di emettere una sentenza inappellabile sulla politica economica dell’Italia, orientando anche i mercati.Timeo danaos et dona ferentes, si legge nell’Eneide. Allo stesso modo dobbiamo temere i «doni» della Bce, soprattutto quando non sono regali ma semplici contropartite.
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Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.