2025-10-06
«Per vendere il vino bisogna fare cultura. I dazi? Sono Bce e Ue»
Sandro Boscaini, mister Amarone di Masi Agricola: «I problemi più gravosi sono svalutazione del dollaro e tassi. La vendemmia? È andata bene».Girovagando per Verona, si sosta al balcone di Giulietta, s’ammira l’Arena; i più audaci scalano la torre dei Lamberti, i curiosi sfiorano Castelvecchio. Raramente qualcuno contempla San Zeno: austera nel rigore romanico, preziosa nella pala del Mantegna, identitaria nel racconto dei mesi. Racchiude l’anima di questi luoghi; l’enorme rosone che scandisce la faccia è la ruota della fortuna che ammonisce con un’iscrizione latina: Io, la Fortuna, governo da sola i mortali. Innalzo, depongo, dono il bene o il male a tutti.Viene da pensarci affacciandosi a un altro immenso occhio che scruta e dischiude l’anima del vino. Sta nel centro del nuovissimo polo Masi: una cattedrale dell’Amarone dove, però, paesaggio, vino, idee dialogano attorno all’«Agorà» che è la piazza dell’incontro da cui il vino osserva e accoglie chi arriva a conoscerlo. Un’architettura innovativa che nasce da un’anima antica: la consapevolezza che tutto ruota - come la fortuna - attorno al Creato e che il vino nella sua circolarità è manifestazione del dinamismo universale. Lo ha voluto Sandro Boscaini. Lo chiamano mister Amarone, ma è infinitamente di più. Presidente della Masi agricola, una famiglia la sua che ha oltre 250 vendemmie dietro le spalle, una sessantina sono le sue, è stato presidente di Federvini ma, prima di tutto, è un testimone del tempo «agostiniano» nella necessità di passato, presente e futuro messi in continua relazione. Uomo di vino e di economia, di vigna e di libri, è stato il primo a comprendere ed esaltare la trinità del fare vino: agricoltura, trasformazione, commercio. Prima di altri ha compreso che se il padre del vino è l’uomo, la generatrice è la terra: va tutelata; dei territori bisogna narrare e ai territori bisogna guardare.Magari guardando da qui, da Monteleone21? La San Zeno dell’Amarone. «Mi piace pensare che questo sia una sorta di scrigno, dove custodire e far scaturire l’anima del vino. Questo occhio, questo cerchio di luce, nasce da un’idea dell’architetto Libero Cecchini. Venne con me su questa collina di Monteleone e cominciò a disegnare sul suo taccuino. Aveva quasi novant’anni, ma pareva un bambino che giocava con la luce e le prospettive. Avevo in mente di fare una sorta di balcone che guardasse alla cantina, a come si fa il vino. Lui rovesciò il punto di vista. Mi disse: facciamo vedere dove nasce il vino, di cosa il vino è fatto; la luce e la terra. Così è nato Monteleone21. Cecchini mi disse: serve la luce, il Sole deve esaltare questo bello assoluto. Il progetto è stato, poi, reinterpretato da Giovanna Marr che, sempre usando l’idea della circolarità e della luce, ha costruito questo nostro centro aziendale dove vivono le tre anime del vino: quella produttiva con il Fruttaio monumentale per l’appassimento delle uve che diventano Amarone e che oggi ospita la video-installazione del maestro Fabrizio Plessi L’anima dell’Amarone; quella culturale, con il racconto sensoriale del territorio e della storia del vino; quella sociale, con il fine dining della Locanda Costasera e l’Enoteca Masi dedicata allo shopping non solo di tutte le nostre produzioni - siamo a quota 59 etichette! - ma anche delle Famiglie Storiche dell’Amarone perché qui si rappresenta l’anima della Valpolicella. Diventerà anche il centro aziendale: Casa Masi. Abbiamo voluto offrire l’emozione che può dare il paesaggio mediato dal vino insieme alla musica, all’arte con la magia della luce. Abbiamo pensato di fare qualcosa di funzionale che desse, però, una nuova visione dell’azienda proiettata nel futuro e che mettesse assieme il bello e il buono. Questo è Monteleone21».Indaghiamolo il futuro. Va così male per il vino? «Mi infastidisce il piangersi addosso. Credo che si berrà sempre il vino, ma dobbiamo cambiarne la narrazione. Da una parte dobbiamo alzare il livello culturale della rappresentazione di questo immenso dono della natura, dall’altra occorre interpretare il cambiamento di approccio al vino e anche il cambiamento di gusto. Va preso atto che esiste l’Amarone che deve essere salvaguardato nella sua massima qualità, ma ci devono essere anche vini che si bevono con gioia e facilità al giusto prezzo come nel caso del nostro Fresco di Masi. Un elemento è imprescindibile: bisogna valorizzare il vino attraverso il territorio. Poi ci sono fenomeni come il Prosecco che sono più vicini alla bevanda che al consumo meditato del vino. Ci sono delle distorsioni: il Lugana tutti ora lo vogliono, ma non è possibile moltiplicare le vigne e, di conseguenza, il prezzo aumenta; c’è chi crede che il rosato si ottenga semplicemente mescolando vino bianco e rosso, senza rendersi conto che, per mutare uno stile del vino, servono anni. Mi chiedo se siamo riusciti a trasmettere il giusto valore del vino e la consapevolezza nel consumatore. C’è, però, un elemento indiscutibile a vantaggio del vino: la sua naturalità. Le persone hanno desiderio di natura e il vino è la natura elevata a cultura».Ma non pesa anche l’offensiva anti alcol? A proposito: Masi farà il dealcolato? «In natura c’è un ottimo dealcolato: si chiama acqua. L’offensiva anti alcol che si concentra sul vino credo abbia ragioni speculative di colossi interessati a vendere altro. Allo stato attuale della tecnica, non farò sicuramente dealcolato: ne ho assaggiati centinaia, ma finora nessuno ha davvero soddisfatto le mie aspettative. Ciò detto, però, sono convinto che sia giusto mantenere la produzione di questa bevanda all’interno del perimetro della normativa viti-enologica, altrimenti rischiamo di produrre bevande che non conoscono l’uva e vengono spacciate per vino, il che sarebbe un danno enorme. Noi possiamo ben difendere la cultura del vino e il suo consumo moderato dimostrando che, in dosi corrette, il vino è benefico. E poi dobbiamo dire che il vino è il miglior viatico per apprezzare fino in fondo la cucina, la dieta mediterranea».È per questo che Masi punta molto sull’enoturismo? Monteleone21 è la sintesi dell’approccio ai luoghi del vino… «Credo di avere intuito le potenzialità dell’enoturismo prima di molti altri in Veneto. Noi abbiamo costituito una società ad hoc: la Masi wine experience che riunisce tutti i nostri territori. Il primo esperimento risale al 1991, quando alla Serego Alighieri abbiamo adibito i fabbricati della mezzadria a Foresteria. Successivamente abbiamo replicato a Lazise del Garda con Tenuta Canova e ancora in quel gioiello che è la Canevel, l’unico vero chateau della zona Prosecco a Valdobbiadene. Abbiamo aperto un wine bar a Monaco di Baviera e siamo presenti a Cortina. Sono convinto che il vino vada raccontato attraverso l’esperienza del territorio. E Monteleone21 diventerà il luogo di affinamento dell’Amarone come già è deputato all’appassimento, ci sarà un tunnel sotterraneo che collega alla cantina, daremo questa suggestione: il vino che nasce sopra la terra e poi s’immerge nella terra per migliorarsi e ne riemerge con una forza vitale. In fin dei conti, è il mito di Dioniso, che resta intatto anche quando, come abbiamo fatto a Monteleone21, il luogo viene reso del tutto contemporaneo: il condizionamento naturale proviene dalle sorgenti d’acqua a temperatura costante di 12 gradi, l’energia arriva dal fotovoltaico; c’è il contatto diretto col paesaggio. E’ un investimento importante: ma bisogna dare valore se si vuole creare valore!» Lei, Boscaini, è andato in Borsa, poi si è inventato le partnership con le aziende come faceva Giulio Cesare: nessuna conquista, ma affiliazione. È questo il futuro economico del vino? «Per stare in Borsa, è necessario avere il bilancio in ordine, la massima efficienza aziendale e creare fiducia nel mercato. Noi, per esempio, con l’Enpaia - l’ente di chi lavora in agricoltura - abbiamo un socio che ha raggiunto il 10% delle quote del flottante e questo ci onora. La famiglia mantiene il controllo, ma la Borsa ti impone la massima efficienza e l’interpretazione puntuale e sinergica dell’azienda vitivinicola nelle sue espressioni differenti: agricola, produttiva e commerciale. Quanto alle partnership ci siamo sempre legati a aziende e famiglie che interpretano con rigore una tradizione e i valori del territorio. È stato così con i Conti Serego Alighieri, con i Bossi-Fedrigotti e i Caramel della Canevel spumanti. Prima di tutto è una sinergia ideale e valoriale. Credo che questa sia una formula che può dare al vino italiano la massa critica necessaria per competere nei mercati senza turbare la tipicità del rapporto uomo/territorio.» La vendemmia com’è andata? «Per i bianchi ottimamente, anche le uve rosse ci hanno dato soddisfazione. L’incognita sono state le ultime piogge di fine settembre: per chi, come noi, fa appassimento, raccogliere uva bagnata rappresenta un problema. Speriamo che ottobre ci aiuti ad asciugare. La vendemmia 2025 si preannuncia complessivamente una raccolta di alta qualità e di buona quantità».I dazi quanto pesano? «Il problema più gravoso è la svalutazione del dollaro. Quello è un dazio, per ora, del 14% che si fa fatica a dominare. Gli altri dazi possono essere compensati tramite l’importatore o il prezzo. Per Masi, che da sempre cerca di diversificare i mercati, gli Usa pesano solo nell’intorno del 10% del fatturato. Contiamo su una Bce che risponda sui tassi e un’Europa che non ci metta i bastoni tra le ruote. Quelli sono i veri dazi».Voi producete anche in Argentina. Come va lì? «Per produrre vino, quella è una terra benedetta; il clima è un po’ arido, ma si ottengono grandi vini. Il mercato interno, però, ha sofferto per decenni d’inflazione selvaggia. Devo dire che le politiche di Javier Milei stanno dando i primi frutti. La gente è consapevole che deve fare sacrifici, ma vede che i prezzi si stanno stabilizzando e scommette di nuovo sull’Argentina. Come abbiamo fatto noi».
Sandro Mazzola (Getty Images)
Una foto di scena del fantasy «Snowpiercer» con Chris Evans e Tilda Swinton firmato dal coreano Bong Joon. Nel riquadro una tavola del fumetto
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