2018-07-01
«Intellò, casta del nichilismo che nega Dio»
Nel nuovo libro il filosofo Sergio Givone spiega perché non possiamo fare a meno della religione: «È l'ultima difesa della libertà, da cui deriva la responsabilità. Non si può essere responsabili delle proprie azioni se non si è liberi. Ma gli intellettuali non ne vogliono sapere».Un filosofo al telefono. Un filosofo che vola alto, ma si rende accessibile. Il colloquio con Sergio Givone, docente di estetica all'Università degli Studi di Firenze, è la metafora di qualcosa o qualcuno, lontano, che azzera le distanze e si fa prossimo. Cattolico, 74 anni, studioso del nichilismo e di Fëdor Dostoevskij, allievo di Luigi Pareyson e scrittore, Givone ha appena pubblicato da Solferino Quant'è vero Dio (sottotitolo: Perché non possiamo fare a meno della religione), un saggio nel quale sostiene che la religione è necessaria e che, poco alla volta, il mondo contemporaneo, intellettuali a parte, se ne sta accorgendo. Il titolo del libro un po' inganna perché, pur tratto da un'espressione comune, nasconde riflessioni elevate. Fin troppo, professore?«È altissimo l'argomento: parliamo di Dio, dell'essenza della religione. Ma spero che sia anche basso, nel senso che ci riguarda tutti perché riguarda la vita dell'uomo. Se le altezze restano astratte sono inutili».Da qualche parte ho letto che avrebbe voluto diventare scrittore: com'è finito a fare il filosofo?«Qualche romanzo l'ho scritto… Sono arrivato alla filosofia passando dalla letteratura, greca in particolare. Al liceo di Vercelli ebbi la fortuna di avere come professore Dario Del Corno, poi tra i maggiori grecisti del secondo Novecento. Fu lui a mostrarmi come i grandi problemi della filosofia fossero immersi nella grande letteratura. Fare lo scrittore doveva servire ad affrontare i temi della vita. Sono diventato filosofo non per occuparmi di dispute astratte, ma delle problematiche dell'esistenza».Oggi gli scrittori sono star della comunicazione.«In qualche caso. Personalmente, non cercavo una via più gratificante per incontrare il pubblico, ma le risposte alla domanda su “che senso ha ciò che ci sta capitando?". Ero convinto che questo senso si potesse rintracciare nelle storie vissute e narrate. Così, mi sono lasciato guidare dalla letteratura come luogo altamente problematico». Com'era quella di Dostoevskij?«È sempre stato qualcuno con cui dialogare. Dostoevskij ripeteva di non essere filosofo, ma tutta la filosofia russa successiva prende le mosse dal suo pensiero».A cominciare dalla sua Leggenda dell'Inquisitore e poi dal Racconto dell'Anticristo di Vladimir Solov'ëv, con quel dialogo tra l'imperatore e lo starets.«E non solo quello. Tutta l'opera di Nikolaj Berdjaev e di Solov'ëv deriva da Dostoevskij».Il titolo del suo ultimo libro, Quant'è vero Dio, cita un'espressione che si usava come rafforzativo di un'affermazione o di una minaccia di una sanzione verso un figlio disobbediente.«I nostri genitori volevano responsabilizzare il nostro agire. Ma quell'espressione significa anche che Dio o è in rapporto stretto con la verità oppure non è. Se non è tutt'uno con la verità, Dio è un fantasma, un'invenzione per placare l'angoscia della morte. Se invece è tutt'uno con la verità, la vita diventa seria».Proprio Dostoevskij però diceva che tra Gesù Cristo e la verità avrebbe scelto Gesù Cristo.«Era un modo per dire che della verità astratta non sapeva che farsene. Cristo è colui che ha detto “Io sono la verità". La verità non è astrazione filosofica, ma qualcosa di incarnato, una persona. L'incarnazione è la conferma del rapporto tra Dio e l'uomo».Mai così stretto come nel cristianesimo: è per questo che è diverso da tutte le altre religioni? «C'è qualcosa di unico nel cristianesimo: Dio diventa uno di noi. Anche le altre religioni ci parlano di un rapporto stretto tra Dio e l'uomo. Nel paganesimo, salvo la mortalità, gli Dei hanno tutto degli uomini, persino i vizi. C'è il dio dei ladri, dei lussuriosi, dei mentitori. Nelle religioni orientali come il buddismo, a proposito dell'anima elevata, si parla di nascita del divino nel cuore dell'uomo. In tutte le religioni l'umano e il divino si avvicinano. Ma solo nel cristianesimo Dio si fa carne in un momento preciso della storia».Questa tangibilità del cristianesimo ci semplifica il lavoro?«Certamente la forma cristiana è più in sintonia con il nostro tempo, dominato dalla secolarizzazione e dalla desacralizzazione, in cui il cosmo non è più pieno di Dei come ai tempi dell'antica Grecia. Questo farebbe supporre che il cristianesimo è inattuale. In realtà, l'incarnazione ci fa sentire a casa nostra, in un ambiente in cui si parla di noi, prima ancora che del trascendente, dell'altissimo, dell'assoluto…». La ricerca della religione parte dalla domanda: che senso ha trovarci qui, ora, e non, per esempio, là, prima o dopo. È il qui e ora dell'incarnazione. Il cristianesimo è una religione più compiuta?«Per la scienza il fatto che siamo qui e ora non è significativo: è andata così e basta. Il punto di vista religioso invece fa venire il dubbio che proprio a me e proprio ora sia affidato un compito. Per esempio, chissà se ciò che stiamo dicendo ora colpirà qualcuno oppure finirà come briciole nell'acqua. Per l'approccio religioso ogni momento della nostra vita può avere un senso. Se Cristo è diventato uno di noi in un momento e in un posto precisi potrebbero avere significato anche il mio momento e il mio posto».Parlando di oggi, l'alternativa di Dostoevskij - o il cristianesimo o il nichilismo - è ancora valida?«Più che mai: o il mondo e la vita hanno un senso oppure sono frutto del caso. La patria del nichilismo è proprio la Russia. L'atto di nascita si trova in Padri e figli di Ivan Turgenev, dove i due studenti di medicina Arkadij e Bazarov si proclamano nichilisti. E alla domanda su cosa ciò significhi rispondono: “Noi stiamo ai fatti e non crediamo ad altro". Il nichilismo è la forma estrema dell'ateismo. A un certo punto la scienza ha decretato che la vita è solo una concatenazione di cause ed effetti, escludendo una possibilità ulteriore».Come il mondo contemporaneo può rendersi conto di essere vittima delle cosiddette passioni tristi?«La caratteristica della passione triste è proprio essere inconsapevole di sé. Chi vede Dio come un fantasma, non sapendo che cosa ha perduto si ritiene appagato. L'ateismo tranquillo non è consapevole della posta in gioco. È una pochezza spirituale, uno sguardo rivolto in basso».O rigirato su sé stesso. Lei scrive che se Dio esce di scena, a occuparla è l'uomo. La passione triste di oggi è il narcisismo, ultima derivazione del nichilismo?«Molto narcisistico è dire che le cose stanno così e non c'è nient'altro. Molto narcisistico è ricadere su sé stessi e sul proprio volto. Un'altra forma di nichilismo è l'idolatria: idolatriamo controfigure di Dio piuttosto meschine».I corsi di yoga, le diete bio, il culto del corpo, l'amore per la natura, gli animali… «Surrogati di Dio. E, come tutti i surrogati che riempiono temporaneamente un vuoto, non hanno un sapore soddisfacente. Non a caso i mistici parlavano del sapore di Dio che riempie la vita e rinnova continuamente la parola». Oggi gli intellettuali, i cosiddetti chierici, hanno un ruolo crescente. Per loro, se Dio c'è non c'entra, così la religione non c'entra con il bene, la verità, la vita pubblica. Chierici di quale chiesa?«Della chiesa nichilistica, potremmo dire. Nel 1950 la Partisan Review si chiedeva che posto avesse Dio tra gli intellettuali? Allora si diceva che alla gente di Dio interessava poco o nulla perché c'era stata la guerra e si cercavano risposte concrete per ritrovare condizioni di vita accettabili. Il sacro era invece tornato negli studi degli intellettuali. Oggi la risposta è rovesciata: le masse sono tornate a Dio e gli intellettuali non ne vogliono sapere, lo evitano. Al massimo gli concedono la sfera privata. Questo nichilismo è la cultura dominante».Comunemente si ritiene che la religione riduca se non cancelli la libertà. Lei invece scrive che è l'ultima difesa della libertà: in che modo?«Essendosi inventata un Dio che regge i destini degli uomini imponendo un decalogo di leggi, la religione conculca la libertà: questo è un pensiero idiota. Il fatto che Dio proponga all'uomo un decalogo significa che lo sfida a dire sì o no a lui. Cioè, lo sfida a comportarsi liberamente. Solo dalle libertà deriva la responsabilità. Come potremmo essere responsabili delle nostre azioni se non siamo liberi? Poi, è vero, tante guerre sono state combattute a causa delle religioni. Ma queste sono perversioni delle religioni. I terroristi islamici affermano di combattere in nome di Allah, ma la loro è ancora religione o è la forma estrema del nichilismo, di un Dio in cui non credono più?».Tornando in Occidente, Dostoevskij dice: «Se Dio è morto, tutto è permesso». Si spiegano così l'aborto e l'utero in affitto, l'eutanasia e i cloni umani della biotecnologia?«Tolto Dio, scompare la differenza tra il bene e il male stabilita dal sacro: fin qui sì, oltre no, perché oltre c'è il disumano. Possiamo farlo, possiamo oltrepassare il confine, ma dobbiamo sapere che entriamo nel territorio del disumano. Creare l'uomo in laboratorio in base a un nostro desiderio o progetto sarà possibile, ma sarà disumano».Qualche tempo fa, a un capo che, per provocarmi, bestemmiava, dissi: «Se non sei credente, perché insulti qualcuno che non esiste?». L'ateismo è irrazionale?«L'ateismo, non il nichilismo. Pur negando Dio, magari offendendolo, l'ateismo lo evoca e, paradossalmente, lo afferma. L'ateo è legato a Dio più di quanto voglia ammettere. Al contrario, il nichilista ammette Dio, ma lo nega. Ivan Karamazov dice che Dio è una bellissima idea, magari esistesse. Ma purtroppo è solo un'invenzione dell'uomo».
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