2023-11-10
Caso Indi, la mossa di Roma è stata cruciale. Resta aperto un ultimo spiraglio
Dean Gregory, papà della piccola Indi (Getty Images)
Conferire la cittadinanza è servito. Rishi Sunak tace, però può essere un buon segno.Un giorno in più per Indi Gregory. La bambina inglese di otto mesi affetta da una malattia del Dna mitocondriale - i cui medici, nel suo «best interest», intendono togliere il respiratore - avrebbe dovuto esser lasciata morire ieri alle 14 ore inglesi, le 15 italiane. Invece tutto è prorogato ad oggi, all’esito di una udienza in Corte d’Appello fissata alle 12, le 13 da noi. In questo modo è stato almeno rinviato il verdetto di morte del giudice dell’Alta Corte Robert Peel, che oltretutto limita al Queen’s Medical Center di Nottingham, dov’è la piccola, «o in un hospice ma, non a casa» il luogo dove dovrebbe avvenire il distacco del respiratore.Rispetto a tale sentenza Dean Gregory e Claire Staniforth, i genitori della bambina sostenuti dal Christian legal centre, avevano presentato ricorso ma, come raccontato ieri dalla Verità, è soprattutto col conferimento da parte del governo Meloni della cittadinanza italiana a Indi Gregory che si è aperto un nuovo scenario: quello che, su richiesta della famiglia, ha visto attivarsi il console italiano a Manchester, Matteo Corradini, nella sua funzione di giudice tutelare. Il giudice italiano ha difatti subito emesso un provvedimento d’urgenza, dichiarando la competenza del giudice italiano e autorizzando l’adozione del piano terapeutico proposto dall’ospedale Bambin Gesù di Roma e il trasferimento della minore a Roma. Ieri il tutore italiano di Indi Gregory ha inoltre depositato una richiesta urgente all’Alta Corte del Regno Unito, chiedendo al giudice Robert Peel di cedergli la giurisdizione sul caso, ai sensi dell’articolo 9 comma 2 della Convenzione dell’Aia del 1996, che riguarda «competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori». Proprio quest’istanza del dottor Corradini ieri ha originato prima il rinvio - dalle ore 14 alle 16 (17 italiane) - del distacco del respiratore alla bambina, poi la calendarizzazione odierna della discussione dell’appello sulla possibilità di trasferire la giurisdizione al giudice italiano. «Questo è stato possibile poiché è stata attivata la procedura dell’articolo 9», hanno fatto sapere Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia onlus, l’avvocato Simone Pillon, che stanno seguendo gli sviluppi del lato italiano della vicenda in contatto con i legali della famiglia Gregory, «ovvero il giudice competente italiano si è messo in contatto con il giudice competente inglese e gli atti sono stati trasmessi alla Corte d’Appello». «Inoltre», hanno aggiunto Coghe e Pillon, «la presidenza del Consiglio dei ministri dell’Italia ha scritto al ministero della Giustizia britannico come previsto dall’art. 32 sempre della Convenzione dell’Aia del 1996». Quella percorsa in queste ore è insomma una strada nuova, che non si sarebbe aperta se lunedì il governo italiano non avesse conferito a Indi Gregory la cittadinanza.A nulla, infatti, era bastato ai legali dei genitori neppure la disponibilità ad accogliere la bambina resa ufficialmente dall’Ospedale Bambino Gesù, eccellenza a livello mondiale in ambito pediatrico, nella persona del suo presidente, Tiziano Onesti. Gli sviluppi di queste ultime ore, oltre ad aver strappato la piccola Indi a quella che ieri avrebbe avuto tutto il sapore di una esecuzione, sembrano alimentare la speranza che una svolta in questo caso possa finalmente arrivare. «Farò quello che posso per difendere la sua vita», ha del resto detto esplicitamente Giorgia Meloni. In effetti, il conferimento della cittadinanza alla bambina è stata finora la vera novità sulla vicenda. «Da quando c’è la cittadinanza il quadro è cambiato», ha non a caso dichiarato l’avvocato Pillon alla Verità. Non resta ora da sperare che oltre che nuovo, tale elemento diventi decisivo. Anche perché c’è un altro piccolo segnale che fa sperare in «un accordo», come si augura papà Dean Gregory: è il silenzio finora tenuto sull’intera questione dal numero 10 di Downing Street.
Charlie Kirk (Getty Images)