2023-08-31
Il Papa va in Mongolia per parlare con la Cina
Dietro la visita di Francesco in un Paese con 30 preti e 1.500 cattolici non ci sono solo ragioni pastorali ma, soprattutto, geopolitiche Incrocerà anche il vescovo di Hong Kong, il gesuita Stephen Chow, futuro cardinale e grande sostenitore dell’accordo sino-vaticano.Papa Francesco partirà oggi per la Mongolia, dove si tratterrà fino al 4 settembre. Si tratta della prima volta che un pontefice visita questo Paese, in cui i cattolici rappresentano meno dell’1% della popolazione per un totale di circa 1.500 fedeli e meno di trenta sacerdoti. La Santa Sede ha rimarcato che il senso di questo viaggio - non poco gravoso per il Papa, date le sue non ottimali condizioni di salute - è di natura pastorale. Tuttavia il significato della visita è, forse, anche di carattere geopolitico. Non è escluso che possa essere inserita nella strategia di avvicinamento a Pechino, portata avanti dalla Santa Sede: un avvicinamento già sancito dal controverso accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi che, siglato nel 2018, è stato rinnovato nel 2020 e nel 2022.Secondo il programma ufficiale, sabato, nel corso della visita, il pontefice incontrerà sia il presidente della Mongolia, Ukhnaagiin Khürelsükh, sia il suo premier, Luvsannamsrain Oyun-Erdene. Ebbene, a novembre scorso, Khürelsükh si era recato a Pechino dove aveva incontrato l’omologo cinese, Xi Jinping. «La Mongolia è pronta a lavorare con la Cina per rendere ulteriormente sinergiche le loro strategie, perseguire la cooperazione sulla Belt and road, espandere e approfondire la cooperazione su economia, commercio, investimenti, minerali, energia, infrastrutture, risposta climatica, sviluppo verde e trattamento della desertificazione, e realizzare il China-Mongolia-Russia economic corridor», recitò nell’occasione una nota del governo cinese.Lo stesso premier Oyun-Erdene si recò a Pechino due mesi fa per incontrare Xi. E, anche in quel caso, fu promossa maggiore cooperazione alla luce della Belt and road initiative.Non solo. A luglio 2022, proprio Oyun-Erdene dichiarò al Financial Times di aspettarsi che Mosca avviasse nel giro di due anni la realizzazione, attraverso il territorio della Mongolia, di Power of Siberia 2: il gasdotto che in futuro dovrebbe trasportare gas russo verso la Cina. Senza poi dimenticare che, come riportato recentemente da Politico, «Pechino acquista oltre il 90% delle esportazioni della Mongolia e il Paese fa affidamento sul porto cinese di Tianjin per spedire gran parte di ciò che vende al resto del mondo». Non è, infine, un mistero che Mongolia e Cina si siano astenute, a febbraio scorso, sulla risoluzione dell’Onu che chiedeva l’immediato ritiro delle truppe russe dall’Ucraina. Insomma, nonostante nelle ultime settimane abbia siglato alcuni accordi con gli Stati Uniti, è evidente che Ulan Bator resta significativamente legata a Pechino. Sotto questo aspetto, è interessante evidenziare che, secondo la sala stampa vaticana, il Papa si sta recando in Mongolia su invito del presidente Khürelsükh.E qui veniamo a un elemento poco sottolineato. Un mese fa, il South China Morning Post ha riferito che il vescovo di Hong Kong, Stephen Chow, guiderà una delegazione per un viaggio in Mongolia che coinciderà con la visita del pontefice. Vale la pena sottolineare che Chow riceverà a breve lo zucchetto rosso e che è uno dei principali fautori dell’accordo sino-vaticano: d’altronde, è proprio in quest’ottica che si recò in visita a Pechino lo scorso aprile. Non dimentichiamo che Chow è un gesuita e che la Compagnia di Gesù risulta, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, tra i maggiori sostenitori della controversa intesa con la Cina.Questo significa che, assai verosimilmente, l’accordo sino-vaticano sarà tra i dossier affrontati nell’imminente viaggio apostolico del pontefice. E non si può neppure del tutto escludere che in Mongolia avverranno degli incontri con qualche alto esponente del governo cinese. Tra l’altro, proprio ieri, il cardinale Pietro Parolin, parlando con l’Osservatore Romano del viaggio papale, ha detto che il pontefice nutre un «grande desiderio» di recarsi in Cina (definita dal segretario di Stato vaticano un «nobile Paese»). L’accordo sino-vaticano si inserisce d’altronde nel più generale spostamento della politica estera della Santa Sede verso Pechino. Una circostanza che preoccupa gli Usa e che vede contrariati vari porporati, come Raymond Burke e Timothy Dolan, che vorrebbero riportare in Occidente la collocazione geopolitica vaticana. È in questo quadro che va letta la recente critica del pontefice alla Chiesa statunitense: si tratta di un modo per azzoppare, nel prossimo conclave, quei cardinali (generalmente di area «ratzingeriana») che non sono allineati all’attuale politica filocinese e terzomondista della Santa Sede. Una politica sposata, invece, da porporati come Matteo Zuppi, Luis Antonio Tagle e lo stesso Chow. Eppure l’intesa sino-vaticana è stata più volte violata da Pechino e, negli ultimi anni, la condizione dei cattolici cinesi non è affatto migliorata. Xi Jinping sta infatti portando avanti una linea di «sinicizzazione»: sta, cioè, conducendo una politica di indottrinamento dei fedeli secondo i principi del socialismo.La Ong cristiana China Aid ha, inoltre, riferito che a partire da domani il Partito comunista cinese farà entrare in vigore ulteriori restrizioni: non solo sarà vietata l’esposizione di simboli religiosi ma la predicazione dovrà anche «riflettere i valori fondamentali del socialismo». C’è quindi da chiedersi se l’attuale Ostpolitik vaticana non stia in realtà compromettendo la libertà della Chiesa cattolica.
Era il più veloce di tutti gli altri aeroplani ma anche il più brutto. Il suo segreto? Che era esso stesso un segreto. E lo rimase fino agli anni Settanta