2018-05-02
Il fisco da giugno tassa pure i bitcoin
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Nel prossimo 730 sarà obbligatorio dichiarare il possesso di valute virtuali. Finiranno nel quadro Rw, dedicato ai conti esteri. A differenza dei depositi bancari non pagheranno la patrimonialina voluta da Mario Monti, ma saranno soggetti al calcolo delle plusvalenze (aliquota al 26%). E sulla valutazione del prezzo di carico si apriranno praterie di contenziosi. È un primo tentativo. Ne seguiranno altri di certo. Da quest'anno il fisco ha deciso di tassare pure i bitcoin e le altre criptovalute. L'Agenzia delle entrate, in risposta all'interpello 956-39/2018 (e contrariamente a quanto previsto nella risoluzione numero 72 del 2016) ha messo nero su bianco che a giugno per la prima volta vanno inserite le posizioni in valute virtuali nel 730. Per essere più precisi, lo spazio di compilazione per le criptomonete è il quadro Rw, quello riservato ai redditi esteri. A differenza dei conti bancari detenuti oltre confine sui bitcoin non si applica l'Ivafe (l'imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero) la patrimonialina voluta da Mario Monti, perché è riservata esclusivamente ai depositi. Troppo presto però per tirare un sospiro di sollievo, non significa affatto che sui bitcoin non siano previste tasse. Al contrario. Innanzitutto spunta per la prima volta il concetto di plusvalenza. Finchè le valute virtuali non vengono movimentate il fisco non sembra interessato a fare il gabelliere. Ma nel momento in cui compare un realizzo allora si apre un capitolo complesso che porta a una sola conclusione: prelievo del 26%. «Ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche che detengono bitcoin (o altre valute virtuali) al di fuori dell'attività d'impresa, alle operazioni di conversione di valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali», recita il documento dell'Agenzia, guidata da Ernesto Maria Ruffini. «Di conseguenza, le cessioni a pronti di valuta virtuale non danno origine a redditi imponibili mancando la finalità speculativa salvo generare un reddito diverso qualora la valuta ceduta derivi da prelievi da portafogli elettronici (wallet), per i quali la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi». Per cessione a pronti si intende una transazione in cui si ha lo scambio immediato di una valuta contro una valuta differente. In poche parole, nel momento in cui la cifra in criptovaluta viene convertita per realizzare una differente operazione, ad esempio l'acquisto di oro o altri asset mobiliari, comprese altre valute virtuali, scatta la realizzazione della plusvalenza. E questa sembra l'unica certezza. Perché innanzitutto bisognerà superare lo scoglio del prezzo. Andrà indicato il valore in euro della giacenza media in valuta virtuale secondo il cambio di riferimento all'inizio del periodo di imposta, e cioè al primo gennaio dell'anno in cui si verifica il presupposto di tassazione. «Tenuto conto che manca un prezzo ufficiale giornaliero cui fare riferimento per il rapporto di cambio tra la valuta virtuale e l'euro all'inizio del periodo di imposta, il contribuente può utilizzare il rapporto di cambio al primo gennaio rilevato sul sito dove ha acquistato la valuta virtuale o, in mancanza, quello rilevato sul sito dove effettua la maggior parte delle operazioni», recita ancora la risposta all'interpello che lascia aperta una prateria di dubbi che - c'è da scommettere - si riempirà certamente di contestazioni e complicazioni. Ai fini della tassazione bisognerà, infatti, distinguere tra cessazioni a termine e plusvalenza da prelievo da wallet salvo il fatto di non sforare la quota dei 5.000 euro detenuti nel periodo d'imposta (la soglia di esenzione). Tuttavia anche sulle soglie minime di tassazione ci sarà da ballare. Per l'obbligo di monitoraggio ai fini della tracciabilità e dell'antiriciclaggio vale la soglia di 15.000 euro, un floor che certamente creerà dubbi e problemi per i contribuenti. Le due soglie saranno facilmente confuse. A quel punto su tutto ciò che diventerà una plusvalenza scatterà il prelievo del 26% salvo il fatto che i valori andrebbero traslati nel quadro Rt della dichiarazione dei redditi. «E' evidente quindi che sarebbe opportuno prevedere delle regole di compilazione del 730 specifiche per bitcoin e criptovalute», commentano sui siti specializzati alcuni commercialisti, «perché, per la loro peculiarità, queste si differenziano dalle monete estere anche se, indubbiamente, alcuni punti di contatto dal punto di vista fiscale possono essere individuati». Nel caso in cui le transazioni in bitcoin rientrassero poi nel capitolo delle operazioni finanziarie scatterebbe allora l'aliquota standard dello 0,2%. Al momento, l'Agenzia sembra escludere la fattispecie ritenendo i bitcoin una valuta per i pagamenti, ma la contraddizione sta nella richiesta di conteggio delle plusvalenze. È chiaro che se l'idea di tracciare i movimenti di denaro virtuale sia opportuna ed estremamente condivisibile, l'Agenzia al momento non sembra aver compreso la natura intrinseca delle valute virtuali. Non sono controllate nemmeno dalle banche centrali, figuriamoci se potranno essere imbrigliate e contabilizzate gli uomini del fisco. Nessuna paura, tanto nel dubbio la scelta sarà sempre favorevole allo Stato.
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