2018-11-12
La riforma Renzi ha svenduto le banche popolari agli stranieri. «Le procure chiariscano»
Corrado Sforza Fogliani: «Saranno le inchieste a spiegarci perché l'ex premier nel 2015 affrettò il provvedimento» Sondrio e Bari avevano interpellato il Consiglio di Stato, che le ha dirottate in Europa. Se vincessero, anche quelle già trasformate in spa sarebbero indotte a rivedere la loro struttura. Il Bullo giustificò il blitz promettendo più trasparenza e un mercato in crescita. Ma i dati della piattaforma digitale dimostrano il fallimento di quel decreto, varato tra pesanti sospetti (mai fugati) di insider trading. Lo speciale contiene tre articoli. Corrado Sforza Fogliani vive molte vite parallele, tutte legate da un tenace filo comune: la diffidenza liberale verso lo Stato («lo scriva minuscolo, come suggeriva Luigi Einaudi!», dice spesso). Avvocato, già presidente di Confedilizia (di cui oggi guida il centro studi), storico presidente della Banca di Piacenza (una Popolare), difensore dei tesori della sua città (non si contano le opere d'arte restaurate e valorizzate con il decisivo contributo privato della banca), animatore di iniziative culturali come il Festival della libertà (che a gennaio giungerà alla terza edizione). È attualmente presidente dell'Associazione nazionale fra le banche popolari, chiamato a questo incarico dopo il blitz del governo Renzi contro le Popolari, con il contestato decreto legge del 2015. Dieci giorni fa, su iniziativa di soci della Banca popolare di Sondrio, il Consiglio di Stato ha investito la Corte di giustizia europea. «Credo sia un accoglimento di alcune fra le ragioni più importanti portate avanti da Assopopolari, anche se la causa non è stata sollevata direttamente da noi. Sono questioni fondamentali che potrebbero mettere in discussione gli effetti della riforma Renzi anche sulle società convertite». Addirittura con effetto retroattivo? «Potrebbe accadere, a somiglianza di alcune pronunce della Corte costituzionale. Pensi all'ipotesi che i soci abbiano tenuto aperto il rapporto, e abbiano richiesto una liquidazione differente del loro diritto di recesso. Se la Corte europea dichiarasse illegittimi aspetti della riforma, anche le quantificazioni sarebbero messe in discussione». Torniamo all 2015. Secondo lei perché Renzi si intestardì così? «Ci sono vicende giudiziarie in corso, con accuse di insider trading, al vaglio delle Procure di Roma e Perugia. Quelle vicende giudiziarie potranno darci la reale natura di quella decisione politica improvvisa e affrettata. Decisero di procedere in assenza di un presidente della Repubblica (Giorgio Napolitano non c'era più, c'era la supplenza di Pietro Grasso). Mi auguro che emergano le vere ragioni di quella scelta. Certo, sono circostanze difficili da ritenere casuali. Per quanto ne avessi fatto una precisa istanza al presidente Pierferdinando Casini, la Commissione d'inchiesta non volle occuparsi di questo argomento». Agirono con decreto legge: dov'erano le condizioni di straordinaria necessità e urgenza? «Appunto. Si figuri che poi nel provvedimento si dava un tempo lungo, di molti mesi, per la conversione delle banche… E allora, l'urgenza?». Ci furono polemiche su un vero o presunto insider trading. Il presidente della Consob Giuseppe Vegas sottolineò movimenti anomali nei giorni caldi. Qualcuno sapeva e poté fiutare l'affare? «Gli aspetti giudiziari li vedrà la magistratura. Io guardo alla sostanza, secondo il noto brocardo post hoc, propter hoc. Dopo quel decreto, tutte le banche convertite (tranne una) sono finite, con larghe maggioranze, a fondi speculativi esteri. Si tratta di un esito così generalizzato, che mi pare difficile non lo si fosse capito da prima. Poi le inchieste valuteranno se si sia voluto agire per produrre questo fine…». Vi accusarono di difendere lo status quo, di essere ostili allo straniero. Lei ha sempre risposto che volevate evitare oligopoli. «Il punto sta nella filosofia delle banche di territorio, come sono le Popolari. Non per bontà, ma per nostro stesso interesse, noi aiutiamo il territorio: più cresce il territorio, più cresciamo noi. La mia banca, a Piacenza, “vede" nel suo bilancio com'è andata l'annata agraria, per capirci». Un modo di ragionare diverso dalle grandi banche. «Certo. Hanno un altro dna, è nella loro natura. Tendono a spostarsi nei territori nei quali ci sia un mercato dei tassi più favorevole per la remunerazione dei finanziamenti. Si spostano dov'è più conveniente per loro. L'opposto di ciò che facciamo noi, che siamo naturalmente legati a un territorio». Lei teme che gli operatori esteri siano più interessati al portafoglio clienti di queste banche, che non a sostenere l'economia dei territori. «Questo è indubbio. Ma dico di più. O consapevolmente o addirittura deliberatamente si è aperta la porta a fondi speculativi esteri (a loro volta emanazione delle grandi banche straniere) perché l'Europa (e io intendo: chi comanda oggi in questa Europa) ha probabilmente accarezzato un disegno: colpire il tessuto connettivo dell'economia italiana, cioè le piccole e medie imprese. Per farlo, il primo passaggio strumentale era colpire le banche di territorio, cioè quelle che aiutano le Pmi. Quello che poi facciano questi fondi speculativi e come possano ridurre l'Italia lo vedremo: in genere hanno un traguardo operativo di pochi anni. E certo sono un passo importante per la creazione di un oligopolio bancario sostanzialmente in mani straniere. Lo spiego nel mio libro Siamo molto popolari, pubblicato con Rubbettino, che non a caso ha come sottotitolo Controstoria di una riforma (quella Renzi/Boschi) che arriva da lontano e porta all'oligopolio bancario». Lei è uno dei pochissimi a «violare il santuario» dell'europeismo… «Mio padre aveva un sogno europeo: sperava nell'Europa di Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman. Ma non c'entra nulla con questa Ue di burocrati che hanno prodotto regolamenti pure sui bastoncini per togliere il cerume dalle orecchie». Bilancio della riforma Renzi? «Faccio una fotografia. Prenda i principali azionisti delle prime 10-11 banche spa italiane, incluse le Popolari convertite: sono governate dai fondi speculativi esteri. È un fatto, non un'opinione. Nel mio libro c'è la relativa dimostrazione, banca per banca». Restano situazioni delicate: la Popolare di Bari e quella di Sondrio. «Sondrio è una bellissima e buona banca. Quanto a Bari, ha dei problemi solo perché allora fu “consigliata" di acquistare e salvare Tercas. Altrimenti non si sarebbero creati problemi. Ma io confido che quello della capitalizzazione sarà risolto». Si sente spesso dire «ce lo chiede l'Europa» e che si debba rispondere signorsì, anche in materia bancaria. Si è fatto bene a far così? «Io sono del tutto critico verso questa tendenza. Vedo una grande responsabilità, a sinistra come a destra, di chi ha governato in passato: si sono comportati da tappetini nei confronti dell'Europa. Pensi allo spread…». Non ha molto a che fare con l'economia reale… «Appunto, uno non va certo al mercato o a fare la spesa contando i punti di spread. È un indicatore creato dall'alta finanza come strumento per incidere sulle scelte politiche degli Stati. Lei pensi a quando hanno voluto licenziare Silvio Berlusconi (anche lui responsabile come tutti di cedimenti in Ue). Ma allora usarono impropriamente quello strumento contro un governo scelto dagli elettori. Oltre ogni immaginazione». A proposito, che c'entra lo spread con i bilanci delle banche? «Ecco. Nel 2011 c'era lo spread a 500 ma nessuno metteva in dubbio la patrimonializzazione delle banche. Adesso invece, con lo spread intorno a 300, sì. Perché? Perché hanno cambiato una regoletta europea nel 2016, estendendo a tutte le banche un meccanismo che era stato pensato solo per quelle grandi. In pratica, obbligano a contabilizzare la diminuzione di valore dei titoli pubblici che le banche hanno in pancia». Bel capolavoro Ue… «Guardi, io dico che dobbiamo difenderci dall'Europa per difendere le banche. Ci ritroviamo con bilanci di fatto scritti a Bruxelles. Dico spesso che noi dovremmo fare un bilancio elementare per noi (entrate, uscite, avanzo o disavanzo) e un altro sulla base delle regole europee, che possono portarti a perdere immeritatamente o a far guadagno altrettanto immeritatamente». Non le pare che, in sede di vigilanza europea, si sia prestata molta attenzione ai guai italiani (npl, oppure l'eccesso di titoli pubblici in pancia) e poco alle magagne francesi e tedesche (derivati e titoli tossici)? «È la stessa logica che spiegavo prima ricostruendo l'attacco alle Popolari. Ci stanno costringendo a scaricare gli npl, tenendoci sotto una spada di Damocle, di fatto portandoci a svenderli. E invece gran silenzio sui derivati che sono tre volte più pericolosi, e che sono un problema soprattutto per gli altri, pensi a Deutsche Bank. Non può essere casuale». Vuole dare un consiglio? «Torno al mio amore di sempre, gli immobili. Finché non si ridurrà la tassazione sugli immobili, che sono stati depredati con le tasse dal 2011, producendo un calo di valore del patrimonio delle famiglie, sarà difficile che gli italiani tornino ad avere fiducia. Quella è la priorità». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-disegno-finale-e-divorarsi-le-nostre-piccole-aziende-le-procure-devono-chiarire-2619210901.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="se-la-corte-ue-accoglie-il-ricorso-nasce-un-nuovo-credito-cooperativo" data-post-id="2619210901" data-published-at="1757675021" data-use-pagination="False"> Se la Corte Ue accoglie il ricorso nasce un nuovo credito cooperativo E ora che succederà? Com'è noto, due banche popolari (Sondrio e Bari) non si sono ancora «convertite» e «trasformate», secondo quanto aveva invece imposto il decreto Renzi. Di più: alcuni azionisti della popolare di Sondrio hanno promosso un'azione dinanzi al Consiglio di Stato contro il provvedimento renziano, e il Consiglio di Stato ha deciso di investire la Corte di giustizia Ue, che in media, per decidere sulle questioni che arrivano sul suo tavolo, si prende tra i 12 e i 18 mesi. Morale: tutto resterà congelato per quelle due banche. Il che fa pendant (in ambito diverso) con la proroga di 180 giorni inserita questa estate nel Milleproroghe per le banche di credito cooperativo, oggetto di un'altra norma del 2016. Una «moratoria», com'è stata definita, o almeno un'opportuna pausa di riflessione, dopo un'eccessiva (e discutibile) azione legislativa. Ma, tornando alle popolari, che cosa può accadere realisticamente davanti alla Corte europea? Se la Corte respingesse le istanze dei ricorrenti, Sondrio e Bari dovranno necessariamente trasformarsi in spa, esattamente come hanno fatto le altre popolari con un attivo superiore a 8 miliardi. Ma se invece il ricorso fosse accolto, cambierebbe tutto. I ricorrenti hanno rinunciato a mettere in discussione la costituzionalità del decreto Renzi, ma si sono concentrati sui regolamenti e sulle disposizioni attuative della «riforma», prodotte dalla Banca d'Italia. In particolare, contestano a Bankitalia di non aver precisato un aspetto della struttura societaria, e per l'esattezza se, nel trasformare la banca in spa, sia comunque possibile immaginare che «sopra» resti una holding a carattere cooperativo. Poniamo che la Corte europea dica sì: a quel punto Sondrio e Bari potrebbero anche decidere di trasformarsi in spa, ma, con la holding a carattere cooperativo e potendo continuare a votare con voto capitario, impedirebbero un'entrata a valanga dei fondi esteri, di fatto vanificando l'obiettivo del decreto Renzi. Alessandro Ramon Birtig, coordinatore delle associazioni di azionisti che hanno promosso questa iniziativa giudiziaria, si dice fiducioso: «In altri Paesi Ue non ci sono limitazioni di questo genere nei confronti delle popolari. Gli 8 miliardi sono un limite ingiustificato. In Francia e in Germania le popolari hanno attivi anche maggiori». La cosa sarebbe interessante anche per le altre popolari colpite dalla riforma, quelle che invece hanno accettato subito di trasformarsi in spa, senza attendere i ricorsi: alcuni membri delle compagini azionarie potrebbero chiedersi se sia stato giusto procedere così. Il clamore sarebbe enorme: e a quel punto sarebbe forse inevitabile un ripensamento normativo della cosiddetta «riforma» Renzi. Certo, un effetto a valanga si è già realizzato: il decreto Renzi ha favorito un immenso movimento di capitali per acquisizioni bancarie. Da parte delle grandi verso le piccole, e soprattutto da parte di fondi esteri, che hanno acquisito una posizione di dominio in quasi tutte le spa. Le inchieste in corso - intanto - potranno verificare se a inizio 2015 vi siano effettivamente stati episodi di insider trading. Ma, questioni giudiziarie a parte, toccherebbe alla politica riflettere sull'effetto complessivo di svendita che si è determinato sulla parte del sistema bancario italiano più legata al territorio e alle Pmi. Altrove non si sono fatti interventi normativi come quelli del 2015-2016 in Italia: ad esempio, la francese Crédit Agricole è una banca cooperativa... <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-disegno-finale-e-divorarsi-le-nostre-piccole-aziende-le-procure-devono-chiarire-2619210901.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-riforma-di-renzi-ha-svenduto-le-banche-popolari-agli-stranieri" data-post-id="2619210901" data-published-at="1757675021" data-use-pagination="False"> La riforma di Renzi ha svenduto le banche popolari agli stranieri Oltre al danno, la beffa. E oltre la beffa, la calma piatta, un mercato stanco e fermo. Il danno è rappresentato dall'effetto principale del decreto Renzi, e cioè il fatto che i fondi speculativi esteri abbiano messo le mani sulla maggioranze di quasi tutte le principali banche spa italiane. Il dato è evidente: non si tratta di punti di vista, ma di un fatto inoppugnabile. La beffa sta nel rischio che si sia verificato più di qualche caso di insider trading: ricorderete (la cosa è tra gli atti che nella scorsa legislatura arrivarono alla Commissione di inchiesta sulle banche) le parole cui Carlo De Benedetti, al telefono con il suo broker, dichiarava di aver appreso da Matteo Renzi che il decreto sarebbe passato. E ricorderete anche la puntuale audizione, davanti alla commissione Finanze della Camera dei deputati, nel 2015, dell'allora presidente della Consob, Giuseppe Vegas (le cui dichiarazioni - precise e coraggiose - furono sottovalutate da troppi), con un paper e una significativa rassegna stampa allegata. Su tutto questo capitolo dell'insider trading, due Procure (Roma e Perugia) sono attualmente al lavoro. Ma oltre al danno e alla beffa, c'è pure la calma piatta. La «narrazione» renziana era riassumibile in questi termini: con la nuova normativa sulle Popolari, ci sarà più trasparenza, i soci saranno meglio tutelati, e soprattutto si innescherà e si incoraggerà un mercato vibrante, con volumi significativi e in crescita. Purtroppo, nulla di tutto questo si è verificato. Facciamo un passo indietro. Se consideriamo non solo le Popolari, ma il complesso delle banche non quotate, facciamo riferimento a una platea di azionisti stimata in oltre 300.000 persone. Dall'8 maggio 2017, su input della Consob, è avvenuto lo «sbarco» sulla piattaforma digitale Hi-Mtf, come nuovo luogo di incontro e scambio tra domanda e offerta. Dai terminali che si trovano in quasi tutti gli istituti italiani, è dunque possibile comprare e vendere in questo modo. Hi-Mtf esisteva da anni, e per molto tempo era stata essenzialmente dedicata alle obbligazioni. Ma la Consob ha insistito per una svolta anche sulle azioni, in considerazione dei circa 16 miliardi di euro esistenti di azioni di banche non quotate. Non sempre infatti era facile scambiare queste azioni, esisteva un rischio di perdita di valore, e dunque il mercato Hi-Mtf poteva rappresentare una soluzione per i soci delle banche che detenevano (e tuttora detengono) un pacchetto rilevante di azioni e che magari da tempo non riuscivano (non riescono) a venderle. Si diceva: negoziare sulla piattaforma digitale potrebbe consentire la realizzazione di una parte degli investimenti o la loro completa dismissione. E secondo i supporter della «riforma» renziana, il decreto sulle Popolari, una volta convertito in legge, avrebbe fatto il resto, aprendo una stagione di scambi robusti. E invece? E invece una banale osservazione dei dati ci dice che le cose non sono affatto andate così. I volumi sono assai bassi, e se esaminiamo gli ordini scambiati sulla piattaforma Hi-Mtf, assistiamo a cifre molto limitate, a volte quasi nulle. Proviamo a selezionare alcuni esempi. Banca popolare di Puglia e Basilicata. Dal 29 dicembre 2017, il controvalore scambiato è stato di appena 955 euro, con un prezzo inferiore ai 4 euro ad azione. Cifre analogamente irrisorie per Banca popolare Sant'Angelo. Dal 25 giugno 2018, il controvalore scambiato è stato di 1.145 euro, con un prezzo medio di circa 18 euro ad azione. Cambia poco per la Banca popolare di Lajatico. Dal 23 giugno 2018, il controvalore scambiato è stato di appena 10.000 euro, con un prezzo medio di circa 41 euro ad azione. Si sale un po' con la Banca di Macerata. Dal 27 giugno 2018, il controvalore scambiato è stato inferiore a 85.000 euro, con un prezzo medio di 98 euro ad azione. Per salire un altro pochino, occorre considerare la Banca popolare di Fondi. Dal 25 giugno 2018, il controvalore progressivo scambiato è stato di 275.000 euro, con un prezzo medio di 96 euro ad azione. Su quei livelli anche Banca Sella. Dal 21 aprile 2018, il controvalore scambiato è stato di 320.000 euro, con un prezzo medio di 1 euro ad azione. Valori superiori per la Banca di Imola. Dal 10 febbraio 2018, il controvalore progressivo scambiato è stato di 500.000 euro, con un prezzo medio di 11,80 ad azione. Per salire ancora, occorre arrivare, ad esempio, alla Banca popolare del Lazio. Dal 29 dicembre 2017, il controvalore progressivo scambiato è stato di 715.000 euro, con un prezzo medio di 33 euro ad azione. Sono solo alcuni esempi, naturalmente se ne potrebbero fare altri, ma danno l'idea di un quadro abbastanza angusto. Si comprende bene che, in un contesto del genere, può succedere che il tentativo di disfarsi delle azioni non vada in porto, con relativi maggiori rischi per il socio azionista, che non solo si ritrova con un titolo acquistato a suo tempo a un valore molto superiore, ma non ha facilità a disfarsene.