2022-03-02
Il conflitto scalza la psicosi sanitaria. Ma discriminazioni e diktat restano
L’emergenza Covid non è più al centro della scena, sostituita dalla guerra. Tuttavia, divieti e restrizioni sopravvivono e le riaperture sono poche e incerte. Mentre gli altri Paesi hanno già rimosso quasi tutti i limiti.Avevamo dichiarato guerra a un virus cinese, poi la guerra vera è arrivata e ha scacciato il Covid dal podio delle emergenze. Peccato che gran parte delle limitazioni dei diritti costituzionali decise dallo Stato in camice bianco resti in vigore, a cominciare da quel green pass il cui percorso di abolizione è tutto da delineare. Non solo, anche se in questa fase i numeri della pandemia sono in flessione, basta confrontarli con quelli di novembre, sulla base dei quali il governo Draghi varò il suo giro di vite, e si noterà che oggi, in teoria, sarebbero peggiori. A riprova che pressione mediatica e volontà politica fanno premio sulle nude cifre. Il passaggio da un’emergenza all’altra è stato fulmineo, quasi quanto i razzi di Vladimir Putin. In televisione e alle radio, le virostar hanno lasciato il posto ai generali. Sullo sfondo, con un tempismo perfetto, il governo di Mario Draghi ha varato un nuovo stato di emergenza con la scusa di non farci morire di freddo o anche, semplicemente, di non farci stare in casa con il maglione di lana. Fino alla scorsa settimana, la mobilitazione totale aveva lo scopo di vaccinare l’intera nazione, grandi e piccini. Ora, il governo dei Migliori indossa l’elmetto per preservare i consumi di energia e difendere quel diritto alla mobilità a motore che con il primo lockdown andò a farsi benedire. Il generale Francesco Paolo Figliuolo, fino a pochi giorni fa rappresentazione plastica della «guerra al Covid», se ne torna nelle retrovie mediatiche; mentre esperti di bombe e armamenti vari guadagnano il centro della scena. In basso sui teleschermi basta solo cambiare la striscia rossa. Non c’è da disperarsi a vedere come la mono-ossessione da Covid stia sparendo. E forse adesso Roberto Speranza e i suoi suggeritori del Cts si ricorderanno, per esempio, che la sanità pubblica e privata deve curare anche i tumori e fare prevenzione oncologica. I contagi sono in netto calo, ma il ritorno alle normali libertà sarà comunque lento e tanti obblighi restano in vigore, anche se magari un po’ attenuati. Molti non ci hanno quasi fatto caso, ma da ieri è più facile viaggiare, perché è entrata in vigore l’ordinanza del ministero della Salute che abolisce la quarantena dai Paesi che non fanno parte dell’Ue. Basta quindi il green pass base, che però non è poca cosa: serve il certificato di vaccinazione, o quello di guarigione o un test negativo. Solo i bambini sotto i sei anni sono esentati dal test molecolare o antigenico, forse per ricordarci dove siamo arrivati in soli due anni. Senza il green pass base, scatta sempre la quarantena «a prescindere», ovvero cinque giorni al chiuso con obbligo di tampone finale. Se poi si accende anche la tv, sono cinque di arresti domiciliari con angoscia bellica globale incorporata. Sempre a causa di questo Covid scomparso per cause di tragedia maggiore, si possono finalmente riempire gli stadi fino al 75% della loro capienza massima prevista e i palazzetti dello sport fino al 60%. E poi, finisce il 10 marzo il divieto di andare a trovare i parenti in ospedale. Dallo stesso giorno, viene ristabilita anche una libertà meno importante ma comunque non più banale, come mangiare e bere al cinema e allo stadio. E mentre tutta Europa ha già rimosso quasi ogni divieto, il 31 marzo termina lo stato d’emergenza Covid (tanto c’è già quello per l’Ucraina) e la smetteremo con la storia delle Regioni a colori. Infine, basta con la follia delle quarantene scolastiche da mero contatto, uno dei simboli della psicosi di un Paese per vecchi. Per ancora un mese, comunque, sarà obbligatorio mettere la mascherina Ffp2 in classe. E il green pass, che ha creato innumerevoli disagi e l’illusione collettiva che un vaccinato non potesse prendersi il Covid (o attaccarlo)? Prima che Putin invadesse l’Ucraina e minacciasse tutto il vicinato, il premier Draghi aveva promesso un «graduale allentamento». Formula molto vaga e prudente. Dal primo aprile dovrebbe tornare libero l’accesso a palestre, ristoranti, bar e alberghi, ma non ci sono certezze. Il fatto è che il green pass è comunque maledettamente comodo per uno Stato che voglia controllare i suoi cittadini in modo pervasivo, sia sotto il profilo sanitario, che fiscale e finanziario. E quindi la battaglia per la sua abolizione sarà tutta da combattere, prima che l’esperimento sociale diventi realtà immutabile. Il green pass, del resto, è proprio il simbolo di quelle limitazioni dei diritti costituzionali che evidentemente sono sganciate dai dati del contagio (decisamente discutibili) e dei ricoveri in terapia intensiva (già più significativi). Se si prendono i dati ufficiali di ieri, per esempio, si registrano 46.631 nuovi casi, 233 morti, 6 ricoveri in meno in terapia intensiva, e un tasso di positività al 8,8%. A metà novembre, invece, quando il governo maturò la scelta del giro di vite attuale, i dati erano teoricamente migliori: 5.144 nuovi casi, 44 morti, 17 ricoveri in più in intensiva e un tasso di positività al 2,1%. Certo, non c’era Omicron, ma la stretta di dicembre è andata in scena senza distinguerla da Delta (più letale). In ogni caso, anche i numeri si sono piegati alla valutazione politica: due guerre insieme non si possono dichiarare.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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