2022-01-28
Il centrodestra si sfila dalle votazioni. Meloni indispettita, però Letta è stanato
Tensioni nella coalizione, che poi si astiene per indebolire i veti di dem, M5s, Leu e renziani. La sinistra abbocca e si sgretola.«Ha detto 18 volte no. Non bastano?». Matteo Salvini risponde con un’altra domanda, a chi gli chiede se al Colle tornerà Sergio Mattarella. Arrivato fino a 166 voti al quarto scrutinio, l’ex presidente rimane nei pensieri di chi non ha mezza idea di come uscire dal tunnel, soprattutto del centrosinistra senza un candidato. La giornata è idealmente nebbiosa, si muovono solo ombre. «Ecco i tre giorni decisivi», anticipa Enrico Letta scrutando l’orizzonte dopo aver bocciato tutti i nomi del centrodestra. «Qualunque candidato della loro area farà la fine di Berlusconi», fa sapere. Si muove come Richelieu però sembra Topo Gigio nel tentativo di nascondere una enorme debolezza: pretende di condizionare i nomi altrui ma non riesce a controllare neppure i suoi.La quarta votazione è una mezza trappola perché la destra a sorpresa di astiene, decide di bypassare una giornata inutile, quindi i votanti diventano 450. L’ordine di scuderia a sinistra è votare scheda bianca, ma alla fine ne mancano 188. Significa che i peones vanno a spasso, fanno capire di non essere compatti. Ogni imposizione è un azzardo, lo dimostrano i consensi a Mattarella, quelli al magistrato Nino Di Matteo (56, tutti pentastellati fuoriusciti), i pochi a Mario Draghi e a Giuliano Amato. Il preteso «campo progressista» è un dolce al cucchiaio, non lo tieni insieme neppure con lo strutto. Ne è testimonianza l’uscita di Giuseppe Conte: «Si vota scheda bianca». Luigi Di Maio sussurra: «Votate Mattarella». L’ex premier allarga le braccia trafitto nell’onore: «Bianca o Mattarella è uguale». Mentre a sinistra va in scena la balcanizzazione istituzionale, a destra Salvini e Giorgia Meloni hanno un severo scambio di vedute. Questione di strategia. La leader di Fratelli d’Italia preferirebbe puntare tutto su uno dei candidati indicati - Marcello Pera, Letizia Moratti, Maria Elisabetta Casellati, mentre Franco Frattini sale e scende ad ore alterne - e tentare di sfondare il muro di Berlino di Pd e alleati sparsi. Una prova di forza che il segretario della Lega vuole evitare: se perde, contro la parete ruvida ci finisce lui. «È una trappola, meglio mediare, c’è ancora margine», ripetono i suoi colonnelli. Nel pomeriggio i leader del centrodestra si incontrano, parlano con Silvio Berlusconi al telefono. E dopo avere ribadito il no a Pier Ferdinando Casini («È di sinistra, lo propongano loro») e ad Amato (nessun commento, solo smorfie), nella notte elaborano la strategia per oggi, primo giorno del giudizio. «Le prove di forza non ci interessano», spiega Salvini. «Le proposte le abbiamo fatte, siamo vicini a un nome che spero sia decisivo, chiediamo di accelerare. Puntiamo su un’eccellenza dell’area culturale di centrodestra. Chiuderci in una stanza con Letta e buttare via la chiave? Non ha senso, io tratto su nomi condivisi, non vado per litigare». Sulla stessa linea d’onda è Antonio Tajani: «Mai posto veti ma non vedo lo stesso garbo da parte degli altri». Rimangono nel limbo due nomi di garanzia, Elisabetta Belloni e Sabino Cassese. La prima, direttrice del Dipartimento informazioni e sicurezza, lascia perplessi perché in Europa l’unico presidente arrivato dai servizi segreti è stato Vladimir Putin. Per lei fa un tifo da stadio Di Maio, che l’ha avuta come tutor quando si perdeva nei corridoi della Farnesina: «È un profilo alto, ci ho lavorato al ministero degli Esteri. Ma non bruciamo nomi». Il secondo, insigne giurista, ha 86 anni e sconterebbe il veto dei 5 stelle; lo scorso anno durante i lockdown paragonò Conte a Viktor Orbán. In un’intervista alla Repubblica il costituzionalista commenta così il presunto interessamento di Salvini: «Non lo conosco. Vivo come i monaci stiliti, che scelsero di stare su una colonna. Ecco, non vedo nessuno, neppure i miei nipoti. Comunque attorno all’elezione del capo dello Stato si è creata un’attenzione smodata. Non trova che i problemi in Italia siano altri?». Le trattative non piacciono a Matteo Renzi, finora marginale e quindi con l’ego ipertrofico spettinato. «L’indecoroso show di chi ha scambiato l’elezione del presidente della Repubblica con le audizioni di X Factor dimostra una sola cosa: bisogna far scegliere il presidente direttamente ai cittadini». Come al solito dimentica l’altra metà del ragionamento: a opporsi con le baionette al presidenzialismo è la variegata sinistra sua alleata con il contorno del sistema mediatico compiacente. In questo scenario da palude torna improvvisamente a galla il drago per eccellenza, l’inquilino di Palazzo Chigi. Ieri ha telefonato a Berlusconi per sincerarsi delle sue condizioni fisiche; sembra che a tessere la trama sia stato proprio Salvini. Chi lo conosce sa che Draghi non ha ancora perso le speranze di traslocare al Quirinale. O di dare forma a una staffetta che preveda Mattarella o Cassese subito e lui fra due anni. L’architettura sembra complicata, a un Parlamento che oggi non riesce a condividere un nome si chiederebbe di blindare un accordo bizantino per dopodomani. Il centrodestra e i grillini continuano ufficialmente a fare muro. «Il premier è indispensabile al governo, sta bene lì dov’è», hanno ribadito in serata. Ma una fibrillazione fra i cronisti parlamentari indica che Super Mario potrebbe ancora essere un pretendente. «Un nome sulla scheda oggi c’è di sicuro», confermano dalla Lega e da Fratelli d’Italia. La corsa a tappe è estenuante, ma in fondo luccica il mare. E c’è chi si prepara alla volata.