2019-12-06
I grillini si scannano sul salva Stati. Pronta la scissione dell’ala pro Conte
Mercoledì il premier parlerà in Aula: se la risoluzione di maggioranza non passerà si aprirà la crisi. In 86 sarebbero sul punto di mollare Luigi Di Maio, che lavora a un suo documento e ha riavvicinato la Lega.L'Eurogruppo è il centro di coordinamento informale dei dicasteri delle Finanze dei Paesi che usano la moneta unica. La Ong anti corruzione: «Non garantisce il controllo democratico delle sue azioni».Lo speciale contiene due articoli.Il via libera definitivo alla riforma del Mes dovrebbe arrivare nei primi tre mesi del 2020, ma la mina a esplodere nel governo italiano, tra rischio rottura dell'alleanza giallorossa e nascita di nuove alleanze, potrebbe detonare la prossima settimana. Malgrado qualche telefonata, infatti, il rapporto politico e personale tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio è sempre meno saldo, al punto da mettere a rischio la tenuta del governo Pd-M5s. Del resto il ministro degli Esteri non ha fatto mancare bordate nella discussione sul Mes: «Siamo noi l'ago della bilancia. Decideremo noi come e se dovrà passare questa riforma, che è una cosa seria e su cui gli italiani debbono essere informati accuratamente».Parole che preoccupano il Pd, favorevole al nuovo fondo salva Stati, che ha già perso la pazienza, come evidenziato da Dario Franceschini e Graziano Delrio, ma anche dal segretario Nicola Zingaretti che continua a ripetere «non si può governare insieme se ci si sente avversari». Sul salva Stati la prossima data utile è quella dell'11 dicembre quando il premier Giuseppe Conte svolgerà nell'Aula del Senato «le comunicazioni del governo in vista del Consiglio europeo del 12 e 13 dicembre». Per quel giorno dovrebbe essere pronta una risoluzione di maggioranza, ma il M5s sarebbe pronto a non appoggiarla. Al suo posto dovrebbe presentare un'altra risoluzione a cui in questa ore sta lavorando Laurea Agea, sottosegretario alla Poltiiche Ue, incaricata da Luigi Di Maio. «Il ministro Gualtieri ha tenuto fede all'accordo, non ha dato luce verde al Mes», ha detto ieri la Agea, «Ora risoluzione di maggioranza in Parlamento, noi non firmiamo finché non conosceremo le altre riforme nel dettaglio. Ci vorranno mesi per capire se il pacchetto va a favore dell'Italia». Riuscirà Conte a convincere Di Maio a votare la risoluzione che equivale a una mozione di fiducia? Resta alta dunque la guardia sul Meccanismo che Di Maio ha «usato», non allineandosi con il Pd che ne decanta la «bontà», per non lasciare spazio all'ex alleato Matteo Salvini, che ha svelato i rischi di questa riforma. Per i grillini dissidenti bere l'amaro calice e allinearsi al premier sarà difficile anche perché sono consapevoli del fatto che Conte non è stato trasparente nelle comunicazioni sul Mes. Come ricordato dal leghista Claudio Borghi, i membri del governo (allora gialloblù) sono stati messi a conoscenza del contenuto del trattato solo il 15 giugno: «In una stanza chiusa di Palazzo Chigi, a quattro persone, con il capo ufficio di Conte, Goracci, che vigilava che non si prendessero appunti e fotografie. Altro che dicembre o marzo». Alberto Bagnai, fra i presenti, ha poi raccontato al compagno di partito: «Goracci mi ha poi convocato: dobbiamo vedere il documento (40 pagine) sotto la sua custodia, senza farne copie o appunti. Ci trattano come trattarono i parlamentari greci con il memorandum. Non ci è stato dato, come politici e come parlamentari, alcun potere di fare controproposte». Alla riunione, oltre a Bagnai e Massimo Garavaglia (entrambi del carroccio), erano presenti anche Laura Castelli e un assistente di Riccardo Fraccaro, che non possono fingere di non conoscere le tempistiche.Per un Movimento nato come anti europeista e che chiedeva addirittura l'abolizione del Mes è difficile ora abbassare la testa. In aggiunta il capo politico non può non considerare i sondaggi che danno il M5s settimanalmente in perdita a meno di 50 giorni dal voto in Emilia Romagna e Calabria. Quindi Di Maio è in un cul de sac: o segue Salvini nella battaglia e rompe l'alleanza giallorossa o salva il governo. Il leader della Lega nel frattempo continua a dire: «Il Mes sarà la loro Tav e potrebbero essere proprio i pentastellati a provocare l'incidente parlamentare». Intanto i sarebbero intensificati i contatti tra il Carroccio e alcuni «dissidenti» del M5s al Senato. Un'indiscrezione del sito Dagospia raccontava che Beppe Grillo l'altro giorno avrebbe minacciato Di Maio: «Occhio che ti scomunico da capo politico del M5s. Non solo per il pasticcio sul Mes e il tira e molla sulla prescrizione, ma anche per l'atteggiamento che stai adottando con il Pd (e Conte) dopo le elezioni in Umbria. E il governo deve andare avanti». Pronta la smentita dello staff di Di Maio che parla di «rapporti ottimi tra il fondatore e il ministro e quanto riportato è evidentemente frutto di una campagna denigratoria volta ad attaccare e screditare il capo politico M5S, che gode della massima stima e fiducia di Beppe Grillo».È sempre più evidente, malgrado l'investitura di Grillo, che tra Di Maio e i gruppi non ci sia proprio un'unità granitica e il suo controllo vacilla. Del resto mentre lui ripete ai suoi che «prima o poi bisognerà staccare la spina», tra i parlamentari si fa strada la convinzione che «si chiude la legge di Bilancio e Luigi manda tutti a casa». Però se l'ex vicepremier ha ritrovato il sostegno forte dell'amico Alessandro Di Battista e di Gianluigi Paragone, da sempre filoleghista, i «governisti», tra cui Fraccaro e Alfonso Bonafede non ci stanno a «rompere». E mentre in molti sostengono che Di Maio abbia l'intenzione di portare alla crisi di governo per poi proporsi con un proprio partito, ci sarebbero addirittura 86 pentastellati, tutti non ricandidabili, tra cui Roberto Fico, presidente della Camera, Laura Castelli, Manlio Di Stefano, Carla Ruocco, Carlo Sibilia e Alfonso Bonafede che potrebbero sostenere Conte evitando la fine del governo. Di fronte una drammatica scissione per evitare le elezioni e il crollo definitivo, potrebbe essere più conveniente pensare a un piano B: magari fare un accordo con la Lega per l'approvazione della nuova legge elettorale e poi andare lle urne. Praticamente, a parti inverse, la proposta fatta ad agosto da Salvini.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-grillini-si-scannano-sul-salva-stati-pronta-la-scissione-dellala-pro-conte-2641531601.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nella-dark-room-delleurogruppo-votazioni-segrete-e-nessun-verbale" data-post-id="2641531601" data-published-at="1757980193" data-use-pagination="False"> Nella «dark room» dell’Eurogruppo: votazioni segrete e nessun verbale Uno spettro si aggira per l'Europa, ma non si tratta del fantasma del comunismo menzionato nel lontano 1848 da Karl Marx e Friedrich Engels nella celebre prefazione del Manifesto del partito comunista. L'ectoplasma in questione è l'Eurogruppo, presideuto da Mário Centeno, vale a dire l'organo informale che riunisce i ministri dell'Economia e delle finanze dell'Eurozona. Di norma le riunioni di questo collegio si svolgono una volta al mese alla vigilia del Consiglio ecofin (che a sua volta raggruppa i ministri economici di tutta l'Ue), e a esse prendono parte anche il commissario europeo per gli Affari economici e monetari e il presidente della Banca centrale europea. Tra i suoi compiti rientrano la discussione di «questioni relative alle responsabilità condivise riguardo all'euro», al fine di garantire uno «stretto coordinamento delle politiche economiche tra gli Stati membri dell'area euro». Da un punto di vista pratico, l'Eurogruppo è chiamato a pronunciarsi nel merito di argomenti cruciali che comportano importanti ripercussioni per gli oltre 300 milioni di individui che abitano i Paesi aderenti alla moneta unica. Si va dalle semplici discussioni tematiche sulla crescita e l'occupazione, a questioni molto più scottanti quali la sorveglianza macroeconomica dei Paesi che hanno richiesto un piano di aiuti. Tanto per citare qualche esempio concreto, dall'inizio della crisi greca in poi l'Eurogruppo ha giocato un ruolo di primo piano non solo per quanto riguarda l'iter di concessione dei finanziamenti, ma anche nello stabilire - di concerto con la Troika - le durissime condizioni di rientro da parte di Atene. Nel corso dell'ultimo anno il ristretto simposio ha avuto modo, tra le altre cose, di pronunciarsi sulla tanto discussa riforma del Meccanismo europeo di stabilità. La riunione del 13 giugno scorso, in particolare, è stata decisiva in quanto ha sancito l'esistenza tra i convenuti di un «broad agreement» (ovvero un ampio consenso) sui contenuti della revisione del Mes. Vista la centralità delle questioni trattate, penserete voi, sarà tutto messo nero su bianco. E invece no. Più che a una «casa di vetro», la riunione dei ministri economici somiglia a un oggetto volante non identificato. Nessun verbale dei meeting (e di conseguenza nemmeno un dettaglio delle votazioni che si svolgono nel corso degli incontri), nessun quartier generale, nessuno staff. Anche se potrà sembrare un aspetto secondario, l'Eurogruppo, a differenza di tutte le altre istituzioni europee, non possiede un account Twitter, e ciò la dice lunga sul profondo deficit di comunicazione con l'esterno. Nonostante la prima riunione risalga al 1998 (inizialmente il club si chiamava Euro XI, solo dal 2001 con l'ingresso della Grecia nella moneta unica verrà adottato il nome attuale), il riconoscimento ufficiale arriva solo nel 2009. Poco più di una postilla, in realtà, con la pubblicazione di un paio di articoli all'interno di un protocollo (il numero 14) del Trattato di Lisbona. Solo un anno prima, invece, era stato emesso un documento (tuttora in vigore) che consta di appena otto pagine, esplicativo della metodologia di lavoro. Una disciplina normativa che il professor Roberto Baratta, ordinario di diritto dell'Unione europea all'università di Macerata, non esita a definire «esigua» e che «stride con la ricchezza della sua recente prassi applicativa». La scelta del «carattere transitorio dell'Eurogruppo», osserva ancora Baratta, potrebbe avere un senso «in attesa che l'euro diventi la moneta di tutti gli Stati membri dell'Unione», ma «in realtà l'organismo è meno transitorio di quel che si pensi». Non a caso nel tempo l'Eurogruppo si è guadagnato una pessima fama. Fa riflettere l'uscita tranchant dell'ex commissario agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, che nel 2017 lo definì «la pallida imitazione di un organismo democratico». «Chi governa l'area euro?», si è chiesta Transparency international, importante Ong fondata nel 1993 a Berlino e attiva nel settore della lotta alla corruzione. La risposta a questo quesito trova spazio all'interno di un lungo e dettagliato report pubblicato lo scorso febbraio a cura dell'organizzazione. E le cui conclusioni sono tutt'altro che positive. L'Eurogruppo viene definito da Transparency international un organismo «stranamente inconsistente» e «misterioso», che evade sistematicamente un «adeguata verifica delle responsabilità (accountability)». Vista la sua natura legale evanescente, l'Eurogruppo rischia di sfuggire a un controllo sia sul piano giudiziario («Se non è un organo ufficiale dell'Ue, chi è responsabile delle decisioni prese?»), sia su quello politico da parte dei singoli Stati membri. Certo, rimane sempre la possibilità di interpellare, a livello nazionale, i ministri dell'Economia del proprio Paese - un po' come accaduto in questi ultimi giorni con l'audizione di Roberto Gualtieri - ma un'iniziativa del genere non potrà mai dar conto a titolo esaustivo dell'immenso peso delle decisioni prese a livello di collegio. A seguito delle osservazioni critiche di Transparency international, a settembre i ministri economici hanno apportato alcune migliorie alle policy sulla trasparenza. «Le modifiche sono benvenute», ha commentato lapidaria la Ong, «ma l'Eurogruppo rimane ancora ben lungi dal garantire un controllo democratico delle sue azioni».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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