Guerra economica, la rinuncia ai turisti russi costerà all’Italia 2 miliardi di euro all’anno

L'Italia perde due miliardi di euro senza turisti russi
Tra le conseguenze della guerra in Ucraina e delle relative sanzioni sulla nostra economia c’è anche il prevedibile azzeramento del flusso di turisti russi nel nostro Paese, che nel 2019 (ultimo anno prima della pandemia) aveva fatto registrare un milione e ottocentomila arrivi e 5 milioni e ottocentomila presenze; una voce, quest’ultima, che nel 2013 aveva raggiunto la quota record di 8 milioni.
Gli arrivi sono i turisti ospitati nelle strutture alberghiere (a proposito: nel 2019 quattro russi su dieci hanno scelto un hotel di lusso), mentre le presenze sono i giorni di pernottamento.
«Il turismo di provenienza russa ha rappresentato una fonte di domanda vivace nell’ultimo decennio, con un picco di quasi otto milioni di presenze nel 2013», ha scritto qualche giorno fa l’Istat in una nota. «La prima crisi ucraina del 2014, con le sue conseguenze di sanzioni economiche e la svalutazione del rublo, avevano provocato un calo delle presenze dei russi in Italia che però, a partire dal 2017, erano tornate a crescere fino ai circa 6 milioni del 2019. Con gli effetti dell’emergenza sanitaria le presenze sono crollate a circa un milione nel 2020 e hanno avuto un ulteriore calo nel 2021 pari a circa il 40%».
ONDA ASIMMETRICA
Secondo una stima pubblicata dal portale lavoce.info, e basata sui dati dell’Istat e della Banca d’Italia, per l’Italia, il turismo dalla Russia vale(va) un giro d’affari di 1,5 - 2 miliardi di euro annui, il 3-4% dell’export turistico nazionale (cioè la spesa sostenuta dai turisti stranieri nel nostro Paese). Una cifra alla quale l’Italia dovrà per forza di cose rinunciare. Un’altra botta ad un settore che sta sì dando segnali di vita, ma che non si è ancora del tutto ripreso da due anni di restrizioni alla libertà di movimento imposte dalle politiche anti-Covid.
Una botta, inoltre, che investirà le principali destinazioni turistiche in modo asimmetrico, come nota ancora lavoce.info: per esempio, i russi rappresentavano il secondo mercato per Rimini (112 mila arrivi e 544 mila presenze nel 2019, dietro ai soli tedeschi), il sesto per Milano (182 mila arrivi e 431 mila presenze) e il dodicesimo per Venezia (161 mila arrivi e 525 mila presenze).
Escludendo le repubbliche ex sovietiche, l’Italia rappresentava la sesta destinazione preferita per i russi, alle spalle di Turchia, Finlandia, Cina, Thailandia e Germania. I turisti russi nel nostro Paese erano più numerosi di quelli spagnoli e cinesi. Non solo gli oligarchi con i loro mega yacht sequestrati dal governo e ora mantenuti a tempo indeterminato a spese dei contribuenti (in un anno i costi possono arrivare fino al 10% del valore dell’imbarcazione, si veda Verità&Affari del 27 aprile), a visitare il Belpaese era la classe media urbanizzata, assai propensa a passare le vacanze fuori confine (secondo l’Organizzazione mondiale del turismo la Russia è al decimo posto al mondo per numero di turisti) e ancor più propensa a spendere (sesta al mondo in questa voce).
CLASSE MEDIA
Nel 2019 un turista russo in Italia ha speso in media 947 euro e se si considera la spesa pro-capite giornaliera la cifra (145,6 euro) è inferiore solo a quella di giapponesi (232,4 euro), canadesi (156,6 euro) e cinesi (150,9 euro) e assai superiore a quella dei tedeschi (89 euro). A rimpiangere i russi saranno in special modo i negozianti, visto che particolarmente consistente era la quota di spesa da loro destinata allo shopping: 28,7 euro al giorno, quasi come i giapponesi (29,6 euro) e molto più di americani (16,6 euro) e tedeschi (13,4 euro).
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La sinistra ha un nuovo leader. Si chiama Zohran Mamdani e, anche se non parla una sola parola d’italiano, i compagni lo considerano il nuovo faro del progressismo nazionale. Prima di lui a dire il vero ci sono stati Bill Clinton, Tony Blair, José Luis Rodriguez Zapatero, Luis Inàcio Lula da Silva, Barack Obama e perfino Emmanuel Macron, ovvero la crème della sinistra globale, tutti presi a modello per risollevare le sorti del Pd e dei suoi alleati con prime, seconde e anche terze vie. Adesso, passati di moda i predecessori dell’internazionale socialista, è il turno del trentaquattrenne Mamdani.
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