2024-12-30
Giuseppe Lorenzetti: «La violenza dei giovani è figlia del relativismo. Il gender fa solo danni»
Giuseppe Lorenzetti (Facebook)
Lo psicologo: «L’educazione sessuale a scuola crea confusione. Il ‘68 ha distrutto l’idea di disciplina e lo stiamo ancora pagando».«L’educazione sessuale portata precocemente nelle scuole, e senza un’attenta sorveglianza, rischia di creare più confusione che chiarimenti. I social? Servirebbero misure drastiche per vietarne l’uso ai giovanissimi. Il disagio giovanile e l’esplosione di forme di violenza hanno origine nel disfacimento del sistema educativo della scuola e nella crisi della famiglia. Il tema dell’identità di genere, se affrontato in modo ideologico come spesso accade, rischia di creare danni molto seri». Giuseppe Lorenzetti, psicologo clinico esperto di adolescenza e disagio giovanile, affronta i temi del momento. «So che termini quali disciplina, regole e discernimento sono fuori moda da tempo ma proprio da quando si è imposto il relativismo valoriale e il buonismo, che tende a giustificare qualsiasi azione, sono esplosi casi sempre più frequenti di violenza tra i giovani».La scuola è diventata troppo permissiva? «La scuola ha subito una graduale perdita di credibilità. Gran parte dei giovani non credono più nel valore di questa istituzione. È un processo iniziato col ’68, quando è stato contestato un modello educativo senza avere una reale proposta alternativa. C’era il desiderio di imporre un sistema nuovo, ma senza avere la preparazione interiore per farlo nascere. Nel frattempo però il vecchio andava distrutto. Il primo nemico era l’idea della disciplina. Si pensava di poter vivere in un mondo senza regole. Il risveglio da questa ideologia è stato devastante e ancora oggi ne paghiamo le conseguenze. Gli insegnanti hanno perso ruolo e autorevolezza, oggetto di una contestazione incalzante. Sia chiaro: si può contestare l’autorità purché sia possibile sostituirla con un’altra e in particolare con l’autodisciplina. Qui invece c’è il vuoto. Gli insegnanti sono sempre più oggetto di critiche da parte di genitori che ne contestano il giudizio sui loro figli. La didattica a distanza durante il Covid ha dato un’altra spallata al sistema, trasformando la didattica in un gioco social. Questo sistema, dove mancano valori e tutto è relativo, ha contribuito a creare giovani fragili, impauriti, che si sentono schiacciati tra famiglie iper protettive e una società molto competitiva». Come mai tanti episodi di violenza tra i giovani?«Il tema della violenza è collegato alla mancanza di valori. La violenza è una conseguenza dell’incapacità di entrare in comunicazione con l’altro. Ai giovani mancano le parole, l’esercizio della pazienza e la consapevolezza che per raggiungere qualcosa serve impegno. La realtà virtuale li abitua ad una sorta di automaticità tra gesti e effetti. Allora si pensa che anche la vita sia così, cioè che ottenere qualcosa debba essere immediato e facile. Quando poi ci si scontra con la vita reale, emergono le frustrazioni, il senso di impotenza. Allo stesso tempo i giovani sono circondati dalla violenza, basta guardare le loro serie tv e ascoltare la loro musica. Per non parlare dell’effetto deleterio della diffusione delle droghe a cominciare da quelle considerate, a torto, leggere mentre provocano conseguenze importanti».Spesso però le azioni violente non sono punite in modo severo. Anche il sistema giudiziario è diventato permissivo?«Servirebbero pene orientate alla riabilitazione delle persone, severe ma capaci di far ritrovare la vita perduta. Bisogna prima di tutto dare la possibilità ai giovani di rendersi conto di quello che hanno fatto. La criminalità è la punta di un iceberg che spesso ha origine in un deserto valoriale».Quale è il ruolo della famiglia?«La famiglia è stata lasciata sola, sono state promosse politiche anti-demografiche, stiamo perdendo il senso della sacralità della vita. I genitori spesso sono incapaci di assumersi la responsabilità genitoriale, di guida dei figli. Cercano di assolvere il loro compito iper proteggendo i ragazzi ma impedendo loro, di fatto, di diventare adulti. Vorrei richiamare il passo del Vangelo secondo Matteo dove si parla della strage degli innocenti. Si rappresenta il potere che vuole distruggere il nuovo, rappresentato dai bambini. Gesù è salvato da Giuseppe e Maria ai quali compare un angelo. La famiglia può salvare i giovani nella possibilità di diventare adulti. Tuttavia se immaginiamo una trasposizione in chiave moderna di questa parte del Vangelo, probabilmente avremmo un Giuseppe che ha il sonno disturbato dai social e quindi non riesce a sognare l’angelo. Questo per dire che in famiglia spesso c’è una grande distrazione da parte dei genitori, anch’essi molte volte incapaci di diventare adulti e di assumersi le proprie responsabilità. È come se si cullassero in un’eterna giovinezza. Anche l’ideologia ambientalista ha penalizzato la scelta genitoriale, mettendola tra i nemici dell’ambiente. Chi dà alla luce i bambini sarebbe contro la salute del Pianeta, un’assurdità. Si è perso il vincolo sacro tra genitori e figli. Domina una cultura che pone i genitori sul banco degli imputati, giudicati dai figli. Questo alimenta la mancanza di rispetto delle giovani generazioni verso i più anziani e dunque verso la vita stessa che loro gli hanno trasmesso».La crisi della famiglia condiziona le nuove generazioni?«La famiglia, come ruoli distinti tra madre e padre, è stata smantellata. C’è uno sbilanciamento verso la funzione materna. C’è eccessivo accudimento dei figli e di conseguenza viene meno la funzione paterna e maschile che aiuta i figli ad assumersi le responsabilità. Dell’assenza dei padri se ne parla da anni. L’incapacità di rispettare i genitori nasce anche dalla secolarizzazione della nostra società, non è più riconosciuto il senso spirituale della vita. Questo fa sì che quando la vita pone i ragazzi di fronte a difficoltà, questi anziché affrontarle, non avendo gli strumenti di maturità per farlo, accusano i genitori».Cosa accade nelle famiglie mono gender? «I ragazzi per crescere hanno bisogno della dimensione del maschile e del femminile: il femminile è accoglienza e il maschile è forza che spinge il ragazzo a formare il carattere e a lasciare il nido. Non so se queste due dimensioni si riescano a ritrovare nelle famiglie mono gender ma penso sia sicuramente più difficile. Talvolta i giovani non riuscendo a trovare queste due dimensioni dentro la famiglia, le cercano fuori casa, negli insegnanti e negli educatori ma anche questi stanno diventando carenti». La manovra ha istituito un fondo per creare la figura dello psicologo a scuola. Cosa ne pensa?«Lo psicologo rischia di diventare come don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento, se non è inserito in un contesto preparato ad accoglierlo. Ci devono essere cuori preparati all’ascolto. Lo psicologo che non è inserito in una realtà educativa ricettiva, faticherà ad esercitare il suo compito e non riuscirà ad essere sufficientemente efficace». È stata inserita anche l’educazione sessuale nelle aule.«L’educazione sessuale, inserita precocemente nei programmi scolatici, rischia di portare più confusione che chiarimenti, alimentando delle domande per le quali è troppo presto cercare risposte. I giovani vanno educati prima all’ascolto di loro stessi. Temo che questa materia possa essere trattata in maniera avventata e frettolosa. Penso alla transizione di genere per minorenni, misura estrema, proposta come soluzione quasi naturale al problema. Non a caso, il Regno Unito, che è stato tra gli apripista di questo approccio interventista, ha fatto retromarcia sui bloccanti della pubertà. Col pretesto di creare inclusione e rispetto per le differenze, si rischia di affrontare il tema in modo superficiale, e invece di portare aiuto a chi vive questa situazione di difficoltà, gli si fornisce una soluzione pronta per l’uso, prendere o lasciare. Questo è antitetico alla clinica e all’educazione. L’educazione è un percorso complesso, comporta anche sofferenza, ma al giorno d’oggi questa sembra bandita. La sofferenza non deve esistere, tutto deve avvenire in modo rapido e indolore. È il meccanismo dei social dove basta un clic per avere un risultato. Ma senza un lento processo di crescita e educazione si vive in modo disordinato e impulsivo. Siamo in un contesto di relativismo dilagante, tutto è lecito e va bene e i giovani si perdono». Ma lei crede nei giovani?«Assolutamente sì, hanno grandi potenzialità e se vengono messi nelle condizioni di esprimerle, se viene ridata loro dignità, possono ribaltare questa situazione opprimente. La società sta vivendo un punto basso della sua storia, va ritrovato un collegamento tra generazioni. Senza il dialogo, il cambiamento non è possibile, senza rispetto dei genitori non c’è rispetto della vita». Alcuni Paesi stanno introducendo misure per limitare l’uso di internet tra i giovanissimi «Sono favorevole a bloccare i social ai giovanissimi. I dispositivi elettronici possono fare danni enormi dal punto di vista cognitivo e dei messaggi che trasmettono. Servono misure drastiche, studiate con l’ausilio della ricerca e il confronto tra specialisti. Siamo vittime dell’ideologia del progresso, quello che arriva in quanto nuovo è anche giusto e non possiamo opporci. Ma il progresso, se non è scelto e ragionato, non è vero progresso. Mettere in mano ai ragazzi un meccanismo senza sapere gli effetti che provoca, è stato un atto di leggerezza imperdonabile. Alcuni studi hanno dimostrato che le dipendenze dagli schermi sono assimilabili a quelle da sostanze stupefacenti. Possono provocare danni irreversibili e i ragazzi non lo sanno. Bisogna aiutare le famiglie affinché non siano sole nell’azione di creare consapevolezza dei loro figli sugli effetti nocivi dei device. La politica dovrebbe occuparsi in modo prioritario di queste tematiche. Durante il Covid il Paese è stato bloccato per un anno con interventi drastici, è il segno che se si vuole veramente affrontare di petto un problema, come quello delle dipendenze, si può fare».