2018-04-26
Giorgetti, l’inaffondabile candidato a tutto e senza nemici
Parlamentare da sei legislature, da anni è vicesegretario della Lega e ombra di Matteo Salvini, dopo esserlo stato di Umberto Bossi e Roberto Maroni. Teorico del basso profilo, sgobba in silenzio. Ma nell'ultimo mese e mezzo è cambiato e imperversa su ogni tv ripetendo l'ovvio.Tempo fa, un collega decise che doveva intervistare a tutti costi il leghista Giancarlo Giorgetti. Giorgetti, allora, non aveva ancora la notorietà raggiunta nelle ultime settimane quando è stato candidato a tutto: alla presidenza della Camera, poi andata al grillino Roberto Fico; al ministero dell'Economia nel caso di un governo Lega-M5s; a Palazzo Chigi se l'irruente Matteo Salvini risultasse troppo scomodo. Era, tuttavia, una personalità già ragguardevole. Da anni, è vicesegretario della Lega e ombra di Salvini. In precedenza, era stato l'ombra di Roberto Maroni, quando il segretario era lui (2012-2013) e prima ancora fu l'ombra del senatùr, Umberto Bossi, il capostipite. Insomma, questo Giorgetti pur nelle vesti di ombra del segretario di turno aveva una propria appetibilità giornalistica. Ma ciò che ingolosiva di più il mio amico era che Giorgetti non si lasciava mai intervistare da nessuno. Se gli telefonavi in ufficio, la segretaria prometteva che avrebbe riferito e poi spariva. Se lo chiamavi direttamente, non rispondeva al cellulare. I dinieghi, si sa, sfidano i giornalisti come le ritrosie di una dama eccitano i bellimbusti. Fu così che il collega mobilitò deputati e militanti perché intercedessero presso l'inavvicinabile. Un vero e proprio assedio durato giorni, in diversi scenari: alla Camera a Roma, nella sede leghista di Via Bellerio in Milano, perfino a Cazzago Brabbia, sul lago di Varese, il borgo di pescatori dove il vice segretario è nato 51 anni fa, abita con la famiglia e di cui fu a lungo sindaco. Alla fine, Giorgetti si arrese. «Vada per l'intervista», mandò a dirgli, «ma in Svizzera» (che è a due passi dal lago). Quando gli arrivò il messaggio, il collega scoppiò a ridere e non se ne fece nulla. Questo è Giancarlo. Teorico del basso profilo e genio della precauzione tanto da immaginare una chiacchierata oltre confine lontano da occhi indiscreti come quel personaggio di Graham Greene che accettò un colloquio purché avvenisse su una giostra. O meglio: questo era Giancarlo. Nell'ultimo mese e mezzo è cambiato. Pare siano andati in delegazione a dirgli di smetterla di fare la suorina e di metterci invece la faccia ora che la Lega puntava a palazzo Chigi. Gli si affidava il ruolo del leghista tranquillo contrapposto al peperino Salvini. Giancarlo ha obbedito e, oltre ad affiancare il segretario nei colloqui con Sergio Mattarella, è dilagato sui giornali senza dire nulla. Ha imperversato su ogni tipo di tv, con la barbetta alla Mickey Rourke, ripetendo l'ovvio: il governo si farà o anche no. Così, è salito sulla ribalta nazionale un personaggio che era sulla scena da tempo immemorabile ma confinato sullo sfondo. Mentre nessuno si accorgeva di lui, Giorgetti, ha infatti accumulato la bellezza di sei legislature. È entrato alla Camera nel 1996, ventinovenne, dopo una laurea in economia alla Bocconi, un'esperienza di revisore contabile nel Comune di Varese e di commercialista nell'avviato studio Gianluca Ponzellini (suo cugino e dello stesso ceppo di Massimo Ponzellini, banchiere fiduciario di Bossi)-Angelo Provasoni, illustre docente. È stato per otto anni presidente della commissione bilancio, durante gli ultimi governi di Silvio Berlusconi (2001-2006 e 2008-2011), diventando così un'eminenza grigia della contabilità nazionale. Ha forti legami con Giulio Tremonti, l'ex ministro valtellinese dell'economia, e ottime liaison con Bankitalia dai tempi del governatore, Antonio Fazio, proseguite con i successori, Mario Draghi e Ignazio Visco. Era inevitabile che gli Usa si accorgessero di lui. L'ambasciata cominciò a corteggiarlo, invitandolo di qua e di là. Oggi è un referente d'Oltreoceano, come lo è da tempo Giorgio Napolitano. Sulla base di quest'affinità, l'allora presidente lo nominò, nel 2013, tra i «saggi per le riforme» in attesa che debuttasse il governo Letta. Gli addetti lo chiamano perciò l'Amerikano e lo indicano come appartenente al gruppo Bilderberg. Di certo c'è solo la sua frequentazione dell'Aspen Institute, che è sempre roba di banchieri. Si ignora, invece, se Giancarlo condivida le critiche all'euro di Salvini. La posizione ufficiale della Lega è quella dei due neo parlamentari, Claudio Borghi e Alberto Bagnai, favorevoli all'uscita. Mi risulta però che quando Giorgetti partecipa a simposi internazionali e qualcuno si pronuncia contro la moneta unica - è accaduto tempo fa con Paolo Savona - prenda le distanze, nei tu per tu coi convitati, tra un cin cin e un'olivetta, da quella che considera una vuota velleità.Un altro soprannome di Giancarlo è il Tappo. Non certo per l'altezza, che supera l'1,85, ma perché resta sempre a galla quali che siano le tempeste che scuotono la Lega. Ho già detto che è stato l'ombra di tutti i segretari, passando dall'uno all'altro con sbalorditiva tempestività. Fu vicinissimo a Bossi dopo l'ictus del 2004. Senza mai entrare nel «cerchio magico», che isolò il leader dal partito, divenne portavoce dell'infermo. Tale restò anche quando, scoperte le spese satrapiche di familiari e famuli del senatùr, Bobo Maroni prese in mano ciò che restava della Lega.E qui, proprio alla vigilia della bergamasca notte delle scope (aprile 2012) proclamata da Bobo per dare un colpo di ramazza a Bossi e i suoi, il Nostro commise una terribile imprudenza. Si prese infatti la briga di comunicare, a nome dell'Umberto, la fatwa che costui - credendosi ancora in sella - scagliò contro Bobo. «D'ora in avanti», disse, «è vietato a Maroni di fare comizi e incontrare militanti». Il proclama, anziché evitare il putsch, lo accelerò. I leghisti, disgustati per gli abusi del cerchio magico, erano infatti tutti col golpista per necessità. Il senatùr fu messo in naftalina e il potere passò alla generazione successiva dei Maroni e dei Salvini. Per Giorgetti che aveva fatto un po' la figura del pirla, tipo ultima raffica di Salò, poteva a questo punto finire male. Maroni invece lo perdonò e ne fece il suo braccio destro. Di qui, la sua meritata fama di galleggiatore inaffondabile. La realtà è che Giancarlo non sgomita e sgobba in silenzio. In un discorso, fece l'elogio del «militante ignoto» che si sacrifica gratis et amore dei per il partito. Non sarà un fulmine di guerra della politica ma se ne sente parlare solo bene. Un'altra caratteristica è che non perde la calma neanche nelle circostanze più imbarazzanti.Sentite questa. Nell'estate del 2004 gli fu portata una mazzetta a Montecitorio. Sulla sua scrivania di presidente della commissione Bilancio si trovò 100 biglietti da 500 euro, avvolti in una copia di Repubblica. Glieli aveva lasciati in sua assenza Giampiero Fiorani, il banchiere della Popolare di Lodi che tentava la scalata dell'Antonveneta. Un modo di ringraziarlo per non averlo ostacolato. Al rientro, visti i 50.000 euro, Giancarlo telefonò senza scomporsi a Fiorani. «Torna indietro e riprendili», gli disse. «Sono all'aeroporto. Vengo tra un paio di giorni», rispose l'altro che, tempo dopo, raccontò la vicenda ai magistrati. Quando si riaffacciò, Giorgetti, restituendo il malloppo, disse: «Se vuoi, puoi aiutare il Varese». Squadra di pallone di cui è tifosissimo, assieme al Southampton di cui presiede il fan club italiano. Fiorani eseguì e tutto si chiuse senza denunce. Tra uomini di mondo.
Friedrich Merz e Giorgia Meloni (Ansa)
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