2025-08-21
Germania, basta follie per il green. Via i sussidi al solare domestico
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Getty Images)
Il governo pensa di mettere fine agli incentivi a pioggia: «I pannelli redditizi da sé».Contrordine da Berlino, compagni. Basta con i sussidi ai pannelli solari domestici. Il ministro dell’Economia Katharina Reiche (Cdu) vuole abbattere la scure sulle generose tariffe fisse corrisposte alle famiglie che si dotano di un impianto fotovoltaico sul tetto di casa. «I nuovi impianti fotovoltaici di piccole dimensioni sono già redditizi sul mercato e non necessitano di alcun sussidio», ha detto il ministro in una intervista qualche giorno fa. Incentivi troppo costosi per lo Stato, ma anche causa di diversi problemi alla rete. Potrebbe presto finire la cuccagna di un ventennio di tariffe fisse garantite per ogni kilowattora. Chi ha già il pannello resterà protetto da una clausola di salvaguardia, ma i nuovi arrivati dovranno arrangiarsi: obbligatorio dotarsi di sistemi di accumulo (batterie) e intelligenza di rete. Dal cielo arriveranno solo i raggi solari e non più la manna dei sussidi statali. Sempre se Reiche ce la farà.La storia di questi incentivi risale nel tempo e pesa centinaia di miliardi di euro. Dal 2000 la Germania ha elargito prezzi garantiti ai produttori di energia dal sole: vent’anni di pagamenti sicuri, calanti per chi arrivava tardi. Un impianto messo in funzione nel 2010 riceve ancora oggi 28 centesimi a kilowattora (ancora per cinque anni). Gli impianti più recenti solo 7,86 cent/KWh. Nel 2023 le casse pubbliche tedesche hanno sborsato oltre 8,5 miliardi di euro in feed-in tariff e gli esborsi proseguiranno per molti anni a venire. L’esercito dei pannelli sui tetti è cresciuto a dismisura. Nel biennio 2023-2024 si sono installati più di un milione di impianti privati, numeri impressionanti, soprattutto per un Paese che ha relativamente poco sole. Secondo alcune stime, un impianto-tipo a tariffa in Germania (senza accumuli) si ripaga in 12 anni, con 8 anni di guadagno fino a fine vita. I pannelli diventano investimenti semi-bancari, insomma, con tassi di rientro sicuri.Ma senza tariffa ci vogliono 22 anni, quando, a quel punto, l’impianto è da sostituire. Con l’accumulo (cioè una batteria che immagazzina l’energia prodotta e non consumata direttamente), i conti cambiano: a fronte di una spesa iniziale più alta, in 13 anni questa viene coperta, anche senza incentivi, perché la maggior parte dell’energia autoprodotta viene consumata e non immessa in rete.Reiche sta facendo tesoro della lezione del blackout in Spagna: l’euforia del pannello solare dappertutto mette in difficoltà la rete. Secondo il ministro, gli impianti fotovoltaici dovrebbero essere collegati a sistemi di accumulo ed essere controllabili, partecipare al mercato e commercializzare la propria elettricità. Dovrebbero cioè essere collegati alle esigenze di equilibrio della rete elettrica. Una posizione sana, effettivamente, dopo decenni di assalto alla rete da parte di impianti fotovoltaici più o meno grandi (o più o meno piccoli). Protestano, ovviamente, i Verdi, con il vicepresidente del partito, Sven Giegold, che accusa Reiche di fare gli interessi dei grandi produttori.La proposta, in effetti, piace ai grandi produttori, con l’ad di Eon Leonhard Birnbaum che ha manifestato apprezzamento per la proposta: «Quando, se non ora, dovremmo interrompere i sussidi?» ha detto pochi giorni fa.È vero che i pannelli solari domestici portano via mercato alle grandi utility, che dunque vedono con favore l’eliminazione della concorrenza. Ma è anche vero che lo stesso governo tedesco, sotto la spinta dei Verdi nei decenni passati, ha insistito molto sulla produzione distribuita di energia, trasformando le famiglie in piccoli azionisti della transizione energetica.Ora però la realtà presenta il conto. Da una parte il costo dei sussidi pubblici sta esplodendo, dall’altra i ritardi sugli sviluppi della rete mettono a rischio la sicurezza dell’approvvigionamento. Una sana dose di realismo sembra avere preso piede a Berlino.
Simona Marchini (Getty Images)