2025-05-17
Vagonate di soldi per registi e attori. Ma la Archibugi spara contro Giuli
La film-maker è «sconvolta per la cultura sotto assedio». Eppure i suoi conti non tornano.Come il nostro giornale sta raccontando in questi giorni, lo Stato italiano non risparmia soldi al cinema come, invece, sostengono attori e registi. Le politiche dei governi di centrosinistra hanno creato un sistema che, però, favorisce soprattutto lo spreco di denaro pubblico, senza un controllo adeguato. Del resto, quando i numeri iniziano a raccontare un’altra storia, quando gli incassi non coprono nemmeno la metà di quanto investito, è inevitabile porsi qualche domanda sulla sostenibilità di questo modello.Il caso di Francesca Archibugi è emblematico. Regista nota, spesso celebrata dalla critica, ha ricevuto negli ultimi anni oltre 7,1 milioni di euro in finanziamenti pubblici per tre film: Vivere nel 2019, Il colibrì nel 2022 e Illusione nel 2024. A fronte di questa cifra, gli incassi complessivi si fermano attorno ai 3 milioni. Vivere ha incassato 455.000 euro a fronte di 1,1 milioni ricevuti, Il colibrì ha avuto un risultato più dignitoso (3 milioni incassati contro 3,6 milioni pubblici) mentre Illusione, con i suoi 2,4 milioni di contributo, è ancora in lavorazione. Nonostante questo bilancio, la regista ieri si è confidata con Repubblica e si è definita «sconvolta». Ma non per i conti, bensì per lo scontro tra il ministro della Cultura, Alessandro Giuli e l’attore Elio Germano. Archibugi è tra coloro che hanno firmato un appello, insieme ad altri 500 del mondo dello spettacolo, invocando un incontro con il ministro e parlando di attacchi personali o di cultura sotto assedio.Secondo lei, siamo di fronte a una deriva pericolosa, paragonabile alla retorica trumpiana negli Stati Uniti. A ben vedere, l’unica cosa veramente impressionante in tutta questa storia sono i numeri. In un Paese in cui i fondi pubblici sono limitati e le priorità spaziano dalla sanità all’istruzione, l’idea di spendere milioni per film che il pubblico non vede può risultare forse romantica ma di sicuro poco utile per i conti pubblici. Il punto, infatti, non è censurare né politicizzare la cultura, ma chiedersi se esista un criterio oggettivo nella distribuzione delle risorse. Perché chi riceve tanto e restituisce poco dovrebbe almeno spiegare come pensa di colmare quella distanza. E il caso Archibugi non è l’unico.Tra i firmatari dell’appello c’è anche Mario Martone, che ha beneficiato di finanziamenti su ben quattro titoli. Tra questi, Il sindaco del rione Sanità e Qui rido io, hanno avuto un rendimento molto basso, restituendo meno di un euro per ogni euro speso. Nel complesso, i film di Martone hanno ricevuto circa 7 milioni di euro in contributi pubblici, generando incassi complessivi inferiori a 3,6 milioni di euro. Il rapporto incassi-contributi varia tra lo 0,46 e 0,99, con l’eccezione di Fuori, per il quale non sono ancora disponibili dati sugli incassi.Anche Paolo Sorrentino ha ricevuto oltre 11 milioni di euro per Parthenope, ma il film ha incassato poco più di 7,5 milioni. Mentre Jasmine Trinca, al debutto da regista con Marcel!, ha ottenuto 1,4 milioni di euro pubblici, incassandone meno di 40.000. Marco Bellocchio, maestro indiscusso del nostro cinema, ha raccolto con Rapito 1,9 milioni contro i 5,3 ricevuti. Per fortuna esistono anche casi virtuosi, a dimostrazione che il meccanismo del finanziamento pubblico può funzionare se gestito con criterio. Paola Cortellesi, con C’è ancora domani, ha fatto registrare un incasso di oltre 36 milioni di euro, a fronte di un contributo di circa 3,1 milioni. Ogni euro pubblico ne ha generati più di undici. Ferzan Ozpetek, con La dea fortuna, ha incassato quasi sei volte il contributo statale ricevuto. Qui lo Stato ha fatto la sua parte, ma anche il pubblico ha risposto. E allora la domanda diventa inevitabile: perché continuare a finanziare a pioggia, senza alcuna verifica a posteriori? Perché premiare chi non restituisce nulla in termini di attenzione, impatto, dialogo con il pubblico? Come sta raccontando La Verità in questi giorni, manca un vero sistema di controllo, una valutazione concreta delle performance, una volontà politica di distinguere tra sostegno alla cultura e assistenzialismo cronico. Si finanzia in nome della cultura, ma senza chiedere conto a posteriori. Eppure parliamo di soldi pubblici, non di mecenatismo personale. Del resto quanti Marcel! possiamo ancora permetterci?
Emanuele Fiano (Getty Images)
Emanuele Fiano (Imagoeconomica)