2022-10-05
L'Europa si accende di magia grazie ai festival delle luci
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A partire dal Kernel Festival di Monza, un viaggio nelle più belle città del Vecchio Continente che nei mesi più bui dell'anno si illuminano grazie a performance e opere digitali.I concerti a lume di candela arrivano per la prima volta anche a Bologna, Firenze, Genova e Palermo. Tra quelli in programma, omaggi ai Coldplay e ai Maneskin.Lo speciale contiene due articoli e gallery fotografiche. «Io sono fatto per la luce» dichiarava il grande filosofo Friedrich Nietzsche. Oggi sono milioni i turisti che ogni anno si dirigono verso le più belle città d’Europa per ammirare i loro festival delle luci, eventi artistici ormai diventati una caratterista dell’intrattenimento e del turismo urbano. Un fenomeno coadiuvato dai social, dove compaiono oltre 300.000 post Instagram recanti l’hashtag #lightfestival e 18 milioni di visualizzazioni su Tiktok. I festival delle luci non si limitano però alla cassa di risonanza dei social. Secondo una ricerca della Lighting Urban Community International, un’amministrazione, investendo un dollaro nell’organizzazione di un evento del genere, può arrivare a triplicare l’investimento (3,50 dollari) con effetti concreti sullo sviluppo dell’intera economia locale. Il primo festival della storia si è tenuto nel 1999 a Lione, in concomitanza con la celebrazione per la Vergine (8 dicembre). L’evento negli anni si è ingrandito, coinvolgendo sempre più persone e sempre più aree della città fino a interessare 1,8 milioni di turisti e 70 siti nel 2019. Ma nell’ultimo decennio, i festival sono diventati un vero e proprio fenomeno di massa con grandi metropoli internazionali come Amsterdam, Barcellona e Londra che hanno iniziato a organizzare appuntamenti a tema. È l’Italia però a fare da apripista alla stagione autunno-inverno 2022-23 dei light festival europei con il Kernel Festival di Monza, conclusosi lo scorso 2 ottobre. Installazioni di luce, performance di audiovisual 3D mapping e opere digitali realizzate da rinomati artisti italiani e internazionali, hanno illuminato per dieci giorni i principali beni storico-artistici della città, come la celebre Reggia di Monza e i Boschetti Reali, valorizzandoli agli occhi degli oltre 120mila monzesi e delle decine di migliaia di turisti che invaderanno il capoluogo brianzolo.«I festival della luce possono avere degli effetti diretti anche sulla rigenerazione dell’immagine di una città: i modi unici in cui luci e ombre agiscono su uno spazio fisico possono approfondire la nostra esperienza dei luoghi che viviamo ogni giorno, rivelando qualità spaziali altrimenti non visibili a prima vista» ha raccontato Marcello Arosio, art director del Kernel Festival. «Eventi come questi danno una nuova definizione dello spazio pubblico, rimodellandone la memoria e cambiando il modo in cui i cittadini percepiscono un luogo urbano».Al festival di Monza, seguirà dal prossimo 13 ottobre - per tre giorni - la decima edizione del Signal Festival di Praga, il più importante evento di cultura digitale e creativa della Repubblica Ceca, che è stato in grado di accogliere, in quasi un decennio, oltre tre milioni di visitatori, mettendo in collegamento arte visiva contemporanea, spazi urbani e moderne tecnologie.Seguiranno a novembre, il festival d’arte gratuito Fjord Oslo (3-6 novembre) che trasformerà l’Harbour Promenade della città in una mostra di luce a cielo aperto e Glow (12-19 novembre), il festival di arte urbana di Eindhoven con installazioni di 35 famosi artisti della luce olandesi e internazionali.Dicembre sarà invece il mese della Fête des Lumières di Lione che dall’8 all’11 del mese animerà la città con circa 30 opere che si combineranno con installazioni e mappature monumentali. Durerà invece due mesi l’Amsterdam Light Festival, l’evento che ogni anno trasforma il centro della città olandese in una tela per l’arte della luce. A gennaio sarà invece la volta di Lux Helsinki (4-8 gennaio), del Lilu Light Festival Lucerne (12-22 gennaio) e di Winter Lights (19-28 gennaio) l’evento londinese ideato da Connected by Light che accenderà il cielo grigio di Londra e dello skyline di Canary Wharf con esposizioni, emanando bagliori caldi e colori espressivi.La stagione delle luci termina a Barcellona con Llum BCN (3-5 febbraio) quando il quartiere Poblenou si trasformerà in un laboratorio urbano a cielo aperto che sfiderà i sensi e determinerà le tendenze future nel mondo dell'arte, del design, dell'illuminazione urbana e della partecipazione dei cittadini alle opere arte.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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