
Oggi la Corte costituzionale affronta il caso della donna che non può accedere al suicidio assistito e chiede che la «dolce morte» possa essere somministrata dal suo medico. Una coppia di pazienti vuole essere ascoltata per ribadire il proprio no alla pratica.La Corte costituzionale alla prova dell’eutanasia. Stamane alle 9.30, infatti, presso la Consulta si terrà una udienza di enorme rilievo: quella in cui si stabilirà se aprire o meno, anche in Italia, alla «dolce morte», dopo che il suicidio assistito è già stato parzialmente depenalizzato con le sentenze 242 del 2019 e 135 del 2024. Si è arrivati a questo punto dopo che il tribunale di Firenze ha chiesto alla Corte costituzionale di stabilire se sia conforme ai principi della Costituzione vietare del tutto e in ogni caso, ex articolo 579 del Codice penale, l’omicidio del consenziente - e, quindi, l’eutanasia - o se, invece, possano esservi delle eccezioni.Tale richiesta è stata originata a partire dalla vicenda di «Libera», nome di fantasia scelto da una signora toscana di 55 anni, la quale, del tutto paralizzata per una sclerosi multipla, ha ottenuto dalla sua Regione accesso al suicidio assistito ma, data la sua condizione, pare non possa morire dandosi autonomamente la morte; di qui il ricorso d’urgenza della signora, che è assistita dai suoi legali coordinati da Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Luca Coscioni, che chiede che possa essere il suo medico di fiducia a somministrarle il farmaco letale. Accanto a tale istanza, ve n’è però anche un’altra: quella di due malati che chiedono il mantenimento del divieto dell’eutanasia.Si tratta di due cittadini, il signor Vanny Lucarelli, residente in provincia di Perugia, e la signora Maria, leccese che vive a Roma, i quali chiedono anzitutto, assistiti dagli avvocati Mario Esposito del foro di Roma e Carmelo Leotta del foro di Torino, di essere ammessi in giudizio. Entrambi gli avvocati sono reduci da un’esperienza positiva: quella di essere stati ascoltati sempre dalla Consulta lo scorso marzo, quando hanno rappresentato ai giudici le istanze di quattro malati contrari all’estensione dei requisiti del suicidio assistito. Un’udienza dalla quale, il 20 maggio scorso, è uscita la sentenza 66 con cui la Corte non solo non ha allargato le maglie del suicidio assistito, ma ha denunciato apertis verbis le «derive sociali o culturali che» inducono «le persone malate a scelte suicide quando, invece, ben potrebbero trovare ragioni per continuare a vivere ove fossero adeguatamente sostenute dalle rispettive reti familiari e sociali, oltre che dalle istituzioni pubbliche nel loro complesso». E domani come andrà? La Verità ne ha parlato con l’avvocato Leotta, cautamente ottimista sul fatto che le istanze che lui e il collega rappresentano possano essere esposte alla Corte: «Sul fatto di essere ammessi a processo abbiamo delle discrete speranze, in considerazione dell’attenzione la Corte ha già prestato nella scorsa udienza il 26 marzo ai malati che sono portatori di un’istanza di tutela della vita». Quanto alle argomentazioni che i due malati intendono portare all’attenzione dei giudici, assistiti da Esposito e Leotta, quest’ultimo precisa: «L’avvocato Esposito e io rappresentiamo due malati contrari sia al suicidio assistito sia all’eutanasia, però consapevoli che la loro scelta di vivere è una scelta assunta quotidianamente in un contesto di sofferenza e, quindi, di sfida di tutti i giorni». In tale quotidianità, il divieto dell’omicidio del consenziente rappresenta, è la loro tesi, un presidio di vita e di libertà insieme, perché non solo impedisce che vengano uccisi, ma afferma anche l’indisponibilità del loro corpo. Di conseguenza, spiega Leotta, questo è il messaggio che i due vogliono lanciare: «Noi oggi vogliamo vivere, non vogliamo né il suicidio assistito né l’eutanasia, ma se un domani, Dio non voglia, scegliessimo di concludere la nostra esistenza con una morte assistita, vogliamo essere noi i padroni assoluti di questo gesto. Altrimenti altri potrebbero disporre della nostra vita». Che è quanto, appunto, avviene con l’eutanasia che vede un terzo, medico o infermiere, avere nella procedura di morte un ruolo non solo attivo «ma esclusivo: fa tutto lui», continua il legale che col collega Esposito intende richiamare l’attenzione anche su due aspetti ritenuti non «sufficientemente approfonditi nell’ordinanza con cui il tribunale di Firenze ha rimesso la questione alla Corte». I due aspetti riguardano il caso della signora ricorrente la quale, a quanto pare, avrebbe non solo ottenuto la possibilità del suicidio assistito, ma anche due opzioni da parte della commissione medica: per via orale o per via endovenosa. Solo che lei rifiuta la via orale e, al momento, la pompa infusionale azionabile con la bocca non risulterebbe disponibile. «Ma il punto qui è», sottolinea l’avvocato Leotta, «che se la commissione medica e lo stesso medico curante della ricorrente hanno detto che il suicidio assistito sarebbe praticabile anche con l’assunzione orale di una sostanza, si può affermare che diritto di autodeterminazione terapeutica è stato violato?». «È come se», prosegue il legale che, per inciso, è ben contento che la signora non si sia tolta la vita con il mezzo disponibile («E speriamo non lo faccia mai»), «a uno si dicesse: a Firenze puoi andare in treno o in aereo; se vuoi c’è qua il biglietto del treno. E lui rispondesse: no, o vado in aereo oppure il mio diritto di andare a Firenze è leso».«A fronte dell’esistenza in concreto di una modalità, approvata da medici, di esercizio autodeterminazione terapeutica, non si può lamentare che autodeterminazione è stata lesa se il malato sceglie una modalità non disponibile», sottolinea Leotta. Che, a proposito di «modalità non disponibile», fa notare un secondo «non sufficientemente approfondito», e cioè l’effettiva non disponibilità della pompa infusionale. «È circolata la notizia che ad inizio di giugno un paziente in Toscana ha fatto il suicidio assistito per via endovenosa. Quindi ci chiediamo», domanda Leotta, «ma queste pompe, allora, esistono o non esistono?». In effetti, il punto è cruciale. E andrebbe assolutamente chiarito, specie prima di spalancare all’Italia le porte della «dolce morte».
(Guardia di Finanza)
Sui monti Lattari le fiamme gialle hanno scoperto una vera e propria fabbrica laboratorio in un capannone. 5.750 piante di cannabis coltivate per essere immesse a breve sul mercato e 142 kg. di droga già pronta per lo spaccio.
Nei giorni scorsi, militari del Comando Provinciale della Guardia di finanza di Napoli, nell’ambito delle attività di controllo economico del territorio e di contrasto ai traffici illeciti, hanno sequestrato, a Lettere, 142 kg. di infiorescenze di cannabis già pronte per il confezionamento e la vendita, oltre a 5.750 piante in essicazione e 390 piante in avanzato stato di vegetazione e maturazione, per un peso complessivo di oltre 1.000 kg., nonché denunciato un soggetto incensurato per produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti.
In particolare, i finanzieri della Compagnia Castellammare di Stabia hanno individuato, sui Monti Lattari, un capannone strutturato su due livelli, convertito in laboratorio per la lavorazione di cannabis. Il manufatto era dotato di una rete di fili di ferro al soffitto, essiccatoi e macchinari di separazione. All’interno della serra sono state rinvenute le piante in vegetazione, incastonate tra fili di nylon per sostenerne la crescita e alimentate con un percorso di irrigazione rudimentale.
Dai riscontri delle Fiamme Gialle è emerso che la produzione era destinata al consumo di droghe per uso personale dato che, nel prodotto finito, risultavano già separate le infiorescenze dalla parte legnosa, pronte per il confezionamento in dosi.
Continua a leggereRiduci
Donald Trump e il premier cambogiano Hun Manet al vertice di Kuala Lumpur (Getty Images)
Bessent dopo i colloqui col vicepremier del Dragone: «C’è un accordo quadro per evitare le tariffe al 100%». Intanto Trump sigla intese su commercio e minerali critici con Malesia, Cambogia, Thailandia e Vietnam.
Vladimir Putin (Ansa)
Lavrov: «Molto bene la telefonata con Rubio». Peskov: «In Ucraina pace non a breve, gli europei sono impazziti». Intanto Putin testa un missile nucleare intercontinentale.
Nel riquadro Carlotta Predosin, esperta in sicurezza del patrimonio artistico (IStock)
L’esperta Carlotta Predosin: «È urgente proteggere il patrimonio culturale italiano. Il traffico illecito è considerato a basso rischio e alto profitto».






