2023-02-20
Dosi in eccesso, i contratti Ue ci inchiodano
In un vertice con i commissari, la responsabile della Salute Stella Kyriakides ammetteva: «Gli Stati chiedono di ridurre o annullare le consegne, Big pharma rifiuta». Sono le condizioni capestro che hanno negoziato (in modo opaco) Ursula von der Leyen e Sandra Gallina.Gli Stati europei vogliono meno vaccini. Alcuni non ne vogliono affatto. Ma siccome la Commissione ha siglato contratti capestro, adesso le case farmaceutiche si rifiutano di tagliare le consegne e rinunciare agli incassi. È la ricostruzione di Adnkronos, che ha consultato i verbali del collegio dei commissari del 13 dicembre 2022 e ha riferito il resoconto di Stella Kyriakides, responsabile della Salute per l’Unione. La cipriota era reduce dal Consiglio Salute, tenutosi qualche giorno prima, in cui i Paesi membri avevano chiesto di rinegoziare le condizioni stipulate con Big pharma. In quell’occasione, il nostro ministro, Orazio Schillaci, aveva lamentato l’eccesso di fiale già in magazzino o in arrivo e invocato il trasferimento della responsabilità di interloquire con i produttori da Bruxelles alle capitali. «Un’allocazione non efficiente» della spesa, aveva tuonato l’ex rettore di Tor Vergata, «oltre a rappresentare uno spreco in sé, sarebbe difficilmente compresa» dai cittadini e genererebbe «un senso di disaffezione verso future campagne vaccinali». Bisognava, dunque, tornare a strategie d’acquisto «gestite direttamente dai singoli Stati, anziché in base alla negoziazione centralizzata». E si doveva prevedere «la possibilità di ridurre gli acquisti contrattualmente previsti in funzione dell’effettivo fabbisogno degli Stati», pretendendo comunque «una dilazione dei pagamenti e delle consegne delle dosi acquistate» in almeno quattro anni. Considerata la ridotta efficacia dei vaccini contro Omicron e le sue sottovarianti, secondo Schillaci, era legittimo proporre «la sostituzione delle dosi» prenotate con i medicinali riadattati, o almeno ottenere una «consistente riduzione del prezzo». Al contrario, sia Pfizer sia Moderna, i prezzi, li hanno pian piano aumentati.L’inquilino di lungotevere Ripa aveva anche rivelato un particolare ignoto dei contratti tra Ue e compagnie farmaceutiche: qualora un paziente danneggiato dal vaccino faccia causa ai produttori, gli Stati sarebbero tenuti a pagare loro le spese legali. Se nei documenti ci siano altri dettagli anomali, per ora, lo ignoriamo: le parti relative agli effetti collaterali sono state oscurate in blocco dalle versioni diffuse degli advanced purchase agreements. Il nodo affrontato dalla Kyriakides, però, riguarda l’impegno che Bruxelles ha assunto con Big pharma: acquisire un quantitativo di dosi che eccede ampiamente le effettive necessità degli Stati. Per quanto ne sappiamo, fino ad oggi l’Europa ha già comprato fiale a sufficienza per dieci punture a testa. Sarà anche per smaltire le eccedenze, che avevano pensato di proporci una iniezione ogni quattro mesi? Data la limitata adesione alle campagne per la quarta e poi la quinta dose, sembra che persino l’Ema si sia arresa: le indicazioni, ormai, sono di praticare un richiamo annuale. Nel frattempo, si moltiplicano gli studi che promuovono l’immunità naturale: l’ultimo, pubblicato da Lancet, dimostra che chi si è infettato rimane più protetto dalla malattia grave di tutti i vaccinati a vario titolo, per almeno dieci mesi. Certo, si potrebbe obiettare che, nel 2020, ci si trovava in piena d’emergenza. Che il Covid mieteva migliaia di vittime al giorno nel Vecchio continente. Che assicurarsi i vaccini era urgentissimo. Che l’offerta era nettamente più scarsa della domanda. E che non si sapeva quanto sarebbe durata la pandemia. Chi ha pattuito le forniture - ufficialmente, la funzionaria Sandra Gallina, ma anche Ursula von der Leyen, con gli arcinoti messaggi privati ad Albert Bourla di Pfizer, poi spariti - non aveva il coltello dalla parte del manico. Ma non ha neppure brillato per abilità negoziali. E oggi, il conto di quel dilettantismo, condito da una scarsissima trasparenza, lo paghiamo noi. Nella sua relazione post Consiglio, la Kyriakides aveva incredibilmente parlato di un «tasso di copertura vaccinale inferiore alle aspettative». Il che solleva un quesito: qual era, secondo l’Ue, la copertura vaccinale attesa? La sovrabbondanza di dosi l’hanno strappata le aziende, approfittando dello stato di bisogno dell’Unione? Oppure a Bruxelles avevano già pianificato richiami multipli, tanto da considerare insufficienti i booster somministrati finora? Comunque stiano le cose, il commissario aveva sottolineato che, per i ministri della Salute, era diventato «difficile giustificare l’acquisto di vaccini che non saranno usati». Di qui, la richiesta, formulata «all’unanimità», che i contratti venissero «rinegoziati». Alcuni avevano «persino chiesto che vengano cancellati». La Commissione aveva «scoraggiato cambiamenti unilaterali delle condizioni contrattuali» già afissate. Forse perché, a Bruxelles, sapevano di essersi legati le mani? Kyriakides si rassegnava comunque ad ammettere che «il mandato per la strategia vaccinale Ue viene dagli Stati membri». Pertanto, l’Hera, l’agenzia comunitaria per la risposta alle emergenze, avrebbe lavorato per mesi «con lo scopo di allineare i contratti alla situazione attuale». «I produttori di vaccini», specificava tuttavia l’esponente dell’esecutivo, «non sono disponibili a ridurre il numero delle dosi, al momento». Ecco il massimo della grazia ottenuta: quelle in distribuzione nel 2022 sono state integrate nelle consegne fissate per quest’anno. Nel verbale si parlava anche di un incontro con i rappresentanti delle case farmaceutiche, previsto «all’inizio del 2023», sul quale però non si hanno ragguagli. In fondo, i contratti sono belli e chiusi e, per quanto ne sappiamo, le aziende sono in regola. Sono state Gallina e von der Leyen a metterci nella situazione di dipendere da un gesto di misericordia di Big pharma. E poi ci raccontano che serve più Europa...
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)