2019-06-05
Di Maio telefona a Salvini e ingoia lo Sblocca cantieri. I gialloblù la sfangano
Il Movimento: «Stop solo ad alcune parti del codice degli appalti». Ma, nei fatti, cede alla Lega. Giuseppe Conte si intesta la vittoria. Il capo grillino al Quirinale: «Andiamo avanti».Una crisi-lampo, magari innescata dai dissidenti M5s, ci esporrebbe allo spread. In quel caso Sergio Mattarella potrebbe congelare nuove elezioni e affibbiarci un Re Travicello sine die.Lo speciale contiene due articoli.Dopo i ripetuti rinvii e lo stallo in Parlamento sui decreti Crescita e Sblocca cantieri, con il rischio che i due provvedimenti non venissero convertiti in legge, Camera e Senato spingono sull'acceleratore e si preparano a un tour de force di tre settimane. A rimettere in moto quasi in extremis l'iter dei due provvedimenti, fermi da giorni nelle rispettive commissioni, è l'intesa siglata ieri a ora di pranzo tra 5 stelle e Lega sulle norme relative al codice degli appalti, e l'accordo che potrebbe essere raggiunto sulla trasformazione delle misure cosiddette «Salva Roma» in azioni più generali a favore dei comuni in difficoltà. L'intesa raggiunta sul decreto Sblocca cantieri prevede la modifica del testo originario, firmato Lega, sullo stop di due anni al codice degli appalti, proposta osteggiata dai 5 stelle. Il nuovo testo dispone «la sospensione di alcuni punti rilevanti del codice degli appalti per due anni, in attesa di una nuova definizione delle regole per liberare da inutile burocrazia le imprese. Al contempo, sarà garantito il rispetto delle norme e del lavoro già fatto nelle commissioni parlamentari sull'argomento. In particolare saranno anche garantite le soglie già in vigore per i subappalti e salvaguardati gli obblighi di sicurezza per le imprese», hanno spiegato ieri i capigruppo gialloblù. La soluzione proposta è un tecnicismo e punto di caduta solo formale. Dal punto di vista politico, la Lega ha fissato il paletto e i 5 stelle si sono adeguati. Infatti, l'accordo nasce dopo una telefonata tra i due vice premier nella quale Luigi Di Maio (che ha alzato per primo il telefono) avrebbe perorato la mediazione pur di non far cadere il governo. Matteo Salvini lunedì sera aveva dato preciso mandato al viceministro Massimo Garavaglia di non desistere dal maxi emendamento che avrebbe previsto il congelamento delle norme sugli appalti e il ritorno alle precedenti disposizioni. Per la Lega tale novità sarebbe l'unico modo per accelerare veramente l'iniezione di capitali nel circuito delle infrastrutture. Di fronte a tale posizione, il premier, dopo aver incontrato Garavaglia a Palazzo Chigi intorno alle 22 di lunedì sera, si è detto contrario, sostenendo che i 5 stelle non l'avrebbero mai votato e che l'impianto sarebbe stato pure pieno di buchi e rischi. «Da 30 anni faccio il giurista e questo super emendamento, dal punto di vista tecnico, rischia di creare il caos normativo. So che in sostanza, volendo congelare l'attuale codice degli appalti, propone una improbabile reminiscenza del vecchio codice, che è ormai abrogato, quindi davvero ci avviamo a un caos», ha detto Conte prima di partire partire per la due giorni in Vietnam. «Il super emendamento», ha proseguito, «ha portato con sé oltre 400 emendamenti, siamo a pochi giorni dalla conversione, dobbiamo passare alla Camera. Faccio un appello alla Lega: in questo decreto c'è tanto lavoro, ci sono le norme sui terremotati. Mi raccomando». Si è trattato di una presa di posizione durata un pugno di ore. E che alla luce di quanto è successo ieri mattina assume sempre più l'aspetto di un trabocchetto. Un gioco del quale Giuseppe Conte è solo la punta dell'iceberg che muove nella direzione della caduta del governo. Dietro c'è sicuramente il Pd e una parte dei 5 stelle, entrambi sembrano avere la benedizione del Colle. Conte potrebbe essere l'utile manovrato e guadagnerebbe l'incarico di premier tecnico. Solo che è stato subito scavalcato dalle dichiarazioni di Di Maio che ieri è salito al Quirinale a pranzo per ribadire la volontà del M5s di andare avanti. «Mattarella ha preso atto della volontà di Di Maio, ma ha chiesto chiarezza, esortando a riprendere l'attività di governo per rispondere ai gravi problemi del Paese. È nota la preoccupazione di Mattarella per l'andamento dell'economia e i conti pubblici», così recitavano alcune agenzie di stampa ieri sera. Una velina che spiega chiaramente quanto le trappole restino dietro l'angolo. In generale i tempi del Parlamento stringono sempre più. Il decreto Sblocca cantieri, all'esame del Senato, scade il 17 giugno, e deve essere licenziato prima da Palazzo Madama e poi dalla Camera, dove è atteso in Aula martedì prossimo. I capigruppo hanno deciso ieri di portare avanti una seduta notturna per portare in Aula il testo questa mattina.Il decreto Crescita, ora alla Camera, scade il 29 giugno, e anche in questo caso il provvedimento dovrà essere approvato prima da Montecitorio e poi al Senato, dove sarà all'esame dell'Assemblea nella settimana dal 25 al 27 giugno. Ma a oggi i nodi del Salva Roma sono tutti irrisolti e dunque non sarà facile gestire la mediazione. Tempi strettissimi e testi «blindati» servono per evitare incidenti di percorso. Alla Camera, del resto, si dà per scontato il ricorso alla fiducia sul dl Crescita. Stesso orientamento che sembra prevalere anche al Senato, viene spiegato da fonti di maggioranza, anche se al momento non è stata presa alcuna decisione in merito. Il tutto mentre aumentano le pressioni esogene ma anche endogene. «Come tutti i contratti deve essere interpretato ma non credo fossero previste adeguate clausole rescissorie», ha eternato ieri il numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti. «L'ho detto in campagna elettorale e poi qualcuno fece polemica. O ci si dà un metodo di lavoro o è veramente difficile perché le sfide che ha davanti il Paese sono serie e importanti, già da domani».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/di-maio-telefona-a-salvini-e-ingoia-lo-sblocca-cantieri-i-gialloblu-la-sfangano-2638685349.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="calendario-alibi-e-agenti-provocatori-il-piano-b-del-colle-e-lo-schema-dini" data-post-id="2638685349" data-published-at="1760599216" data-use-pagination="False"> Calendario, alibi e agenti provocatori. Il piano B del Colle è lo schema Dini L'Apocalisse proclamata ieri dai giornaloni - ancora una volta - non si è verificata: semmai, il primo cedimento di Luigi Di Maio sullo Sbloccacantieri sembra il preannuncio di una più complessiva resa grillina a Matteo Salvini; Giuseppe Conte è partito per una due giorni in Vietnam; e anche la temuta fiammata dello spread non è stata registrata (chiusura, in calo, a 273 punti). In questo momento, dunque, pare probabile una ripartenza del governo sulla base dell'«agenda Salvini»: flat tax, autonomia, decreto Sicurezza bis. Il combinato disposto tra la forza del leader leghista e la debolezza dei grillini (terrorizzati dal crollo elettorale e dalla tagliola del doppio mandato) fa davvero pensare che si possa procedere sul binario indicato dal Carroccio. Tuttavia occorre sempre essere pronti a sorprese e fibrillazioni, che il Quirinale potrebbe cogliere come occasione (lo spiegava ieri il direttore Maurizio Belpietro) per promettere le elezioni senza in realtà concederle, provando invece a insediare un esecutivo-travicello di durata indefinita (ricordate Lamberto Dini nel 1995 o il quasi riuscito tentativo con Carlo Cottarelli un anno fa?). Dedichiamoci allora a immaginare tre cose: le possibili trappole (come vedremo, sono essenzialmente di due tipi), la tempistica istituzionale da considerare, e le eventuali conseguenze di qualche scherzo concepito nei palazzi romani. Le mine disseminate sul cammino del governo sono due. Da un lato, un eventuale no grillino a un punto qualificante dell'«agenda Salvini». Un esempio? Immaginate se al presidente della Camera Roberto Fico riuscisse il colpo di portare in Aula non solo per un dibattito generale, ma per sottoporle a rigida procedura emendativa (quindi a migliaia di emendamenti), le intese tra Stato e Regioni sull'autonomia: un incidente sarebbe dietro l'angolo, a quel punto. E, dinanzi a un evento del genere, non sarebbe difficile immaginare la reazione della Lega. Stesso discorso davanti a un eventuale (oggi improbabile, lo ripetiamo) «no» grillino su flat tax o decreto Sicurezza bis. Dall'altro, c'è la maxi insidia europea. Proprio oggi, la Commissione Ue potrebbe spararci addosso, valutando come «giustificata» l'apertura di una procedura contro l'Italia. Se così fosse, toccherebbe al Comitato economico e finanziario del Consiglio pronunciarsi entro due settimane. Infine, palla all'Ecofin, l'8-9 luglio, che avrebbe il potere di attivare i passi successivi dell'iter, anche se per le vere e proprie sanzioni servirebbero anni. Il guaio è che ognuna di queste giornate - per un intero e lunghissimo mese - potrebbe essere incendiata (inutile girarci intorno: questo può essere il retropensiero di Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis) dalle fiamme dello spread. E a quel punto, a Roma, sarebbe più facile l'opera di chi volesse terremotare il governo, giocando la carta della capitolazione via mercati. Esaminati i due trappoloni, passiamo alla tempistica. Nel momento in cui il capo dello Stato decide di sciogliere le Camere, la durata della campagna elettorale può oscillare da 45 a 70 giorni. Proprio sulla Verità, con una settimana di anticipo rispetto ad altre testate, abbiamo spiegato che un eventuale voto il 29 settembre creerebbe problemi non piccoli rispetto al calendario della legge di bilancio. Infatti, il nuovo Parlamento sarebbe costituito non prima di due settimane, e il nuovo governo non sarebbe operativo prima di fine ottobre. Ma il guaio è che già il 15 ottobre l'Italia deve inviare a Bruxelles una bozza dettagliatissima della legge di bilancio, senza dire che il 20 di ottobre la manovra (sotto forma di disegno di legge) dovrebbe essere formalmente presentata alle Camere. Una missione impossibile, con quel calendario. E per il Colle sarebbe gioco facile concludere: cari ragazzi, con questa tempistica non riuscirete ad approvare la manovra entro il 31 dicembre, e si rischia l'esercizio provvisorio. Morale: quella diverrebbe la ragione (o la scusa) perfetta per realizzare il temibile scenario paventato dal direttore Belpietro. Qualcuno, sul Colle più alto, potrebbe dire: a questo punto, niente elezioni subito, e meglio affidare un incarico di breve durata (magari proprio a Giuseppe Conte) solo per la gestione di questa fase. E però la storia la conosciamo: queste cose si sa come e quando cominciano, ma non quando finiscono. E le conseguenze? Sarebbero devastanti per la crescita: addio flat tax, entrata in vigore delle clausole di salvaguardia sotto forma di pesantissimi aumenti Iva (con relativa botta terrificante al commercio), e pilota automatico impostoci da Bruxelles. Ecco perché, come suggeriamo da tempo, la cosa migliore - per chi voglia scommettere sulla durata del governo - è fissare scadenze temporali brevi e verificabili sui punti qualificanti del programma. Lo ripetiamo ancora: oggi la crisi pare meno probabile. Ma se rottura deve essere, meglio che sia subito, con elezioni a inizio settembre, non alla fine di quel mese. In quel caso, il nuovo governo avrebbe tutto il tempo per rispettare la tempistica della manovra, e non ci sarebbero scuse per chi vuol fare sponda con Bruxelles per commissariarci.
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