2020-05-18
Da Roma a Milano, fino a Capri migliaia di serrande restano giù
Nella ristorazione e nell'abbigliamento la scelta di molti per sopravvivere è stata non riaprire. Ripartite a metà le vie del lusso e della movida. Per Confesercenti «se non si coprono i costi di esercizio è un autogol».Si riparte tra rebus spostamenti e ristoratori trasformati in vigili. Ieri la riapertura di molte attività commerciali, nel rispetto dei protocolli messi a punto dal governo. Ma è caos burocrazia, come nel caso delle spiagge libere da prenotare e da far custodire (non si sa a chi).Lo speciale comprende due articoli.È ovviamente troppo presto per avere numeri affidabili sulla prima giornata di riapertura. Certo, colpiscono alcune istantanee. Si è registrata una significativa protesta a Roma (con un migliaio di adesioni specie nell'abbigliamento e nella ristorazione) contro l'insufficiente sostegno economico del governo. Un'ulteriore protesta ha avuto luogo in zona San Pietro, con 150 negozi legati al turismo religioso che a loro volta hanno accusato il governo di una totale dimenticanza del settore. A Milano, un quadro in chiaroscuro: è tornato a popolarsi l'Arco della Pace, con diverse persone che hanno pranzato all'aperto, ma per altro verso molti locali, anche a Corso Sempione, sono rimasti chiusi. E 200 ambulanti hanno protestato davanti alla sede del Comune. A Capri non hanno riaperto le maggiori boutique, così come sono rimasti ancora chiusi i bar in piazzetta. Ancora a Roma un altro fenomeno, solo apparentemente surreale, ma in realtà motivato dalla fondatissima preoccupazione di occupazioni abusive: con hotel con le porte inchiodate o con i proprietari che vi passano la notte facendo la guardia. Più in generale è il direttore dell'Ufficio studi di Confcommercio Mariano Bella, conversando con La Verità, a inquadrare il problema nei suoi termini essenziali e soprattutto razionali: «Se c'è un imprenditore piccolo o anche medio, diciamo fino a 50 dipendenti, che ha perso il 95% o il 100% dei ricavi a marzo e ad aprile, non è affatto scontato che ora, a maggio inoltrato, abbia tutte le energie necessarie a ripartire. E queste energie vanno valutate in termini di conto economico: in particolare, si tratta di capire se i potenziali ricavi di maggio e di giugno rischino di essere prossimi al livello dei costi fissi. Questi costi fissi possono essere stimati nel commercio al dettaglio intorno al 50% del totale dei costi di esercizio, nella ristorazione e nell'alberghiero intorno al 30. Se la caduta dei potenziali ricavi di maggio e giugno si avvicina al livello dei costi fissi, già c'è l'azzeramento del profitto economico, e si è all'indifferenza tra cessare e proseguire, dal punto di vista dell'imprenditore. Me se si va addirittura più in basso, che apre a fare?». Bella non si limita alla diagnosi, ma indica anche quale sarebbe dovuta essere la terapia corretta: «Non una pioggia di incentivi distorti e piccoli bonus, ma 3-4 cose essenziali. A partire da incentivi a fondo perduto realmente commisurati alle perdite subite». Facendo un passo indietro, il quadro è davvero cupo. Sempre secondo l'Ufficio studi di Confcommercio, ad aprile i consumi in Italia sono crollati del 47,6% (a marzo il calo era stato del 30,1%) e, a dispetto di un rimbalzo congiunturale del Pil del 10,5% stimato per maggio, il Pil rimarrà comunque a un impressionante meno 16% rispetto all'anno precedente. All'interno di questa cornice, i settori che hanno subito un vero e proprio azzeramento sono stati turismo, ristorazione, intrattenimento e automotive. A questi elementi di lucida razionalità, fa da antidoto la voglia di ripresa, lo spirito combattivo dei singoli imprenditori. Secondo un'indagine realizzata dalla Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) su un campione di 520 piccole e medie imprese, il 70% circa dei pubblici esercizi, e cioè 196.000 locali tra bar e ristoranti, erano effettivamente pronti a ripartire già da ieri. Secondo l'indagine Fipe, «il 95% degli imprenditori intervistati ha già acquistato le mascherine per il proprio personale, mentre il 94% ha già effettuato la sanificazione dei locali. Ciò che non convince per nulla gli imprenditori della ristorazione, invece, sono le barriere divisorie in plexiglass. Il 56% degli intervistati esclude ogni ipotesi di utilizzo, il 37% ne ipotizza invece un impiego alla cassa e poco meno del 5% prevede di installarle tra i tavoli». Venendo alle dolenti note, gli imprenditori sondati da Fipe «stimano un crollo del 55% dei loro fatturati a fine anno e questo si tradurrà in un minor impiego di personale. Secondo le stime, infatti, il numero dei dipendenti impiegati calerà del 40%, con 377.000 posti di lavoro a rischio».Un'altra ricerca è stata condotta nei giorni scorsi da SWG per Confesercenti. In attesa di dati effettivi su cosa sia effettivamente successo ieri, la previsione era di una non riapertura nel primo giorno utile (cioè il 18 maggio, ieri, appunto) di 6 attività su 10. Il 62% degli intervistati ha dichiarato di non esser pronto a riaprire, a fronte di un 27% già preparato e di un 11% di incerti. Vedremo se i primi dati reali aderiranno a questa previsione. Sempre in base alla ricerca SWG, e concentrandoci sui motivi di scetticismo, il 68% degli interpellati ha parlato di scarsa convenienza (spese di sanificazione, scarsa clientela, ecc), mentre un altro 13% sembra spaventato o da ragioni di sicurezza o dall'incertezza normativa e regolatoria. Ma è guardando in prospettiva che l'analisi SWG per Confesercenti si fa a tinte ancora più cupe: il 36% teme di essere costretto a chiudere, e il 41% ha la stessa preoccupazione nel caso in cui l'emergenza sanitaria si protragga. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/da-roma-a-milano-fino-a-capri-migliaia-di-serrande-restano-giu-2646029062.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="si-riparte-tra-rebus-spostamenti-e-ristoratori-trasformati-in-vigili" data-post-id="2646029062" data-published-at="1589843591" data-use-pagination="False"> Si riparte tra rebus spostamenti e ristoratori trasformati in vigili L'Italia s'è ri-desta, riaperta ma non troppo: ieri il primo giorno di «libertà vigilata» per le attività produttive, dopo un interminabile lockdown. Caffè e cornetto al bar, saracinesche alzate, pranzo al ristorante, ritorno al lavoro, poi a casa, magari col mezzo pubblico: tutto normale, anzi facciamo finta che sia tutto normale, perché normale non è niente in questo lunedì più confuso che felice. Le linee guida del governo, mescolate con quelle delle regioni, diverse l'una dall'altra, rendono l'atmosfera di questo primo giorno di fase 2 meno gioiosa di quanto si potesse immaginare. Bar e ristoranti, in particolare, sono alle prese con la necessità prima di tutto di sanificare i locali, poi di sistemare tavoli e sedie rispettando la distanza di sicurezza di un metro, infine devono fare i conti con alcune indicazioni che sollevano più di una perplessità. «Negli esercizi che dispongono di posti a sedere», raccomanda il governo, «va privilegiato l'accesso tramite prenotazione, mantenendo l'elenco dei soggetti che hanno prenotato, per un periodo di 14 giorni. In queste attività non possono essere presenti all'interno del locale più clienti di quanti siano i posti a sedere». Questa regola è valida «per ogni tipo di esercizio di somministrazione di pasti e bevande, quali ristoranti, trattorie, pizzerie, self-service, bar, pub, pasticcerie, gelaterie, rosticcerie». Dunque, il ristoratore diventa custode della nostra privacy, considerato che dovrà conservare per due settimane i nomi di tutti quelli che hanno prenotato un tavolo. È legale? In questi tempi di libertà vigilata, tutto è legale, anche ciò che di solito non lo è. Eppure, non mancano le perplessità: come faccio a fidarmi del ristoratore? Perché devo consentire a un perfetto sconosciuto di conoscere i dettagli della mia vita privata? Il problema non riguarda solo chi ha necessità di accontentare l'amante esasperata dalla mancanza di vita sociale che rivendica il diritto di gustare almeno una pizza, ma tutti i cittadini, che devono sostanzialmente affidare alla correttezza e alla discrezione del ristoratore o del pasticciere la tutela della propria riservatezza. Immaginate un manager di una grande multinazionale che deve discutere a pranzo il passaggio alla concorrenza: si fiderà del titolare della trattoria scelta per la trattativa? E infine: il ristoratore potrà chiedere il documento di identità? Diventerà una sorta di pubblico ufficiale con la forchetta al posto della paletta? Come gestirà i nostri dati sensibili? Non si sa: quello che si sa è che non è un caso se molti gestori di ristoranti e trattorie non hanno ancora riaperto, in attesa di capire come organizzarsi per tenere in equilibrio la necessità di rispettare le regole e il buon senso. Come nessuno ancora sa come sarà possibile prenotare i posti sulle spiagge libere, che per definizione non hanno gestori. Il governo, per evitare il sovraffollamento, suggerisce di prenotare i posti anche sulle spiagge libere, ma a chi occorre rivolgersi? «È opportuno, ove possibile», recita il Documento tecnico sull'analisi di rischio e le misure di contenimento del contagio da Sars CoV-2 nelle attività ricreative di balneazione e in spiaggia, messo a punto dall'Inail e dall'Istituto superiore di sanità, «affidare la gestione di tali spiagge ad enti o soggetti che possono utilizzare personale adeguatamente formato, valutando altresì la possibilità di coinvolgimento di associazioni di volontariato, soggetti del terzo settore, anche al fine di informare gli utenti sui comportamenti da seguire». Bene, anzi male: con quali modalità verranno scelti questi soggetti ai quali affidare la gestione e il controllo delle spiagge libere? Mistero. Tra le nuove regole in vigore da ieri, l'addio all'autocertificazione per gli spostamenti all'interno della propria regione. Resta però la necessità di compilare il modulo per chi si sposta da una regione all'altra, dichiarando di doversi muovere per una delle quattro motivazioni che determinano la legittimità dello spostamento: comprovate esigenze lavorative; assoluta urgenza; situazione di necessità; motivi di salute. Dal prossimo 3 giugno, gli spostamenti da una regione all'altra saranno liberi. Non mancano però iniziative concordate tra regioni confinanti per consentire da subito una mobilità più libera: «Ci si può muovere», spiega il presidente del Veneto, Luca Zaia, «per vedere i congiunti nelle province venete che confinano con il Friuli Venezia Giulia, l'Emilia Romagna e la Provincia di Trento. L'accordo, fatto con i presidenti dei tre territori interessati, prevede», aggiunge Zaia, «con l'autocertificazione di poter uscire dal Veneto per incontrare parenti, fidanzate e fidanzati. Via libera quindi agli spostamenti interregionali fra le confinanti province di Ferrara e Rovigo per far visita ai congiunti. Di questa possibilità Zaia e il presidente dell'Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, hanno informato i prefetti delle due città, chiedendo la collaborazione delle forze di polizia. Zaia e Bonaccini ricordano che «la decisione è stata assunta in ragione della positiva evoluzione dello stato epidemiologico, e a fronte dell'esigenza manifestata da numerosi cittadini residenti nelle due province». Per questi spostamenti extra confini regionali, sarà comunque necessaria una autocertificazione, nella quale dovranno essere motivate le ragioni dell'attraversamento del confine regionale. Dunque, l'Italia ha riaperto, ma la confusione regna sovrana.
La sede della Corta penale internazionale dell’Aia (Ansa)