Nel maggio del 2021 il Cts era pienamente consapevole dei molti rischi e degli scarsi benefici, tanto da accettare a fatica la richiesta di Speranza di abbassare l’età per la somministrazione: «Ma sotto i 50 non esiste». Infatti... Di lì a pochi giorni partono gli Astra-day: vaccino inglese per tutti. Il mese successivo muore Camilla Canepa.
Nel maggio del 2021 il Cts era pienamente consapevole dei molti rischi e degli scarsi benefici, tanto da accettare a fatica la richiesta di Speranza di abbassare l’età per la somministrazione: «Ma sotto i 50 non esiste». Infatti... Di lì a pochi giorni partono gli Astra-day: vaccino inglese per tutti. Il mese successivo muore Camilla Canepa.C’è stato un momento in cui il Comitato tecnico scientifico, la cabina di regia ideata da Giuseppe Conte per portare l’Italia fuori dalla pandemia, sembrava essersi avvitato su un freddo calcolo: quante vite bisognava essere sicuri di salvare con il vaccino per prendersi la responsabilità di provocare una trombosi in un cittadino sano. Era il maggio del 2021 e la forbice tra «rischi» e «benefici», in quei giorni in cui la circolazione del virus era minima, si era avvicinata clamorosamente, come conferma la registrazione video della riunione del 7 maggio 2021 (diciotto giorni prima della vaccinazione di Camilla Canepa, la diciottenne di Sestri Levante uccisa da una dose all’Astra day), che all’epoca era segreta e che ora La Verità mette a disposizione dei lettori sul sito Web. Il Paese viveva un’apparente tregua: la curva dei contagi si abbassava, i reparti Covid si svuotavano, ma la campagna vaccinale correva, sospinta dalla politica che non voleva rallentamenti. Il Cts aveva davanti la matematica spietata dell’Ema (l’Agenzia europea del farmaco), letta da Franco Locatelli: nella fascia 50-59 anni, con bassa circolazione virale, il vaccino Astrazeneca avrebbe salvato «una vita a fronte di un caso di trombosi con trombocitopenia». Il rapporto era «uno a uno». In scenari peggiori il conto cambiava, ma non la sostanza: sempre una trombosi grave per ogni manciata di vite risparmiate. Si arrivava al massimo a un rapporto di «1 a 15» in caso di alta circolazione del virus. E sul tavolo c’erano anche i dati italiani: 34 casi di trombosi venosa già accertati, 29 intracraniche e cinque viscerali. Le vittime: 22 donne con età media di 48 anni e 12 uomini con età media di 52. Al tavolo tecnico non se lo dicono, ma era raro che un under 50 senza ulteriori patologie finisse in obitorio per aver contratto un’infezione da coronavirus. La conta dei morti per effetti avversi, invece, cominciava a farsi seria: «È un evento raro ma», allo stesso tempo, «un effetto riconosciuto associato alla vaccinazione», scandì Donato Greco nel corso della riunione. Eppure si continuarono a vaccinare dai 50 anni in giù come se quei numeri non esistessero. E il ministro della Salute Roberto Speranza, due giorni prima, aveva mandato al Cts una richiesta di valutazione sulla possibilità di somministrare Johnson&Johnson e Astrazeneca, «oggi raccomandati preferibilmente in soggetti sopra i 60 anni, anche nella fascia di età compresa tra i 50 e i 60». «Il discorso sul rapporto rischio beneficio lo si fa, ed è giusto, però in questo caso abbiamo altre opzioni che sono altri vaccini che non hanno questo problema», avvertì Sergio Abrignani, aggiungendo che se esistevano «alternative» più sicure, non aveva senso rischiare «anche un solo morto» per somministrare Astrazeneca. Meglio «ritardare di dieci giorni» l’arrivo delle forniture. In quelle parole c’era tutto: il Cts sapeva che si poteva evitare e sapeva anche che il costo umano non era accettabile. Giorgio Palù fu altrettanto chiaro: «Sappiamo di un meccanismo patogenetico che accomuna tutti i vaccini a vettore adenovirus […]. Se dovessi dare il mio parere […] non andrei oltre però 50-59 anni, è una cosa che darei con molta difficoltà, lo dico veramente, lo darei con difficoltà». La difficoltà c’era, il rischio pure, ma nessuno si prese la responsabilità di tirare il freno a mano. La bioeticista del gruppo, Cinzia Caporale, ricorda a tutti che «Macron ha cominciato a fare una campagna di donazione del vaccino Astrazeneca a Paesi emergenti perché lì […] è una questione tra non avere nulla e avere un vaccino sub ottimale». La preposizione «sub», sotto, davanti a «ottimale», esprime chiaramente il giudizio che in quel momento il Cts aveva di Astrazeneca. Le parole della Caporale avrebbero dovuto introdurre una riflessione. Astrazeneca può andar bene dove non ci sono alternative, ma in Italia diventa una scelta eticamente ingiustificabile. Ma non è l’unico campanello d’allarme suonato dalla Caporale: «Io capisco la necessità di utilizzare tutti i vaccini che si hanno, li abbiamo ordinati, li abbiamo comprati o altro, però attenzione perché alla fine le persone… poi la stampa è libera… i commenti ci sono… altri studiosi fanno anche le loro analisi sui dati, quindi non è che possiamo restare, come dire, ancorati a un disegno ideale che ci figuriamo se poi il dato contrasta con questo». Insomma, anche se i vaccini sono stati comprati ed è meglio non sprecarli bisogna pur stare attenti a quei «cattivoni» dei giornalisti che potrebbero denunciare eventuali errori. Il Cts prende tempo: «Mi pare che ci sia consenso nel richiedere dati addizionali al commissario (in quel momento era il generale Francesco Paolo Figliuolo, ndr) per quel che riguarda sia numeri precisi di vaccini che si avranno da qui alla fine di giugno sia il numero della popolazione della fascia 50-59», dice Locatelli. Poi c’è un grottesco siparietto: «Giorgio», riprende Locatelli, «a scendere sotto quella fascia non ci si pensa minimamente». I carabinieri che hanno trascritto quella riunione per la Procura di Genova annotano: «I due ridono». Ed è in quelle risate che si misura la distanza tra chi, chiuso nelle stanze, prendeva con leggerezza i calcoli sui rischi e chi, invece, dal peso di quanto veniva deliberato in quel contesto rischiava di essere schiacciato. Poi Locatelli riprende ad argomentare: «Come dire… i rischi… poi insomma neanche in contesti epidemiologici sfavorevoli giustificherebbero la scelta e appunto chiediamo più dati addizionali per formulare un parere compiuto». In quella videoregistrazione il problema, però, non era solo legato a quanti potenziali vite salvate potesse valere una trombosi. Era anche come scriverlo, quanto dire e cosa lasciare fuori dai verbali ufficiali. La riservatezza diventa quasi un’ossessione, più della trasparenza scientifica. Locatelli, a un certo punto, mentre Silvio Brusaferro mostra il suo studio sulle incidenze della pandemia, frena di colpo: «Questa diapositiva secondo me è particolarmente delicata perché interpretata, come dire, in maniera prevenuta rispetto al vaccino di Astrazeneca, ti fa passare il messaggio che sia meno efficace rispetto agli altri quindi sia una sorta di vaccino di serie B […], quindi farei maturare bene il dato e lo controllerei prima di mostrarlo». Non sembra un dubbio scientifico, ma un problema di immagine: Astrazeneca non deve sembrare «di serie B», anche se i dati lo dimostrano. Brusaferro lo spalleggia senza esitazioni: «Condivido con te Franco sull’opportunità poi forse anche di non entrare nei dettagli per vaccino, ma dare il messaggio che tutti i vaccini funzionano». È il patto comunicativo del Cts: non rimarcare le differenze, non dire che uno è peggiore, diffondere solo la versione edulcorata. Sergio Fiorentino sembra il più cauto: «Velocemente volevo dire che tutta questa discussione sul documento riservato non la riporterei nel verbale». Ed è a questo punto che l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino conferma i timori di una diffusione di notizie sensibili: «Colgo l’occasione per rappresentarvi che ieri, per esempio, il Tar del Lazio ci ha ordinato di depositare due verbali rispetto a un ricorso del Codacons […]. Non c’entrano niente con quel ricorso che parla di ristoranti, ma, comunque, insomma, se noi mettiamo queste informazioni nel verbale prima o poi verranno fuori, quindi ometterei tutta questa parte di dibattito». È l’ammissione più schietta: non è che quelle informazioni non esistano, è che non vanno messe negli atti, perché un giorno qualcuno potrebbe leggerle. E la Caporale coglie il rischio di questa impostazione: «Le persone non sono così sprovvedute come delle volte si pensa nei consessi di esperti […]. E più rinneghiamo, cioè neghiamo l’informazione, e più ci saranno sospetti che l’informazione vera, cioè che il dato disaggregato dei vaccini sia, come dire, non comunicabile». Avverte che quello che sta accadendo lì dentro non potrà rimanere segreto per sempre. Locatelli, però, ricorda a tutti: «Reitero quanto è stato chiesto prima, cioè con l’ovvio impegno da parte di tutti noi di mantenere assoluta riservatezza». E infine, in quella stessa riunione, c’è un ulteriore passaggio che sembra fotografare la gestione del Cts. Quando si discute delle linee guida per l’accesso alle Rsa, le strutture con i più fragili, i professoroni se ne lavano le mani. È Giuseppe Ippolito ad affermare: «Non possiamo entrare in un documento chiuso già presentato ieri e approvato alla conferenza Stato-Regioni perché allora veramente facciamo la figura dei pierini». Ammette che, anche se quel documento può essere lacunoso o perfino sbagliato, non conviene al Cts modificarlo. Il problema è quello di intromettersi a giochi fatti. Una resa preventiva. Qui emerge il lato più criticabile: il Cts che si proclama organo tecnico e scientifico abdica al suo ruolo proprio davanti a un atto politico-amministrativo già confezionato. E così la tutela della salute degli ospiti delle Rsa passa in secondo piano rispetto al timore di urtare la suscettibilità della Conferenza Stato-Regioni. Nessuna correzione, nessuna puntualizzazione. Solo l’ansia di non sembrare dei «pierini». E, così, a guardare le riunioni dei professoroni si ha l’impressione che stiano più attenti a non disturbare i palazzi che ad applicare un metodo scientifico.
Federico Vecchioni (Imagoeconomica)
Il partenariato porterà alla produzione di cereali e legumi nella provincia di Timimoun.
Emmanuel Macron (Getty Images)
Da mesi ci viene spiegato che l’America non è più una democrazia, perché Donald Trump sta violando pesi e contrappesi del sistema. Ma se gli Stati Uniti non sono una democrazia perché il presidente licenzia chi non è d’accordo con lui, la Francia che impedisce ai francesi di scegliere da chi farsi governare che cos’è?
A Parigi c’è un presidente che non si rassegna a prendere atto del suo fallimento e nomina un governo dietro l’altro ben sapendo che nessun premier di quelli da lui scelti riuscirà a ottenere la fiducia, perché nessun primo ministro deciso da Macron può contare su una maggioranza. La soluzione della crisi in cui è precipitato il Paese negli ultimi mesi è scontata. Se il parlamento rifiuta di votare un esecutivo centrista ispirato dall’Eliseo non resta che restituire la parola agli elettori, come avviene in tutte le democrazie. In Francia però c’è chi non si rassegna davanti al proprio personale fallimento e dunque non vuole sciogliere l’Assemblea nazionale e neppure accetta di farsi da parte, dimettendosi.
Maurizio Landini ed Emanuele Orsini (Ansa)
Dopo aver ridotto il cuneo fiscale il governo vuol abbassare le imposte al ceto medio. Ma Landini («La manovra ci farà sbattere») e Orsini («La ricchezza non la fai con Irpef e pensioni») sembrano opporsi allo stesso modo.