
Davanti alla commissione parlamentare Fabio Ciciliano, ex componente del comitato che validava i dispositivi ammette che alcune forniture prive di documenti regolari sono state poi rivalutate e approvate.Mascherine cinesi che in piena pandemia ricevevano parere negativo dal Comitato tecnico scientifico (Cts), a distanza di pochi giorni ottenevano la validazione. Lo scriveva quattro anni fa la Verità dopo aver visionato i verbali del Cts, lo ha confermato nei giorni scorsi Fabio Ciciliano, capo dipartimento della Protezione civile, già componente del comitato che ratificava i pareri dell’Inail relativi ai dispositivi di protezione individuale privi di marchio e certificazione Ce. Nella seconda audizione in commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria, il medico ha elencato i nomi di diversi consorzi cinesi che, pur avendo ottenuto parere negativo nel maggio del 2020, a distanza anche di poche settimane riuscivano ad avere l’approvazione delle forniture. I pareri del Cts potevano essere solo favorevole, insufficiente (perché mancava della documentazione ed era possibile l’integrazione), o negativo e in quest’ultimo caso non c’era possibilità di recupero, come ricordava lo stesso Ciciliano nell’audizione del 3 giugno. La grossa anomalia, dunque, era la seconda verifica per la validazione che riuscivano ad ottenere le aziende cinesi che facevano riferimento alla struttura diretta dall’allora commissario all’emergenza, Domenico Arcuri. In precedenza Ciciliano aveva chiarito che «il Cts recepiva i pareri dell’Istituto superiore di sanità e dell’Inail, che erano basati su una valutazione documentale e non tecnica delle mascherine. E accertarsi della falsità di una valutazione documentale non era compito del Cts, che faceva attività di consulenza scientifica e tecnica». Il problema dell’assenza di un controllo è stato evidenziato dal deputato della Lega Simona Loizzo, capogruppo in commissione Affari sociali e in commissione d’inchiesta sul Covid, che ha definito «sconvolgente» aver scoperto che, per rendere conformi mascherine che in realtà potevano anche non esserlo, «bastava una semplice richiesta della documentazione da parte del Cts alla casa madre, nel nostro caso alla Cina. Nessuno, però, che controllasse effettivamente se quanto richiesto fosse vero oppure no. Nessun ente controllore». Non solo, mentre i pareri venivano emessi a maggio 2020, i pagamenti delle mascherine anche inidonee sarebbero stati fatti «per lo più tra marzo e aprile dello stesso anno», rileva il deputato Alice Buonguerrieri, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Covid. «Pagate con soldi pubblici in anticipo rispetto ai controlli di idoneità da parte del Cts», sottolinea. Lo scriveva la Verità nell’ottobre del 2021, che secondo la Procura di Roma la validazione dei dispositivi «ha quasi sempre seguito (e non anticipato) i pagamenti delle forniture; cosicché le strutture Inail e Istituto superiore di sanità a supporto del Cts (organo, quest’ultimo, che si è limitato ad assentire le valutazioni dei primi due istituti) si sono trovate nella scomoda condizione di dover sconfessare, in caso di giudizio negativo, pagamenti con denaro pubblico già erogati».Quel che è peggio, è la destinazione di questi dispositivi non validati e che non potevano proteggere durante le prime ondate della pandemia. Mascherine inutili se non dannose «sarebbero state distribuite comunque al personale sanitario, alle forze di polizia e alle strutture pubbliche impegnate nella lotta al Covid. La normativa in vigore prevedeva, invece, che quanto rilevato dal Cts venisse segnalato all’autorità giudiziaria», aggiunge il deputato di FdI. Sempre la Verità dava notizia nel 2021 che la Procura di Roma «dopo quella di Gorizia, ha certificato che buona parte degli 800 milioni di mascherine acquistate nel 2020, tramite broker improvvisati, al “modico” prezzo di 1,25 miliardi dalla struttura del commissario per l’emergenza Covid, erano fallate». E che già a febbraio 2021 gli inquirenti friulani avevano ordinato sequestri di diversi lotti di mascherine, risultate farlocche. Malgrado la sinistra «non voglia ammetterlo, diversi lotti erano di mascherine inidonee. È quanto risulta dagli accertamenti eseguiti dalla Guardia di finanza e da provvedimenti giudiziari che hanno condotto anche a sequestri» afferma Buonguerrieri. Quindi non ci si può limitare a «emendare eventuali illeciti commessi», ma occorre continuare a fare piena luce su pareri «che si fondavano su documenti provenienti dalla Cina anche più volte sostituiti» e accertare «possibili ipotesi di reato». La Procura di Roma nell’ottobre del 2021 indicava che «alcune forniture sono state giudicate pericolose per la salute» e scriveva che «dichiarare protettivo un dispositivo di dubitabile idoneità può indurre esposizioni sanitarie avventate». Non dovevano finire in ospedali o caserme.Loizzo ha invitato i commissari a «un grandissimo lavoro di raccordo», perché «si arrivi velocemente alla verità […] Dobbiamo sapere se alcuni decessi tra i pazienti, tra i medici e tra gli infermieri, potevano essere evitati se solo qualcuno all’epoca avesse controllato che i dispositivi fossero a norma e adeguati alla gestione del Covid».
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