2025-08-27
Gli esperti litigano sui vaccini poi scaricano su di noi. «C’è il consenso informato...»
La richiesta di Speranza di abbassare l’età in cui somministrare Astrazeneca getta nel panico gli scienziati. Ma Brusaferro e Caporale ricordano che le Regioni possono fare come vogliono. Infatti, ci scappa il morto.Per leggere la trascrizione completa del testo scarica il file pdf al link qui sottoTrascrizione Cts 10 maggio 2021.pdfCome hanno potuto verificare i nostri lettori, durante diverse riunioni del Comitato tecnico scientifico, il tavolo tecnico che secondo Giuseppe Conte avrebbe dovuto portare l’Italia fuori dalla pandemia, i cosiddetti esperti si sono fatti scappare in più di un’occasione che consideravano Astrazeneca come un vaccino di «Serie B». Da smaltire, però, in qualche modo, come richiesto dal governo che lo aveva acquistato in grandi dosi. Nel video-incontro del 10 maggio 2021, all’epoca segreto, ma che è adesso disponibile sul sito Web della Verità, i professoroni sembrano cercare un modo per giustificare la vaccinazione con adenovirali (come quelli contenuti in Astrazeneca) al di sotto dei 60 anni, aderendo alla richiesta del ministro della Salute Roberto Speranza. Anche se quel vaccino, stando alle loro valutazioni, proteggeva meno e comportava dei gravi rischi. Gli escamotage sul tavolo sono un paio. Il primo lo introduce la bioeticista del gruppo, Cinzia Caporale, che in teoria era lì per offrire strumenti di riflessione etica ai tecnici, ma che se ne uscì con questa frase: «Dal punto di vista individuale resta ferma la libertà di ciascuno, attraverso un consenso informato chiaro e non omissivo, di farsi il vaccino Astrazeneca o simili». A decidere non era lo Stato né la scienza: era il cittadino, dopo la firma di un foglio. E subito dopo aggiunse: «È un terribile guazzabuglio… la mia impressione è che si debba ripetere il messaggio che è stato finora un punto fermo…». Cioè che Astrazeneca era «preferibile» sopra i 60 anni, «costruendo l’argomentazione sui nuovi dati acquisiti». Ovvero utilizzando il paravento della statistica. Tradotto: ognuno se la veda da sé, purché informato. Con il libero consenso a fare da scudo. Una formula che apparentemente lasciava ai cittadini la decisione, in realtà era uno scaricabarile istituzionale. Perché presupponeva che chi si presentava all’hub vaccinale, da solo, davanti al modulo da firmare, con le proprie conoscenze fosse in grado di decidere ciò che nemmeno gli esperti in quel momento erano capaci di stabilire. Il portavoce scientifico del comitato, Silvio Brusaferro, non si discosta: «Ci sono cittadini che volontariamente e consapevolmente possono fare il vaccino… credo sia corretto mantenere questa opportunità. E alcune Regioni mi risulta che hanno fatto delle operazioni di aprire degli hub dove si può accedere senza particolari livelli di priorità e probabilmente offrono Astrazeneca. Il fatto di continuare a modificare fasce d’età non aiuta, soprattutto se non ci sono elementi così decisivi per cambiarla». La scienza, insomma, sembrava non avere il coraggio di cambiare le regole, scaricando la responsabilità giù per i rivoli del federalismo sanitario. Ogni Regione a modo suo, ogni cittadino con la sua penna in mano. È il segretario del Cts, l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino, a gelare tutti, paventando anche possibili accuse per chi non agisca celermente per fermare la diffusione del virus: «È vero che chi avrà la trombosi è, potenzialmente, un denunciante… però ci sono anche delle figure di reato contro la sanità pubblica che, anche se non c’è una vittima individuata, si possono configurare, sono i vari reati di epidemia… quindi, la responsabilità si assume in entrambi i casi». Non è più solo questione di scienza e di salute. Ma anche di codice penale. E non si ferma qui: «Molti non sceglieranno Astrazeneca e, secondo me, non è possibile imporne l’uso in ragione dell’età. Di fatto poi le Regioni non lo fanno, perché nel Lazio si può tranquillamente scegliere». Sergio Abrignani, però, è uno dei più contrari all’estensione della platea a cui inoculare il siero anglo-svedese: «Anche se c’è soltanto un morto, perché andare a farsi del male e avere anche uno o due morti in Italia che potremmo risparmiarci dandoli agli ultrasessantenni e agli ultrasettantenni?». Manca un mese esatto dalla tragedia di Camilla Canepa, la diciottenne di Sestri Levante morta dopo un Astra day. Giorgio Palù sembra quasi una Cassandra: «Basta una morte per aizzare i Tribunali rapidamente». Il Cts continua a discutere, ma non decide. La richiesta del ministro Speranza (abbassare a 50 anni la soglia per i vaccini a vettore) resta sospesa. Il risultato è un mix di cifre, percentuali, rischi statistici, paure giudiziarie e calcoli di comunicazione. La formula magica, però, è lì, sul tavolo, fin dall’inizio: il consenso informato. Un’ipotesi. Ma non l’unica. Il secondo escamotage per smaltire le scorte e vaccinare più cittadini possibile è quello di usare l’adenovirus per inoculare «le popolazioni speciali». L’ideona viene a Gianni Rezza: «Johnson&Johnson è una dose sola, può essere utilizzato, io credo, proficuamente in popolazioni speciali... anche che non abbiano 60 anni… perché se prendiamo i carcerati, gli immigrati, i marittimi... tutti coloro che, una dose e via, sono in qualche modo immunizzati... io credo, per esempio, che non faremmo male a nessuno, anzi forse faremmo bene». Cinzia Caporale è in parte d’accordo: «Per gli immigrati può valere il principio che una sola dose renda più agevole la vaccinazione… i carcerati no, sono lì, non è difficile vaccinarli due volte. E viceversa sono persone considerate vulnerabili, cioè persone che sono socialmente nella peggiore delle condizioni, dunque non dovremmo mai dare l’impressione, dal punto di vista etico, che su di loro si possano fare delle scelte residuali, come dire sub-ottimali». Insomma non vanno utilizzati come cavie. L’idea, per i detenuti, che i membri del Cts definiscono «carcerati», era comunque balenata. «Anche perché», spiega ancora la Caporale, «sono un numero talmente esiguo… Viceversa le polemiche che ci potremmo attendere sarebbero immense». Quando la discussione si avvita sul destino delle dosi in eccesso, prende la parola Locatelli e ricorda, pur con tono di biasimo, che c’è già chi ha pensato di spedire Astra nei Paesi del Terzo mondo: «Mi permetto puntigliosamente, scelgo apposta l’avverbio, di dire che l’idea di darli all’iniziativa Covax (il programma internazionale che prevedeva di garantire l’accesso ai vaccini in tutti i Paesi del mondo, ndr) non è certo un’idea originale di questa sera… è una cosa di cui si è largamente già parlato nelle sedi appropriate. Chiaramente è un qualcosa che rientra nella logica di una solidarietà, di una eticità per una gestione che sia rispettosa di principi etici e di aiuto umanitario […]. Mi sostituisco un secondo a Cinzia Caporale dicendo, ben inteso però, che anche a questi Paesi economicamente meno fortunati dell’Italia, non possiamo certo proporre o suggerire delle raccomandazioni diverse rispetto a quelle che proporremmo nella popolazione italiana». Il Cts, quel 10 maggio, non sciolse il nodo. Lasciò in sospeso la richiesta di Speranza e si rifugiò dietro formule da gioco di prestigio: il consenso informato come scudo, le popolazioni speciali come cavie, il Covax come alibi di solidarietà. Un mese dopo, la morte di Camilla avrebbe reso evidente quanto fosse fragile, e forse anche pericolosa, la strategia che permise gli Astra day.
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