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La crociata Vip per il ministro della Salute

La crociata Vip per il ministro della Salute
Roberto Speranza (Ansa)
Come i lettori sanno, ci sono molte ragioni per chiedere le dimissioni di Roberto Speranza e tra queste gli errori compiuti durante la pandemia e la poca chiarezza intorno all'insabbiamento dei rilievi mossi dall'Oms. Tuttavia, da ieri c'è un motivo in più: un appello firmato da 130 intellettuali a difesa del ministro della Salute. A dichiarare «io sto con Roberto» sono personalità del calibro di Gad Lerner, Michele Serra, Monica Guerritore, Moni Ovadia, Norma Rangeri, Nadia Urbinati, Gianrico Carofiglio, Corrado Augias. Cioè il meglio dello snobismo radical chic. Erano anni che non vedevamo mobilitarsi per una causa persa il culturame di sinistra. Nel passato, durante gli anni della contestazione e del terrorismo, lanciare appelli era una prassi e la regola prevedeva che si firmasse senza andare troppo per il sottile. La lettera con cui si condannava Luigi Calabresi, pubblicata sull'Espresso cinquant'anni fa e considerata una sentenza definitiva per il povero commissario, fu sottoscritta da 757 tra giornalisti, scrittori e professori. Taluni si giustificarono dicendo di non essersi neppure resi conto di ciò a cui avevano aderito, altri invece si pentirono, ma molto tempo dopo, quando i danni erano già fatti. A quel manifesto, tuttavia, ne seguirono molti altri, sempre sostenuti da attori e letterati col birignao, tutti ovviamente impegnati a dimostrare di essere attenti al bene comune piuttosto che al proprio. Come siano finiti gran parte di quegli appelli è noto.

Con ciò, non vogliamo dire che i sottoscrittori della lettera pro Speranza siano uguali a quelli che firmarono condannando Calabresi, anche perché in questo caso l'appello non è contro, ma a favore. Però, ci pare che il gruppo di intellettuali pret-à-firmé sia della stessa risma dei precedenti e abbia la stessa abitudine ad apporre il proprio nome sotto ciò che nemmeno lontanamente conosce. In pratica, i 130 sostenitori si schierano a difesa di Speranza più per appartenenza che per conoscenza. E infatti, oggi come allora, la compagnia di giro dei firmatari di professione rischia spesso di prendere clamorose cantonate. Nel caso specifico, cioè il sostegno al ministro della Salute, arriva fuori tempo massimo, cioè quando con rara perfidia il presidente del Consiglio lo ha voluto al proprio fianco, per comunicare il contrario di ciò che il segretario di Articolo 1, nonché titolare della Salute, ha detto fino a ieri. In Parlamento, dove è intervenuto, Speranza ha spiegato che riaprire le attività commerciali, dando fiato a tante categorie piegate dalla chiusura imposta dal coronavirus, è impossibile, pena una risalita dei contagi. Fino a ieri, il ministro della Salute si è dunque speso per mantenere una linea di rigore, nonostante perfino uno studio dell'università di Oxford abbia dimostrato che, se protratte nel tempo, le chiusure non servono a evitare il diffondersi dell'epidemia, perché dopo un po' le persone tendono a evadere dagli arresti domiciliari. E dunque, l'efficacia delle misure di contenimento della pandemia si riduce, ma non si contraggono, anzi si ampliano, gli effetti sull'economia, perché dopo un po' ristoratori, commercianti, partite Iva non ce la fanno più.

Gli intellettuali engagés, a cui appartengono i sottoscrittori dell'appello pro Speranza, sono convinti che dietro alle manifestazioni di protesta dei giorni scorsi ci siano i fascisti e dunque ripropongono la solita storia delle opposte fazioni. Da un lato i buoni, incarnati da quel cireneo di Speranza e dai suoi compagni, e dall'altro i fascisti, che in piazza fanno il saluto romano e tirano bombe carta. Il cretino è per sempre hanno scritto quasi quarant'anni fa Fruttero & Lucentini e non è il caso di tornarci. Se la mamma dei cretini è sempre incinta, è evidente che un certo numero dei suddetti si ritrovi anche nei cortei di chi manifesta il proprio disagio. Anzi, è altamente probabile che l'occasione di sfilare davanti alle telecamere e alla polizia li attiri come fa la carta moschicida con gli insetti. Ciò detto, non si può credere che quelli che protestano siano tutti nostalgici del ventennio, come invece ritengono i nostri maitre-à-penser. La donna che, inginocchiata davanti agli agenti, li supplica di capire la sua disperazione per aver perso tutto e non avere i soldi per fare la spesa, può essere una fascista? Si può continuare a respingere le richieste dei ristoratori e dei commercianti che chiedono solo di riaprire trattandoli come evasori fiscali? È ovvio che esiste un problema culturale, dei nostri indignati speciali e di politici come Speranza. Da statalisti che sono, guardano al resto del mondo come se fosse popolato da speculatori e profittatori. Loro sono il bene, il resto è il male.

Grazie al cielo, c'è un signore che pur venendo dalle grandi istituzioni finanziarie capisce più di economia spicciola che i presunti difensori del popolo. E dunque, invece di ascoltare gli appelli dei nostri intellò, preferisce dare retta a chi non produce aria fritta.

L’Italia va a lavorare contro Landini
Maurizio Landini (Ansa)
  • Il segretario della Cgil urla al regime e sostiene di parlare a nome del Paese reale. Ma non aderiscono allo sciopero generale neppure gli iscritti al sindacato: hanno capito che combatte una battaglia personale. Stavolta in pericolo c’è la sua poltrona.
  • Landini straparla di regime e agita lo sciopero infinito: «Fanno bene ad avere paura, non ci fermeremo». E dopo i silenzi sui tagli Stellantis, va contro Elkann per «Rep».

Lo speciale contiene due articoli.

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Dopo l’auto, Elkann smonta pure la Juve? Ma la sinistra urla solo per «Repubblica»
John Elkann (Getty Images)
I quotidiani progressisti servivano solo a coprire la ritirata dall’Italia. E visto il silenzio del Pd e di Landini mentre l’industria dell’auto moriva, l’operazione è riuscita. Poi si chiedono perché gli operai non li votino più.

John Elkann sta smantellando pezzo dopo pezzo quello che era il più grande impero industriale privato del Paese, portando le produzioni automobilistiche all’estero. Mentre a Pomigliano d’Arco si sospende la produzione della Panda e della Tonale, Stellantis - questo il nome assunto dopo la fusione con Peugeot e di cui l’erede di casa Agnelli è presidente - produce veicoli a marchi Fiat in Marocco, Serbia, Algeria, Polonia, per non parlare delle Jeep negli Usa. Ieri sera ha pure ricevuto un’offerta miliardaria per la Juve. Tuttavia, di fronte a questa fuga dall’Italia, la sinistra pare indifferente. Né il Pd né la Cgil hanno fatto un plissé leggendo il racconto dell’operaio che ha dovuto trasferirsi da Pomigliano a Kragujevac, 140 km da Belgrado ovvero 1.600 km da casa, per non finire in cassa integrazione. Eppure, sono un centinaio i dipendenti che hanno scelto di accettare l’offerta dell’azienda pur di poter contare su uno stipendio pieno. E zero commenti si sono registrati a sinistra quando la stessa Stellantis ha inviato una lettera ai fornitori italiani invitandoli a traslocare le loro aziende in Marocco, dove il gruppo ha avviato una fiorente attività producendo, tra le altre, la Topolino.

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La manovra della Fornero? 4 tasse
Elsa Fornero (Ansa)
Dopo averci fatto piangere da esponente del governo Monti, ora sforna idee da brivido: «Imposte su affitti e successioni, rimodulazione Iva e niente flat tax per gli autonomi».

Andrebbe insignita ad honorem del premio «Bocca di rosa» e non per il suo elegantissimo filo di rossetto che sottolinea il sorriso accennato tra lo sdegnoso e il cinico, ma perché, come le prefiche cantate da Fabrizio De Andrè, non potendo più dare cattivo esempio prova a dare buoni consigli. Che non paiono neanche tanto di qualità.

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Milano, centro storico stravolto con la Scia
Ansa
Il cantiere sequestrato in Brera rivela lo schema adottato per spingere i palazzi di lusso. Il gip: «Iter orientati da un ufficio parallelo di funzionari». Alcuni documenti cancellati.

Le scarcerazioni decise dal tribunale del Riesame alla fine dell’estate non hanno chiuso l’inchiesta sull’urbanistica milanese. Anzi. Il sequestro del cantiere di via Anfiteatro 7, nel cuore di Brera, mostra che l’indagine è entrata in una nuova fase. Meno centrata sui singoli episodi, ma più concentrata sui meccanismi amministrativi che hanno governato la trasformazione del centro storico negli anni delle giunte guidate da Giuseppe Sala.

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