2025-11-17
«Kiev nell’Ue può far comodo a Mosca»
L’esperto Dario Fabbri: «Se l’Ucraina in futuro cambiasse regime, diventerebbe un cavallo di Troia dei russi. La corruzione? A quelle latitudini è normale. Putin ha ottenuto solo vittorie tattiche, adesso gli serve la caduta di Zelensky».Dario Fabbri, esperto di geopolitica e direttore di Domino, anche se sei a Roma e non a Pokrovsk, ci provi a raccontare cosa sta succedendo da quelle parti?«Un’offensiva russa massiccia che dovrebbe condurre ad una presa della città. Sappiamo però che la situazione è discretamente ingarbugliata. Di città come questa - raccontate come decisive per la resistenza del Donbass - ce ne sono state molte. Compresa la vicina Myrnohrad. In realtà, nessuna città del Donbass è veramente decisiva per decidere le sorti della guerra. Il governo ucraino ha scelto in maniera simbolica di resistere in alcuni avamposti la cui perdita rappresenterebbe una sconfitta morale. L’anno scorso la città simbolo era Avdiivka, caduta la quale però i russi non si sono presi neppure il Donbass. Ancora prima Bakhmut».Una guerra di nervi…«Vedo due ragioni. Da un lato i russi stessi utilizzano questa retorica per segnalare alla controparte che poi per loro sarà la fine. Anche gli ucraini vogliono mandare lo stesso messaggio. Ma agli alleati europei. Ma gira e rigira siamo sempre nell’oblast di Donetsk dove si combatte letteralmente da quasi quattro anni, città per città. Ma anche se i russi si prendessero la città e l’intero Donbass la guerra non sarebbe vinta».Ora ti obbligo a fare l’analista finanziario, oltre che militare. Poi tornerai a fare le tue riflessioni in materia di geopolitica. E se l’emergenza ucraina fosse che è a corto di soldi?«Se ti riferisci al possibile utilizzo di fondi russi, finora non sono mai stati scongelati perché ci sarebbe un’ovvia rappresaglia sugli asset occidentali a Mosca. Ma queste decisioni in finale le prendono gli americani. “Devi comprare armamenti da noi e girarli all’Ucraina”, e così avviene. Ma gli americani non riescono a trovare una quadra nel congelamento del conflitto con i russi. Riprova ne sono il fallito vertice in Alaska e quello mai tenutosi a Budapest. Gli americani vorrebbero staccare la Russia dalla Cina riconoscendo le sue conquiste sul campo. Ma per sedurre la Russia non esiste un dossier più importante dell’Ucraina. Solo che gli americani non vogliono cedere l’influenza che hanno ottenuto sull’Ucraina dopo tutti questi anni».Dove hanno investito un ingente capitale politico oltre ché finanziario«Quello che rimarrà dell’Ucraina deve rimanere nel fronte occidentale. Si dibatte se entrerà mai nella Nato ma è la Nato ad essere ampiamente entrata nell’Ucraina. Che cosa ha chiesto Putin in queste settimane? Ciò che aveva in testa prima dell’inizio del conflitto. Via il governo Zelensky, mettiamone un altro possibilmente filorusso. Via le armi straniere. Fine anche del patriarcato di Kiev. In Ucraina la Chiesa ortodossa non ha più una sua autocefalia ma ne ha almeno due di capocce, per dirla in romanesco. Deve tornare solo il patriarcato di Mosca. Gli americani provano a mettere pressione minacciando l’invio di missili Tomahawk. E poi ritrattando. E il grande fraintendimento tra gli europei e gli americani è che questi ultimi non vogliono arrivare ad uno scontro frontale con la Russia manco per niente».Jack Watling su Foreign Affairs sostiene che Putin non vorrebbe Kiev nemmeno dentro l’Ue.«Sarebbe scenograficamente un fatto da spiegare bene all’opinione pubblica russa. La Russia questa guerra la sta vincendo tatticamente perché comunque i territori li ha occupati e molto probabilmente se li terrà. Ma di obiettivi strategici che contano davvero non ne ha centrato praticamente nessuno. La Russia al momento controlla tre quarti del Donbass. L’obiettivo vero era Zelensky. Il problema di Putin in finale qual è? Non rimanere nei libri di storia come l’uomo che ha perso l’Ucraina. Ma questo rischia seriamente di diventare. Gorbachev è molto amato in Occidente ma è tuttora disprezzato in Russia per essersi consegnato all’Occidente. Basterebbe un nuovo regime a Kiev, anche se non apertamente filorusso. Più aperturista. Che possa essere raccontato dagli americani come filoccidentale. E da Mosca come amico».La corruzione in Ucraina è un po’ come il segreto di Pulcinella…«La resistenza ucraina è legata al possibile ingresso dentro l’Unione europea, che sarebbe però compromessa da questo racconto. Un’endemica corruzione è la normalità a quelle latitudini. Sperimentata con la caduta del regime comunista. E si ritorna alle implicazioni di questo ingresso. Una parte della nomenclatura russa lo vivrebbe come una certificazione della sconfitta. Ma l’Ucraina potrebbe pure diventare il cavallo di Troia russo dentro l’Unione europea. La storia mica finisce qui. Tra qualche anno potrebbe esserci un nuovo governo filo Mosca, casomai imposto dall’esterno. Che impallinerebbe l’Ue col diritto di veto. La storia è lunga. E i russi ci stanno dentro. Una parte di establishment ragiona in questi termini a Mosca. Macron, consapevole dell’inghippo, provò ad inventarsi una nuova comunità politica europea nella quale dovevano rientrare anche gli inglesi. Un modo astuto per farli rientrare da qualche parte. Poi c’è il tema di chi pagherà la ricostruzione. Sono costi, è vero. Ma anche sviluppo per le imprese dei governi che partecipano».Gli ucraini che cosa pensano?«Una parte della popolazione, sicuramente maggioritaria, vuole agganciarsi all’Occidente. Ma rimangono attive quinte colonne gestite dai russi. E se domani queste potessero ritrovarsi dentro l’Unione europea, è pur vero che l’Ucraina potrebbe teoricamente essere espulsa. Ma sarebbe un’operazione complicatissima. Giusto per dare un’idea, l’Ucraina è il Paese più esteso in termini di superficie»Proiettiamoci di nuovo alla fine della guerra. La Russia si prende una parte dell’Ucraina e c’è da ricostruire tutto il resto. Ma chi paga? La Russia, gli Stati Uniti e l’Unione europea? E soprattutto quando si chiude una guerra in genere paga lo sconfitto. Ma se pagasse l’Unione europea che cosa vuol dire? Che siamo noi gli sconfitti? Ma mica eravamo in guerra!«Proposizione interessante, definiamola così. Di certo non pagano i russi. A parte che non ne hanno neanche le capacità finanziarie. Se non attraverso i famosi fondi congelati che tuttavia rappresentano un’opzione nucleare. Un punto di non ritorno. Sarebbe legittimo sul piano giuridico? Apparentemente se siamo in un’economia di guerra si va oltre la conformità giuridica. Vige lo stato di eccezione. Ma questo può portare ad una rappresaglia simmetrica da parte dei russi. Detto ciò, è difficile che siano i russi a pagare. Men che meno gli americani. Quindi ci ritroveremo noi a pagare. Ed è la risposta implicita alla tua domanda. La ricostruzione è anche un business, ma sarebbero i cittadini a pagare. E in Italia il dibattito sarebbe feroce. Il punto è che abbiamo un’idea un po’ lasca di che cosa significa stare in una sfera di influenza. Nel nostro caso quella americana. Non è un club di amici quello dove siamo. Siamo sotto l’influenza americana perché abbiamo perso una guerra. Ringraziando la fortuna, questo ci ha consentito di liberarci dal nazifascismo e da allora gli americani sono qui. Non li ha invitati nessuno e non se ne andrebbero neanche se glielo chiedessimo. Sul dossier Ucraina ci siamo resi conto che seguiamo l’andamento umorale degli Usa. Quando è guerra siamo guerrafondai. Quando c’è il dialogo ci adeguiamo di conseguenza. Quindi decideranno gli americani chi paga. Magari non è un bel mondo. Ma ci è andata di lusso. Se invece che sotto la sfera di influenza degli americani fossimo caduti sotto quella sovietica, sarebbe andata molto peggio».
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Benjamin Netanyahu (Ansa)