2025-11-17
Tassare l’astenuto? No, rispetto per chi vota
Una tassa su chi non vota. L’idea l’ha lanciata il direttore della Stampa, Andrea Malaguti, per arrestare il calo della partecipazione popolare alle elezioni, sintomo - a suo dire - del declino della democrazia. L’articolo 48 della Costituzione dice che votare è un dovere civico, cioè una specie di impegno morale, ma non un obbligo. Per l’illustre collega, invece, si dovrebbe essere costretti a partecipare alle elezioni. «Si va», ha spiegato, «con la forza». Non mi è chiaro se Malaguti preveda l’intervento dei carabinieri o, visto che «chi non va alle urne fa un danno alla collettività», quello degli esattori del fisco, per monetizzare il diritto a non esercitare un diritto (di voto). Quali che siano le procedure che il collega intende adottare per risolvere i problemi della crisi della democrazia, segnalo che il fenomeno dell’astensionismo riguarda ogni Paese occidentale. Dagli Stati Uniti all’Europa, tutti vedono un calo di partecipazione popolare quando si tratta di eleggere i propri rappresentanti in Parlamento o i vertici delle istituzioni. In America da sempre vota una minoranza: anche alle ultime presidenziali, che hanno visto uno scontro fortissimo fra il candidato repubblicano e quello democratico, dunque con una partecipazione ampia, gli elettori sono stati poco più di 150 milioni su 325 milioni di residenti e una popolazione di maggiorenni di 240 milioni. In pratica, a votare Donald Trump sono stati 77 milioni di americani. Discorso analogo si potrebbe fare per la gran parte dei Paesi europei, con punte che oscillano intorno a una partecipazione dell’80% e sprofondi al 30%. Ma il disinteresse di molti elettori per l’esercizio del diritto di voto può essere risolto con un obbligo, come propone Malaguti? I Paesi che ci hanno provato non sembrano aver risolto molto. A parte il caso di Lussemburgo e Belgio, dove pure esiste un dovere che prevede il ritiro della scheda elettorale, la Bulgaria è un esempio di quanto inutile sia introdurre una sanzione a carico di chi non vota. La partecipazione popolare alle elezioni in certi casi supera di poco il 30%, ma aver previsto una multa non ha costretto gli elettori a recarsi ai seggi. Forse perché abituati al famoso voto bulgaro, dove i funzionari della nomenclatura comunista decidevano per tutti, a Sofia continua a votare un avente diritto su tre. Ma al di là della tassa sulla scheda elettorale (chi non la infila nell’urna dovrebbe pagare, come dice Malaguti), credo che la classe politica e pure quella giornalistica dovrebbero interrogarsi sulle ragioni del non voto. Perché il 30 e a volte il 40% degli elettori sceglie di non votare? Certo, ci possono essere questioni economiche, ovvero molti cittadini che non vogliono esercitare un proprio diritto perché interessati più a mettere insieme il pranzo con la cena che a chi si insedierà a Palazzo Chigi o a Bruxelles. Il reddito traccia uno spartiacque fra una parte di popolazione ai margini e un’altra che, oltre al proprio status, è interessata a quello del Paese. Tuttavia, io non credo che ci sia solo la questione economica, che pure senza dubbio esiste (e che se è alle origini del non voto, non si risolve mettendo una tassa sui poveri che non votano). Io penso che la sfiducia nella democrazia, se di sfiducia si può parlare, abbia origini anche dalle molte, troppe, volte che l’elettore è stato privato del diritto democratico di esprimere la propria opinione. Ricordo un brillante articolo, proprio sulla Stampa, di Giovanni Orsina, docente di storia contemporanea della Luiss. Il professore metteva in evidenza come la crescita dei movimenti populisti, in particolare dei 5 stelle, fosse coincisa con la caduta di un governo e la negazione delle elezioni. Mi pare di ricordare che il caso portato a esempio fosse quello di Silvio Berlusconi, alle cui dimissioni, dovute a una serie di fattori, non ultimo le manovre del presidente Giorgio Napolitano, non seguì lo scioglimento delle Camere ma la nomina di Mario Monti. Un illustre sconosciuto per la maggioranza degli italiani, i quali avevano scelto di farsi governare dal Cavaliere e si ritrovavano un ex rettore che, per di più, posticipava le loro pensioni e tassava le loro case. In fondo, anche le mancate elezioni del 2021 vanno in questa direzione: caduto Giuseppe Conte, invece di restituire la parola agli elettori, il capo dello Stato ha ritenuto di affidarsi a Mario Draghi che, nonostante i prestigiosi incarichi ricoperti nel corso degli anni, non era stato votato dagli italiani come capo del governo.Insomma, ho la sensazione che, se gli elettori hanno votato prima i grillini e poi Fratelli d’Italia, una ragione c’è ed è che non intendono essere scippati del diritto di scegliere da chi farsi guidare. Se ci si pensa, così come chi vota contro l’establishment vuole far pesare la propria opinione, anche chi resta a casa protesta. Il suo è un voto di sfiducia nei confronti di chi non rispetta il volere degli italiani. La Costituzione dice che il popolo è sovrano. Ma se, di volta in volta, decidono i presidenti della Repubblica, i magistrati, la burocrazia e l’Europa, che sovranità è? Faccio un esempio pratico: se gli elettori danno carta bianca a una maggioranza politica affinché fermi gli sbarchi, che titolo hanno il capo dello Stato, i giudici e i funzionari della Ue per mettersi di traverso? Il problema, dunque, non è tassare gli italiani che non votano, ma rispettare gli elettori che hanno votato. Se la voce del popolo viene tenuta in considerazione, sono certo che gli italiani non penseranno che le elezioni sono inutili e non ci sarà bisogno di una nuova imposta per ridurre l’astensionismo.
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