Crisi, scudo tedesco: 100 miliardi per le imprese. Noi ci limiteremo a spegnere i condizionatori...

La Germania ha messo 5 miliardi a disposizione delle aziende, in Italia Draghi pensa ai condizionatori
Trova le differenze. Pochi giorni dopo che il governo italiano, nell’ultimo Documento di economia e finanza, ha messo 5 miliardi di euro a disposizione di aziende e consumatori colpiti dagli effetti della guerra e delle sanzioni, la Germania ha annunciato un maxi piano da oltre 100 miliardi per proteggere le proprie imprese. Uno Schutzschild, uno scudo protettivo, che lenirà gli effetti provocati dalle strozzature nelle catene di approvvigionamento e dall’aumento dei prezzi dell’energia.
Gli aiuti, che scatteranno da giugno e i cui dettagli saranno messi a punto nelle prossime settimane dal governo di Olaf Scholz e dalla KfW (la banca pubblica tedesca equivalente alla nostra Cassa Depositi e Prestiti), si sostanzieranno in 7 miliardi di prestiti a tassi agevolati e in altri 100 miliardi di linee di credito a breve termine garantite dallo Stato. Il governo inoltre si riserva di rafforzare il capitale di grandi società di interesse pubblico e di sussidiare le imprese ad alta intensità di consumo di energia che saranno più colpite dall’aumento delle bollette. Lo Schuldenbremse, il freno all’indebitamento inserito in Costituzione nel 2009, sembra un lontano ricordo, considerando anche l’altro recente (e storico) annuncio di uno stanziamento di 100 miliardi di euro per il riarmo (con l’obiettivo di mantenere le spese militari al 2% del pil anche nei prossimi anni). In Germania a marzo l’inflazione ha toccato il 7,3%, livello più alto da 40 anni.
La situazione in Italia
Tutt’altro clima sembra respirarsi in Italia, dove il governo ostenta una certa serenità. Nella conferenza stampa del 6 aprile il presidente del Consiglio Mario Draghi ha tracciato uno scenario tranquillizzante: «Dovessero cessare le forniture di gas russo oggi, fino a ottobre, tardo ottobre, siamo coperti dalle nostre riserve e da varie altre produzioni, quindi le conseguenze non le vedremo fino all’autunno». Per poi chiedersi: «Preferiamo la pace o stare col condizionatore acceso tutta l’estate?». Che i problemi che ci attendono vadano ben oltre la prospettiva di passare un’estate bollente, però, lo certifica lo stesso Documento di economia e finanza scritto dal governo, dove si prefigura uno scenario in cui un eventuale stop alle importazioni di gas russo non venga compensato da fonti alternative: in quel caso «la crescita del pil in termini reali nel 2022 sarebbe pari a 0,6% e nel 2023 a 0,4%». Venerdì la Banca d’Italia tracciava uno scenario simile, con un pil in calo di mezzo punto percentuale sia quest’anno sia il prossimo in caso di interruzione delle forniture di gas da maggio, e con l’inflazione all’8% quest’anno. Mentre ieri l’ufficio studi di Confindustria ha stimato un calo dell’1,5% della produzione industriale nazionale a marzo, dopo il -3,4% di gennaio e il «rimbalzo statistico» (+1,9%) di febbraio. Per i primi tre mesi dell’anno si stima un calo del 2,9% rispetto all’ultimo trimestre del 2021, imputabile in particolare al rincaro del gas naturale «che esibisce tassi di variazione a 4 cifre (+1217% in media nel periodo del conflitto sul pre-Covid)» e a quello «del Brent, che è a 3 cifre (+104%)».Un’indagine tra le imprese associate a Confindustria ha evidenziato altri segnali preoccupanti: 9 su 10 giudicano importanti non solo gli aumenti dei costi dell’energia ma anche quelli delle altre materie prime e 8 su 10 denunciano difficoltà nell’approvvigionamento. Il 16,4% degli imprenditori interpellati dice di avere già «ridotto sensibilmente» la produzione.
Produzione industriale
Il presidente dell’associazione degli industriali Carlo Bonomi venerdì al convegno di Forza Italia ha deplorato una «politica italiana insensibile alle esigenze delle imprese», ma per parte sua non ha chiesto interventi speciali sul modello di quello annunciato in Germania, limitandosi ad auspicare il riallocamento di risorse già stanziate: «Se c’è, come dice il ministro Franco, un vincolo di bilancio e quindi zero scostamenti, credo che ci sono 900 miliardi annui di spesa pubblica che possono essere riconfigurati». E mentre governo e parti sociali navigano a vista il nostro sistema si trova nuovamente esposto a incursioni dall’estero, come testimonia il recente blitz del francese Crédit Agricole, che è diventato il primo azionista di Bpm sfruttando proprio le difficoltà di Unicredit (che stava studiando un’offerta sul Banco) con la sua esposizione in Russia.
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