2025-11-20
Pd contro un’Alta corte per le toghe. Peccato che l’avesse nel programma
Elly Schlein (Getty images)
I dem vogliono affondare la riforma Nordio ma dimenticano che alle ultime elezioni politiche assicuravano la creazione di un nuovo «tribunale» disciplinare per i magistrati. Se lo fa il governo, però, è da boicottare.«Proponiamo di istituire con legge di revisione costituzionale un’Alta corte competente a giudicare le impugnazioni sugli addebiti disciplinari dei magistrati e sulle nomine contestate». La citazione sopra riportata non proviene da un documento elettorale del centrodestra o da un intervento pubblico del guardasigilli Carlo Nordio, bensì dal programma elettorale del Pd alle elezioni politiche del 2022. Eppure, nonostante questo, durante l’approvazione della riforma della giustizia varata dal centrodestra, i dem, contrari al pacchetto di modifiche varato dalla maggioranza, hanno lanciato strali anche contro questo punto, dimenticandosi che era parte del loro programma. «Si vuole costituire una magistratura giudicante e una magistratura requirente come due corpi separati e culturalmente distanti, selezionati da due concorsi diversi, con due Csm distinti e con un’Alta corte disciplinare che risponde a logiche esterne alla magistratura stessa. È un progetto che stravolge il Titolo IV della Costituzione e incrina il principio della separazione dei poteri. Questa è una riforma identitaria», aveva tuonato Francesco Boccia, capogruppo del Pd al Senato il 26 giugno scorso durante il voto a Palazzo Madama. Mettendo sullo stesso piano la separazione delle carriere e l’Alta corte. Il 15 luglio, la senatrice Vincenza Rando era stata ancora più esplicita: «L’articolo 4 del provvedimento smantella il sistema di autogoverno della magistratura, sottraendo ai Consigli superiori la funzione disciplinare per affidarla a un nuovo organismo, l’Alta corte. Non c’è nulla di neutrale in questa operazione», ha continuato la senatrice dem, «perché l’obiettivo è chiaro: isolare i magistrati, metterli sotto osservazione, creare uno strumento di pressione». Come detto, leggendo cambiamenti introdotti dalla riforma Nordio, si ritrova sostanzialmente la proposta che il programma del Pd per questa legislatura conteneva a pagina 30. La giurisdizione disciplinare nei riguardi di tutti i magistrati «è attribuita all’Alta corte disciplinare».Essa sarà composta da 15 membri: tre nominati dal presidente della Repubblica; tre estratti a sorte da un elenco di giuristi che il Parlamento in seduta comune «compila con elezione»; sei estratti a sorte tra i magistrati giudicanti con 20 anni di attività e con esperienze in Cassazione; tre sorteggiati tra i magistrati requirenti con vent’anni di attività ed esperienza in Cassazione. I togati sono, quindi, la maggioranza, ma il presidente viene eletto tra i laici. Durano in carica 4 anni, l’incarico non è rinnovabile. Per assurdo, l’Alta corte in versione centrodestra ha, quindi, meno poteri di quella in versione Nazareno, che attribuiva all’organismo proposto anche la gestione delle contestazioni sulle nomine. Ma, almeno nella stringatissima versione pubblicata nel programma, non diceva nulla rispetto alle modalità di elezione dei componenti. E forse il sorteggio, che depotenzia le correnti della magistratura, è il motivo per cui gli attacchi da parte dei dem sono arrivati anche contro l’Alta corte introdotta dalla riforma.Il sospetto viene rileggendo le parole pronunciate alla Camera dal deputato del Pd Marco Lacarra, durante le dichiarazioni di voto del 17 settembre: «Il meccanismo del sorteggio che avete introdotto è una vera e propria aberrazione costituzionale. La Corte, con la sentenza numero 12 del 1971, aveva già dichiarato illegittimo un analogo meccanismo previsto per la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Voi lo riesumate oggi, come se nulla fosse e lo estendete addirittura alla composizione dei nuovi consigli superiori e dell’Alta corte disciplinare. È un colpo diretto all’autorevolezza e alla credibilità delle istituzioni di autogoverno della magistratura. Trasformate le elezioni in una lotteria, la rappresentanza in casualità. Così non si rafforza la democrazia, la si umilia». Ma soprattutto, il Pd di Elly Schlein è ormai diversissimo da quello guidato da Enrico Letta durante la campagna elettorale di tre anni fa. Come noto, la componente riformista del partito del Nazareno, al netto degli annunci ufficiali sul «no» al referendum, ha al suo interno posizioni di apertura verso la riforma del centrodestra. E anche all’interno della «Ditta», l’area ex Ds del partito, spicca la presa di posizione favorevole di Goffredo Bettini, che cerca da tempo di evitare rotture insanabili tra le diverse anime dei dem. Anche per questo l’area riformista auspica che, passate le regionali e la manovra, si apra un confronto nel Pd «su come intende stare nella campagna referendaria». Dal fare o non fare un comitato, per esempio. Ma anche nel merito, sulla linea da dare alla campagna.«La linea della riforma inutile, del referendum come arma di distrazione per non parlare dei veri problemi del Paese o la linea Scarpinato?». La seconda, con buona pace della Schlein, non è quella gradita dai riformisti dem.