2025-11-20
Ilva chiusa da mesi ma è tutta colpa di un errore umano
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.Produzione ridotta, lavoro ridotto. Il tutto perché - come aveva commentato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, da Bruno Vespa - alcuni magistrati adottano «i pieni poteri» per «bloccare la politica industriale fermando gli impianti, per esempio dell’ex Ilva, con un sequestro di cui non si sa niente da mesi». Come si apprende da fonti vicine al dossier, tuttavia, l’incendio provocato dallo scoppio di una tubiera all’altoforno 1, come ricostruito anche da una relazione tecnica della Paul Wurth, non è legato a condizioni strutturali di pericolo dell’impianto, ma a un errore umano: il tecnico di cabina, contrariamente alla procedura prevista, non avrebbe attivato la chiave di minimo vento, dispositivo che apre due camini di sicurezza e consente la depressurizzazione immediata dell’altoforno. L’uomo avrebbe invece azionato un altro comando, lasciando che il surriscaldamento si sviluppasse fino all’incendio. Come se in presenza di una spia che indica una gomma bucata, il guidatore invece che frenare, semplicemente decelerasse. Insomma, nessuna criticità intrinseca della struttura, dove episodi simili, seppur meno gravi, si erano già verificati senza compromettere la sicurezza generale.Dopo l’incendio di inizio maggio il pm tarantino Francesco Ciardo aveva inserito nel registro degli indagati tre dirigenti di Acciaierie d’Italia: il direttore generale Maurizio Saitta, il direttore dello stabilimento Benedetto Valli e il capo area altiforni Arcangelo De Biasi. A Valli viene contestata anche la mancata comunicazione prevista dalla normativa Seveso, accusa respinta dall’azienda, che sostiene di aver adempiuto a tutte le procedure. Il sequestro probatorio dell’altoforno, eseguito dal Noe, richiedeva campionamenti e verifiche sui refrattari e sullo spessore interno, attività che la Procura ha avviato però solo a ottobre dopo una lunga fase di acquisizione documentale esterna all’impianto. L’altoforno 1 era tornato in marcia nell’autunno di un anno fa dopo un lungo fermo grazie a una facoltà d’uso, legato al processo «Ambiente Svenduto», trasferito da Taranto a Potenza per incompatibilità ambientale di un paio di toghe che si erano costituite anche parte civile nel procedimento tarantino. Dunque l’acciaieria andava avanti in deroga, ma almeno andava avanti. Ora invece non riesce più a garantire la continuità lavorativa almeno fino a quando resterà sequestrato. Infatti sul fronte occupazionale, la tensione è altissima. Il governo rivendica di aver accolto la principale richiesta dei sindacati, assicurando che non ci saranno ulteriori estensioni della cassa integrazione e che, in alternativa, verranno individuati percorsi di formazione anche per chi è già in cig. Da gennaio il numero complessivo dei lavoratori interessati dovrebbe restare 4.450, con 1.550 risparmiati dalla Cig perché faranno formazione in attesa che a marzo arrivi un compratore. Martedì Palazzo Chigi ha insistito sul fatto che la formazione è necessaria per preparare il personale alle future tecnologie green. E soprattutto il ministro Adolfo Urso ha respinto l’accusa mossa dai sindacati di voler dismettere gli impianti: «Da parte del governo non c’è nessuna chiusura. Il confronto continua». Sul tavolo restano poi i possibili acquirenti: Bedrocks Industries, che il ministro incontrerà nuovamente, Flacks Group atteso a Taranto per un sopralluogo, un player straniero non ancora identificato e un quarto soggetto extraeuropeo. Circolano poi voci su altri interessi, da Arvedi a fondi del Golfo. Se però non si riapre l’altoforno 1, quale attrattività potrà avere la società? In fondo l’incendio non deriva da una carenza strutturale ma da un banale errore umano. L’ex Ilva occupa circa 10.000 persone in Italia, di cui 8.000 a Taranto. Oltre metà sono in cassa integrazione. Avranno diritto o no a tornare a lavorare?