2025-11-20
Meloni da Mattarella: «Frasi inopportune»
Giorgia Meloni e Sergio Mattarella (Ansa)
Faccia a faccia di mezz’ora. Alla fine il presidente del Consiglio precisa: «Non c’è nessuno scontro». Ma all’interlocutore ha rinnovato il «rammarico» per quanto detto dal suo collaboratore. Del quale adesso auspicherebbe un passo indietro.Poker a colazione. C’era un solo modo per scoprire chi avesse «sconfinato nel ridicolo» (come da sprezzante comunicato del Quirinale) e Giorgia Meloni è andata a vedere. Aveva buone carte. Di ritorno da Mestre, la premier ha chiesto un appuntamento al presidente della Repubblica ed è salita al Colle alle 12.45 per chiarire - e veder chiarite - le ombre del presunto scontro istituzionale dopo lo scoop della Verità sulle parole dal sen sfuggite al consigliere Francesco Saverio Garofani e mai smentite. Il colloquio con Sergio Mattarella è servito a sancire sostanzialmente due punti fermi: le frasi sconvenienti dell’ex parlamentare dem erano vere e confermate, non esistono frizioni fra Palazzo Chigi e capo dello Stato.Nell’incontro al vertice, durato mezz’ora, Meloni ha espresso al presidente «il suo rammarico per le parole istituzionalmente e politicamente inopportune pronunciate in un contesto pubblico dal consigliere Garofani». Di fatto ha tenuto il punto, come hanno riferito fonti di Palazzo Chigi. In quel momento tutti avevano letto l’intervista al Corriere della Sera nella quale Garofani ha ammesso la leggerezza, di conseguenza i bluff stavano a zero. La premier ha rimarcato al capo dello Stato che «non esiste alcuno scontro istituzionale» e ha ribadito «la sintonia istituzionale, mai venuta meno fin dall’insediamento di questo governo e della quale nessuno ha mai dubitato».Mattarella ha preso atto, dissimulando con la consueta eleganza il fastidio per l’inopportuno slittamento della frizione del suo stretto collaboratore sul futuro politico del Paese («Ci vorrebbe un provvidenziale scossone», «basterebbe una grande lista civica nazionale»). Devono essere state ore non facili per lo staff. Il presidente ha glissato sulla frettolosa presa di posizione dell’ufficio stampa, che aveva immediatamente alzato barriere di indignazione lessicale per difendere l’indifendibile. Confermando una saggezza che tutti gli riconoscono, sarebbe stato il capo dello Stato in persona a invitare il protagonista del piccolo maremoto a chiarire pubblicamente la faccenda. Al centro della conversazione di ieri non c’era l’articolo della Verità, peraltro incontestabile, ma la strumentalizzazione fatta dall’opposizione, che si è scagliata a corpo morto (accompagnata dalla consueta pattuglia di mosche cocchiere redazionali) a difesa del consigliere smascherato, ex deputato del Pd. E contro il capogruppo Fdi alla Camera, Galeazzo Bignami, per la sua domanda a Garofani di smentire l’atteggiamento ostile nei confronti del centrodestra mostrato dal pulpito quirinalizio, in teoria luogo super partes per eccellenza. «Una richiesta», avrebbe sottolineato Meloni che non era un attacco al Quirinale, «ma al contrario un modo per circoscrivere al suo ambito reale la vicenda, anche a tutela del Quirinale stesso». Doveva essere Garofani a chiarire per chiudere la faccenda, esattamente come ribadito ieri mattina da Bignami in tv: «Mai citato il presidente, speravamo che il consigliere smentisse». Invece il consigliere, pur derubricando il caso a «una chiacchierata fra amici» (invece era una cena ufficiale alla presenza di 20 persone), ha confermato. A margine della salita al Colle della premier, due voci continuano ad aleggiare nei palazzi che contano. La prima riguarda la richiesta di rimozione di Garofani. Non sarebbe mai stata avanzata, anche se un passo indietro sarebbe gradito a Palazzo Chigi, visto che si tratta del segretario del Consiglio supremo di Difesa, quindi partecipa alle riunioni con la presidente del Consiglio e il capo dello Stato. La seconda voce sussurra della possibile esistenza di un audio con le frasi ambigue, ma allo stato non ci sono conferme. A riprova che dopo lo scossone i toni si sono abbassati, ieri sera i capigruppo del partito di maggioranza alla Camera e al Senato (Galeazzo Bignami e Lucio Malan) hanno firmato una nota congiunta: «Dopo il colloquio al Quirinale, Fratelli d’Italia ritiene la questione chiusa e non reputa di aggiungere altro. Rinnoviamo la stima nel presidente Mattarella e l’apprezzamento per la sintonia istituzionale fra il Quirinale e Palazzo Chigi». Fine dei giochi, anche se la mano di poker a colazione è servita. Ha stabilito che non esiste conflitto e che personalmente Mattarella e Meloni si stimano, consapevoli di percorrere una strada comune per il bene della nazione. Ma al tempo stesso ha confermato che il partito più infiltrato nelle istituzioni e nel sottobosco del potere (manco a dirlo il Pd) si muove in penombra come ha sempre fatto dai tempi di Oscar Luigi Scalfaro per tornare a dare le carte al di là del mandato popolare. Resta scolpita nella pietra la frase di Nicola Zingaretti, oggi in silenzio stampa: «Una bufala ripetuta più volte non diventa una notizia». Come se qualcuno avesse colto un suo amico con le mani nella marmellata. Alla fine a «sconfinare nel ridicolo» rimane la reazione sguaiata del Nazareno.
La battaglia sul campo, i casi di corruzione e il futuro di un conflitto senza fine. Con la partecipazione del generale Antonio Li Gobbi.
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
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