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2018-08-20
Con l’aiutino della sinistra gli affari dei Benetton decollano pure a Fiumicino
Ansa
Ci si può fidare dei Benetton? I genovesi il 14 agosto hanno capito sulla propria pelle quale sia la risposta. I monitoraggi sul ponte Morandi, che secondo i tecnici andavano fatti prima dell'estate, sono stati rimandati per puro calcolo con i risultati che tutti sanno: 43 morti, un ponte distrutto e una città paralizzata. Ma anche gli abitanti di Fiumicino, in modo meno traumatico, hanno compreso che non conviene dar credito ai Benetton e ai loro manager.
L'aeroporto internazionale Leonardo Da Vinci, che si trova nel territorio della città laziale, è l'ennesimo grande affare della famiglia di Ponzano Veneto, dopo le autostrade e i maglioncini. Lo scalo è controllato dalla schiatta di tessitori attraverso la società Aeroporti di Roma Spa (posseduta al 95 per cento dal gruppo Atlantia, di cui i Benetton sono gli azionisti di riferimento) e i governi precedenti avevano autorizzato una spesa di circa 18 miliardi di euro per una nuova stazione, altre piste, hotel e centri commerciali. Un'opera che prevedeva la distruzione di 1.300 ettari di riserva naturale.
Due anni fa, il ministro Graziano Delrio si era fatto prendere dall'entusiasmo, parlando di «un'importante sorpresa per il 2016» e di «lavori paragonabili a quelli che portarono alla nascita di questa struttura». Ma nonostante l'accondiscendenza delle amministrazioni amiche, i Benetton in questi anni non si sono preoccupati della salute dei cittadini. A Genova, come a Fiumicino.
L'ultimo esempio di promessa da marinaio dei Benetton riguarda la sospensione dei voli notturni diretti sulla pista 1, quelli che atterrano a pochi metri dalle case della città laziale dalle 23 alle 6 del mattino. A prevederla, per motivi di salute, è una direttiva dell'Unione europea, recepita da un regolamento italiano e contestata dalle società aeroportuali. Nonostante la vittoria davanti al Tar, nel luglio del 2017, i Benetton avevano annunciato di interrompere i voli in attesa del pronunciamento del Consiglio di Stato. Ma la promessa è stata mantenuta solo per poche settimane. «Per questo nel novembre 2017 abbiamo scritto all'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac, ndr) e al suo controllore, il ministero dei Trasporti» spiega David Apolloni, combattivo avvocato che sostiene le battaglie dei cittadini contro le speculazioni dei Benetton. «L'Enac non ha mai risposto, mentre il Mit ci ha messo parecchie settimane e, solo dopo diversi solleciti, ha chiesto all'Enac di aprire un'istruttoria». Senza, però, alcun risultato. Così, visto il silenzio tombale, con l'arrivo del nuovo governo, Apolloni ha riscritto al ministero, il quale ha risposto subito e il 5 luglio ha invitato l'Enac a intervenire quanto prima. La lettera ha un oggetto esplicito: «Mancato rispetto degli Aeroporti di Roma Spa sul volo notturno, come da dichiarazioni del luglio 2017» e sottolinea il fatto che l'Enac «non abbia fornito, a tutt'oggi, gli elementi richiesti». Eppure anche questa volta l'ente per il volo è rimasto muto. «Purtroppo dopo 45 giorni non è arrivato ancora nessun segnale» ci informa Apolloni.
Sarà perché dietro al mega progetto di raddoppio dell'aeroporto c'è proprio l'Enac che nel 2012, con l'appoggio del governo Monti, aveva sottoscritto un contratto di programma con Adr che prevedeva un aumento delle tariffe aeroportuali (circa 12 euro a biglietto) per sovvenzionare lavori da realizzare entro il 2044. Dei 18 miliardi di investimenti previsti, 10 dovrebbero provenire da Adr (finanziati in gran parte con gli incrementi tariffari) e 8 dalle Ferrovie dello Stato. In definitiva tutti dalle nostre tasche.
Nel piano era previsto l'allargamento a nord su 1.300 ettari di agro romano, quasi interamente vincolati, essendo riserva naturale dal 1996. Nel 2013 il ministero dell'Ambiente ha accresciuto l'area salvaguardata e allora l'Enac ha fatto ricorso. Nel maggio scorso, forse anche per il cambiamento del vento politico, la Regione Lazio e i tecnici di Palazzo Chigi hanno espresso un parere opposto rispetto a quello dell'Enac, confermando l'intangibilità della riserva. Contro la cementificazione della campagna vanno anche un recente ordine del giorno presentato in Regione Lazio dal Movimento 5 stelle e un altro approvato all'unanimità dal Senato, su proposta di Fratelli d'Italia, a luglio.
Eppure, imperterrita, Adr, a inizio estate ha fatto un ulteriore ricorso «ad adiuvandum», per provare a spuntarla in coppia con Enac. Ma a chi appartengono i 1.300 ettari a nord dello scalo che nel progetto andrebbero espropriati e pagati lautamente ai proprietari? Novecento sono della Maccarese spa, la più grande azienda agricola del Paese, di proprietà proprio dei Benetton. Avete letto bene: per ingrandire l'aeroporto e garantire guadagni ancora più lauti agli imprenditori trevigiani lo Stato dovrebbe investire centinaia di milioni di euro per espropriare i terreni dei Benetton stessi. I quali, probabilmente, li farebbero poi rientrare all'interno del patrimonio di Adr.
I contrari al piano fanno notare che per ampliare l'area destinata a decolli e atterraggi è sufficiente che lo scalo si allarghi a sud, all'interno del sedime aeroportuale, come del resto già deciso. Ma per quei lavori, in parte iniziati, i Benetton dovranno investire dai 3 ai 5 miliardi e per questo, probabilmente, starebbero puntando sull'autoesproprio proletario.
Ma la cosa più interessante è che il progetto di Enac e Benetton si fonderebbe su presupposti sbagliati. Lo sostengono gli esponenti del comitato FuoriPista di Fiumicino. Uno di loro, Antonio Pellicanò, sul sito Fregeneonline, nelle scorse ore ha contestato i numeri alla base dell'ipotesi di raddoppio. Nel contratto di programma sottoscritto tra Enac e Adr erano stati ipotizzati 348.497 movimenti (atterraggi e decolli) per il 2017, ma in realtà sono stati solo 297.961, il 14,6% in meno rispetto alle previsioni, il dato più basso dal 2003, quando erano stati 300.831. Inoltre il calo non sarebbe un'eccezione, ma una costante dal 2010 a oggi.
Però se i voli sono diminuiti, i passeggeri sono cresciuti in maniera conforme alle previsioni. Ma anche in questo caso ci sarebbe il trucco. Tra il 2014 e il 2015 il numero dei viaggiatori sarebbe stato drogato con il trasferimento di centinaia di voli low cost a Fiumicino e l'aumento di questo tipo di traffico del 70% in due anni. In questo modo i passeggeri di questo segmento rappresentano attualmente un quarto del totale, una percentuale che nel piano di Adr era programmata per il 2044. Questo significa che zitti zitti i Benetton stanno trasformando il Da Vinci da hub internazionale a mega aeroporto low cost. «Chi e quando lo ha deciso?» si chiedono i portavoce dei comitati anti raddoppio. E forse qualcuno del nuovo Governo dovrebbe rispondere.
Giacomo Amadori
«Più cause per il crollo del ponte». Si indaga sui controlli privatizzati
L'inchiesta della Procura di Genova sul crollo del ponte Morandi procede, ma le difficoltà sulla strada dei magistrati sono tantissime. L'indagine è coordinata dal procuratore capo, Francesco Cozzi, e condotta dall'aggiunto Paolo D'Ovidio e dai pm Walter Cotugno e Massimo Terrile. I reati ipotizzati dalla Procura, che fino a ora non ha iscritto alcun nome sul registro degli indagati, sono omicidio colposo plurimo, disastro colposo e attentato colposo alla sicurezza dei trasporti.
Ieri i consulenti della Procura hanno iniziato a ispezionare il luogo del disastro, insieme alla Commissione ispettiva del ministero dei Trasporti. Una delle difficoltà che gli inquirenti si troveranno ad affrontare è la secretazione di alcune parti degli atti delle concessioni da parte del governo ad Autostrade per l'Italia. La procura ha chiesto di acquisire tutte le carte, e non si sa ancora se alla richiesta dei magistrati verrà opposto il segreto di Stato. La Squadra mobile di Genova ha sentito circa dieci testimoni, persone che si trovavano nei pressi del ponte al momento del crollo. Il pilone numero 9, quello crollato, sarebbe stato colpito da un fulmine alle 11.35 e 59 secondi del 14 agosto, 30 secondi prima della tragedia. È quanto risulta dal Laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale per lo sviluppo sostenibile (Lemma), un consorzio tra Regione Toscana e Cnr che archivia tutti i fulmini che colpiscono l'Italia.
Ieri si è svolta anche una ispezione da parte della Commissione del ministero delle Infrastrutture. Secondo il presidente Roberto Ferrazza il crollo del Ponte sarebbe frutto di «una serie di concause». Sebbene l'esatta dinamica sia ancora da accertare, per Ferrazza «il ponte prima si è piegato, poi è caduto». Questo fa ipotizzare dunque che qualcosa si sia rotto prima del cedimento degli stralli. Lo sgretolamento dello strallo «resta “una" delle ipotesi del cedimento», ha concluso Ferrazza.
Intanto, spuntano documenti destinati ad assumere un ruolo fondamentale nell'inchiesta. L'Istituto sperimentale modelli e strutture (Ismes), che si occupa di verifiche strutturali, ha confermato, in una nota indirizzata al Fatto Quotidiano, «di aver realizzato, dal 2015 al 2016, attività di consulenza specialistica per Autostrade per l'Italia (Aspi) sul ponte Morandi». Nei diversi rapporti originariamente consegnati al cliente, tra gennaio e maggio 2016 (e inoltrati nuovamente, su richiesta nel cliente, nella notte tra il 14 e il 15 agosto), «Ismes», prosegue la nota, «ha suggerito ad Aspi di aumentare la frequenza di alcune ispezioni e implementare un sistema di monitoraggio dinamico, ossia continuo, della struttura in presenza di fenomeni rapidamente variabili (es. vento, traffico, sisma, ecc.)».
Anche il Politecnico di Milano, su richiesta di Autostrade per l'Italia, aveva effettuato, nell'ottobre del 2017, uno studio sulle condizioni del ponte. «Per gli stralli del sistema bilanciato numero 9», si legge nelle conclusioni, «è stato possibile identificare con confidenza solo 4 modi globali e 2 di essi si presentano con deformata modale non del tutto conforme alle attese e certamente meritevole di approfondimenti teorico-sperimentali». Per verificare le condizioni degli stralli vengono studiati i «modi di vibrare» dei piloni 9 e 10. «A frequenze proprie pressoché uguali dei due sistemi bilanciati», scrivono gli studiosi, «corrispondono deformate modali differenti. Tale mancanza di simmetria è certamente da ascriversi a differenze nelle caratteristiche meccaniche e nell'azione di tiro degli stralli. In particolare, appare probabile a chi scrive che le differenze osservate siano riconducibili a una differente pre-sollecitazione residua dei tiranti» generata «ad esempio da possibili fenomeni di corrosione dei cavi secondari, da difetti di iniezione, ecc». Nell'aprile 2018 la società ha pubblicato il bando di gara per la risistemazione dei piloni 9 e 10. I lavori sarebbero dovuti iniziare dopo l'estate.
Un altro documento interessante è un verbale della Commissione territorio e politiche per lo sviluppo delle vallate del Consiglio comunale di Genova, che lo scorso 18 luglio si riunì alla presenza di due rappresentanti di Autostrade per l'Italia e di alcuni esponenti di comitati civici che protestavano per i rumori causati dai lavori di manutenzione nelle ore notturne. Mauro Moretti, dipendente di Aspi, afferma tra l'altro che «sull'opera è previsto un intervento molto importante nel prossimo futuro, un intervento che andrà a risarcire il danno a oggi subito». «Abbiamo predisposto un nuovo progetto che andrà a interessare la pila 9 e la pila 10». «Ogni volta che passo su quel ponte», dice a un certo punto il consigliere comunale Mauro Avvenente, del Pd, «cerco di attraversarlo il più velocemente possibile, perché non fosse altro che per la legge dei grandi numeri prima o poi quel ponte non ci sarà più». Aveva ragione lui.
Carlo Tarallo
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Il progetto per raddoppiare l'aeroporto favorito da Mario Monti e Graziano Delrio: 18 miliardi per i lavori e centinaia di milioni per comprare i terreni degli imprenditori.Primo sopralluogo degli ispettori del ministero dopo il disastro di Genova: «Una faccenda complessa». La Procura ha sentito dieci testimoni e acquisito alcuni documenti che confermano la mancanza di verifiche.Lo speciale contiene due articoliCi si può fidare dei Benetton? I genovesi il 14 agosto hanno capito sulla propria pelle quale sia la risposta. I monitoraggi sul ponte Morandi, che secondo i tecnici andavano fatti prima dell'estate, sono stati rimandati per puro calcolo con i risultati che tutti sanno: 43 morti, un ponte distrutto e una città paralizzata. Ma anche gli abitanti di Fiumicino, in modo meno traumatico, hanno compreso che non conviene dar credito ai Benetton e ai loro manager.L'aeroporto internazionale Leonardo Da Vinci, che si trova nel territorio della città laziale, è l'ennesimo grande affare della famiglia di Ponzano Veneto, dopo le autostrade e i maglioncini. Lo scalo è controllato dalla schiatta di tessitori attraverso la società Aeroporti di Roma Spa (posseduta al 95 per cento dal gruppo Atlantia, di cui i Benetton sono gli azionisti di riferimento) e i governi precedenti avevano autorizzato una spesa di circa 18 miliardi di euro per una nuova stazione, altre piste, hotel e centri commerciali. Un'opera che prevedeva la distruzione di 1.300 ettari di riserva naturale.Due anni fa, il ministro Graziano Delrio si era fatto prendere dall'entusiasmo, parlando di «un'importante sorpresa per il 2016» e di «lavori paragonabili a quelli che portarono alla nascita di questa struttura». Ma nonostante l'accondiscendenza delle amministrazioni amiche, i Benetton in questi anni non si sono preoccupati della salute dei cittadini. A Genova, come a Fiumicino.L'ultimo esempio di promessa da marinaio dei Benetton riguarda la sospensione dei voli notturni diretti sulla pista 1, quelli che atterrano a pochi metri dalle case della città laziale dalle 23 alle 6 del mattino. A prevederla, per motivi di salute, è una direttiva dell'Unione europea, recepita da un regolamento italiano e contestata dalle società aeroportuali. Nonostante la vittoria davanti al Tar, nel luglio del 2017, i Benetton avevano annunciato di interrompere i voli in attesa del pronunciamento del Consiglio di Stato. Ma la promessa è stata mantenuta solo per poche settimane. «Per questo nel novembre 2017 abbiamo scritto all'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac, ndr) e al suo controllore, il ministero dei Trasporti» spiega David Apolloni, combattivo avvocato che sostiene le battaglie dei cittadini contro le speculazioni dei Benetton. «L'Enac non ha mai risposto, mentre il Mit ci ha messo parecchie settimane e, solo dopo diversi solleciti, ha chiesto all'Enac di aprire un'istruttoria». Senza, però, alcun risultato. Così, visto il silenzio tombale, con l'arrivo del nuovo governo, Apolloni ha riscritto al ministero, il quale ha risposto subito e il 5 luglio ha invitato l'Enac a intervenire quanto prima. La lettera ha un oggetto esplicito: «Mancato rispetto degli Aeroporti di Roma Spa sul volo notturno, come da dichiarazioni del luglio 2017» e sottolinea il fatto che l'Enac «non abbia fornito, a tutt'oggi, gli elementi richiesti». Eppure anche questa volta l'ente per il volo è rimasto muto. «Purtroppo dopo 45 giorni non è arrivato ancora nessun segnale» ci informa Apolloni.Sarà perché dietro al mega progetto di raddoppio dell'aeroporto c'è proprio l'Enac che nel 2012, con l'appoggio del governo Monti, aveva sottoscritto un contratto di programma con Adr che prevedeva un aumento delle tariffe aeroportuali (circa 12 euro a biglietto) per sovvenzionare lavori da realizzare entro il 2044. Dei 18 miliardi di investimenti previsti, 10 dovrebbero provenire da Adr (finanziati in gran parte con gli incrementi tariffari) e 8 dalle Ferrovie dello Stato. In definitiva tutti dalle nostre tasche.Nel piano era previsto l'allargamento a nord su 1.300 ettari di agro romano, quasi interamente vincolati, essendo riserva naturale dal 1996. Nel 2013 il ministero dell'Ambiente ha accresciuto l'area salvaguardata e allora l'Enac ha fatto ricorso. Nel maggio scorso, forse anche per il cambiamento del vento politico, la Regione Lazio e i tecnici di Palazzo Chigi hanno espresso un parere opposto rispetto a quello dell'Enac, confermando l'intangibilità della riserva. Contro la cementificazione della campagna vanno anche un recente ordine del giorno presentato in Regione Lazio dal Movimento 5 stelle e un altro approvato all'unanimità dal Senato, su proposta di Fratelli d'Italia, a luglio.Eppure, imperterrita, Adr, a inizio estate ha fatto un ulteriore ricorso «ad adiuvandum», per provare a spuntarla in coppia con Enac. Ma a chi appartengono i 1.300 ettari a nord dello scalo che nel progetto andrebbero espropriati e pagati lautamente ai proprietari? Novecento sono della Maccarese spa, la più grande azienda agricola del Paese, di proprietà proprio dei Benetton. Avete letto bene: per ingrandire l'aeroporto e garantire guadagni ancora più lauti agli imprenditori trevigiani lo Stato dovrebbe investire centinaia di milioni di euro per espropriare i terreni dei Benetton stessi. I quali, probabilmente, li farebbero poi rientrare all'interno del patrimonio di Adr.I contrari al piano fanno notare che per ampliare l'area destinata a decolli e atterraggi è sufficiente che lo scalo si allarghi a sud, all'interno del sedime aeroportuale, come del resto già deciso. Ma per quei lavori, in parte iniziati, i Benetton dovranno investire dai 3 ai 5 miliardi e per questo, probabilmente, starebbero puntando sull'autoesproprio proletario.Ma la cosa più interessante è che il progetto di Enac e Benetton si fonderebbe su presupposti sbagliati. Lo sostengono gli esponenti del comitato FuoriPista di Fiumicino. Uno di loro, Antonio Pellicanò, sul sito Fregeneonline, nelle scorse ore ha contestato i numeri alla base dell'ipotesi di raddoppio. Nel contratto di programma sottoscritto tra Enac e Adr erano stati ipotizzati 348.497 movimenti (atterraggi e decolli) per il 2017, ma in realtà sono stati solo 297.961, il 14,6% in meno rispetto alle previsioni, il dato più basso dal 2003, quando erano stati 300.831. Inoltre il calo non sarebbe un'eccezione, ma una costante dal 2010 a oggi.Però se i voli sono diminuiti, i passeggeri sono cresciuti in maniera conforme alle previsioni. Ma anche in questo caso ci sarebbe il trucco. Tra il 2014 e il 2015 il numero dei viaggiatori sarebbe stato drogato con il trasferimento di centinaia di voli low cost a Fiumicino e l'aumento di questo tipo di traffico del 70% in due anni. In questo modo i passeggeri di questo segmento rappresentano attualmente un quarto del totale, una percentuale che nel piano di Adr era programmata per il 2044. Questo significa che zitti zitti i Benetton stanno trasformando il Da Vinci da hub internazionale a mega aeroporto low cost. «Chi e quando lo ha deciso?» si chiedono i portavoce dei comitati anti raddoppio. E forse qualcuno del nuovo Governo dovrebbe rispondere.Giacomo Amadori<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/con-laiutino-della-sinistra-gli-affari-dei-benetton-decollano-pure-a-fiumicino-2597248924.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="piu-cause-per-il-crollo-del-ponte-si-indaga-sui-controlli-privatizzati" data-post-id="2597248924" data-published-at="1765497341" data-use-pagination="False"> «Più cause per il crollo del ponte». Si indaga sui controlli privatizzati L'inchiesta della Procura di Genova sul crollo del ponte Morandi procede, ma le difficoltà sulla strada dei magistrati sono tantissime. L'indagine è coordinata dal procuratore capo, Francesco Cozzi, e condotta dall'aggiunto Paolo D'Ovidio e dai pm Walter Cotugno e Massimo Terrile. I reati ipotizzati dalla Procura, che fino a ora non ha iscritto alcun nome sul registro degli indagati, sono omicidio colposo plurimo, disastro colposo e attentato colposo alla sicurezza dei trasporti. Ieri i consulenti della Procura hanno iniziato a ispezionare il luogo del disastro, insieme alla Commissione ispettiva del ministero dei Trasporti. Una delle difficoltà che gli inquirenti si troveranno ad affrontare è la secretazione di alcune parti degli atti delle concessioni da parte del governo ad Autostrade per l'Italia. La procura ha chiesto di acquisire tutte le carte, e non si sa ancora se alla richiesta dei magistrati verrà opposto il segreto di Stato. La Squadra mobile di Genova ha sentito circa dieci testimoni, persone che si trovavano nei pressi del ponte al momento del crollo. Il pilone numero 9, quello crollato, sarebbe stato colpito da un fulmine alle 11.35 e 59 secondi del 14 agosto, 30 secondi prima della tragedia. È quanto risulta dal Laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale per lo sviluppo sostenibile (Lemma), un consorzio tra Regione Toscana e Cnr che archivia tutti i fulmini che colpiscono l'Italia. Ieri si è svolta anche una ispezione da parte della Commissione del ministero delle Infrastrutture. Secondo il presidente Roberto Ferrazza il crollo del Ponte sarebbe frutto di «una serie di concause». Sebbene l'esatta dinamica sia ancora da accertare, per Ferrazza «il ponte prima si è piegato, poi è caduto». Questo fa ipotizzare dunque che qualcosa si sia rotto prima del cedimento degli stralli. Lo sgretolamento dello strallo «resta “una" delle ipotesi del cedimento», ha concluso Ferrazza. Intanto, spuntano documenti destinati ad assumere un ruolo fondamentale nell'inchiesta. L'Istituto sperimentale modelli e strutture (Ismes), che si occupa di verifiche strutturali, ha confermato, in una nota indirizzata al Fatto Quotidiano, «di aver realizzato, dal 2015 al 2016, attività di consulenza specialistica per Autostrade per l'Italia (Aspi) sul ponte Morandi». Nei diversi rapporti originariamente consegnati al cliente, tra gennaio e maggio 2016 (e inoltrati nuovamente, su richiesta nel cliente, nella notte tra il 14 e il 15 agosto), «Ismes», prosegue la nota, «ha suggerito ad Aspi di aumentare la frequenza di alcune ispezioni e implementare un sistema di monitoraggio dinamico, ossia continuo, della struttura in presenza di fenomeni rapidamente variabili (es. vento, traffico, sisma, ecc.)». Anche il Politecnico di Milano, su richiesta di Autostrade per l'Italia, aveva effettuato, nell'ottobre del 2017, uno studio sulle condizioni del ponte. «Per gli stralli del sistema bilanciato numero 9», si legge nelle conclusioni, «è stato possibile identificare con confidenza solo 4 modi globali e 2 di essi si presentano con deformata modale non del tutto conforme alle attese e certamente meritevole di approfondimenti teorico-sperimentali». Per verificare le condizioni degli stralli vengono studiati i «modi di vibrare» dei piloni 9 e 10. «A frequenze proprie pressoché uguali dei due sistemi bilanciati», scrivono gli studiosi, «corrispondono deformate modali differenti. Tale mancanza di simmetria è certamente da ascriversi a differenze nelle caratteristiche meccaniche e nell'azione di tiro degli stralli. In particolare, appare probabile a chi scrive che le differenze osservate siano riconducibili a una differente pre-sollecitazione residua dei tiranti» generata «ad esempio da possibili fenomeni di corrosione dei cavi secondari, da difetti di iniezione, ecc». Nell'aprile 2018 la società ha pubblicato il bando di gara per la risistemazione dei piloni 9 e 10. I lavori sarebbero dovuti iniziare dopo l'estate. Un altro documento interessante è un verbale della Commissione territorio e politiche per lo sviluppo delle vallate del Consiglio comunale di Genova, che lo scorso 18 luglio si riunì alla presenza di due rappresentanti di Autostrade per l'Italia e di alcuni esponenti di comitati civici che protestavano per i rumori causati dai lavori di manutenzione nelle ore notturne. Mauro Moretti, dipendente di Aspi, afferma tra l'altro che «sull'opera è previsto un intervento molto importante nel prossimo futuro, un intervento che andrà a risarcire il danno a oggi subito». «Abbiamo predisposto un nuovo progetto che andrà a interessare la pila 9 e la pila 10». «Ogni volta che passo su quel ponte», dice a un certo punto il consigliere comunale Mauro Avvenente, del Pd, «cerco di attraversarlo il più velocemente possibile, perché non fosse altro che per la legge dei grandi numeri prima o poi quel ponte non ci sarà più». Aveva ragione lui. Carlo Tarallo
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
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Merito-Dicembre-2025.pdf
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