Commissione d’inchiesta sui disastri giallorossi

Commissione d’inchiesta sui disastri giallorossi
Roberto Speranza (Ansa)

Pur condividendo in pieno l'iniziativa del partito di Giorgia Meloni di chiedere le dimissioni di Roberto Speranza, temo che la mozione di sfiducia presentata da Fratelli d'Italia non abbia alcuna possibilità di essere accolta. Per raggiungere i voti necessari a congedare il ministro della Salute, non basterebbe il sì di tutti i parlamentari di centrodestra, cioè degli onorevoli di Forza Italia e Lega, oltre ovviamente a quelli di Fdi, ma servirebbe anche il consenso di quelli di Italia viva e del gruppo Misto.

In pratica, servirebbe che almeno la metà della maggioranza che oggi sostiene il governo Draghi votasse a favore della sfiducia al titolare della Salute, cosa che ritengo altamente improbabile. È vero che sia Matteo Salvini che Matteo Renzi, nei giorni scorsi hanno sparato missili contro Speranza, il primo rilanciando molte delle notizie pubblicate dalla Verità su mascherine e respiratori, il secondo parlando di «coraggiose inchieste giornalistiche» e chiedendo addirittura una commissione d'inchiesta sulle spese pazze in tempo di pandemia. Tuttavia, è difficile che si vada oltre le parole. Non alludo tanto al capo della Lega, che ha tutto l'interesse a spingere il ministro della Salute a fare le valigie in quanto l'asse dell'esecutivo si sposterebbe più verso il centrodestra, a sfavore dei compagni. No, penso che a non avere alcuna intenzione di andare fino in fondo sia l'ex presidente del Consiglio, oggi ridefinitosi senatore semplice di Scandicci. Renzi non ha alcun interesse a premere sull'acceleratore di un'operazione che potrebbe sfociare nelle dimissioni di Speranza, ma anche scatenare reazioni imprevedibili, che potrebbero portare a una crisi di governo.

Per quanto io lo ritenga impresentabile, l'attuale numero uno della Salute è pur sempre il segretario di Articolo 1, il minuscolo partito che ha tra i suoi sostenitori Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema, il primo ex segretario del Pd e il secondo ex segretario dei Ds. Da quando Renzi ha fondato Italia viva, portandosi via un certo numero di parlamentari, c'è chi tra gli ex compagni non vede l'ora di recuperare i fuoriusciti di Leu per rimpolpare le fila. Tra quelli che spingono per riaccogliere le pecorelle rosse smarrite c'è Goffredo Bettini, orfano di Giuseppe Conte e teorico dell'alleanza con i 5 stelle. Dunque, il blocco grillino e piddino farà le barricate pur di difendere Speranza e, ammesso che si trovi qualcuno nel gruppo Misto disposto a votare contro il ministro della Salute, la spaccatura nella strana maggioranza che sorregge il governo Draghi sarebbe evidente e potrebbe mettere a repentaglio la stabilità dell'esecutivo.

Vista la situazione, si torna dunque alla casella di partenza che ha portato Draghi a Palazzo Chigi: la paura di votare. Se un movimento come quello fondato da Beppe Grillo si è convertito sulla via di Francoforte, accettando di sostituire Conte con l'ex governatore della Bce, non è certo per la fiducia in un signore che fino a poco tempo prima era considerato una specie di Dracula dei risparmiatori. A indurre il comico e la sua banda al dietrofront, con dichiarazioni che hanno rasentato il ridicolo, è stata l'allergia alle elezioni, perché nessuno aveva voglia di accorciare la legislatura e tornare a casa. Dunque, immagino che i grillini, che in queste settimane sono in preda a uno psicodramma, con il problema di una leadership che non c'è e di un conflitto con la Casaleggio associati che invece c'è e rischia di essere devastante per il movimento, faranno quadrato intorno a Speranza e allo stesso modo, per i motivi che ho elencato prima, si comporteranno Enrico Letta e compagni.

Perciò, lo dico con dispiacere, la mozione non ha alcuna possibilità di essere approvata, ma al tempo stesso rischia di mettere in imbarazzo la Lega, che pur non amando Speranza e auspicandone la cacciata, non saprà che cosa fare. Se votare a favore e segnare una divisione nella maggioranza che potrebbe perfino far traballare un po' il governo o astenersi, provocando però al tempo stesso una crepa nel centrodestra.

Voglio con questo dire che Fratelli d'Italia sbaglia a chiedere le dimissioni del ministro? No, io stesso le ho chieste più volte, ritenendole quasi obbligate, ma Speranza non ha alcuna intenzione di scollarsi dalla poltrona, perché sa che se lo facesse la sua carriera politica sarebbe conclusa. Che fare allora per liberarci dell'ingombrante personaggio? Va bene insistere per levarselo di torno, ma forse si potrebbe per una volta prendere la palla al balzo di un Renzi che chiede una commissione d'inchiesta sugli errori compiuti durante la pandemia. Conte e il suo ministro della Salute, a questo punto, potrebbero essere costretti a spiegarci tante cose, dal rapporto insabbiato da Ranieri Guerra, alla nomina di Domenico Arcuri, alle tante esitazioni che hanno accompagnato il «modello Italia». Altro che dichiarazioni in Parlamento: qualcuno dovrebbe rispondere alle domande.

Con la vittoria dell’icona Mamdani la sinistra rimarrà una minoranza
Zohran Mamdani (Ansa)
Le battaglie ideologiche fondamentali per spostare i voti alle elezioni. Green e woke usati per arruolare i giovani, che puntano a vivere le loro esistenze in vacanza nelle metropoli. Ma il sistema non può reggere.

Uno degli aspetti più evidenti dell’instaurazione dei due mondi sta nella polarizzazione elettorale tra le metropoli e le aree suburbane, tra quelle che in Italia si definiscono «città» e «provincia». Questa riflessione è ben chiara agli specialisti da anni, rappresenta un fattore determinante per impostare ogni campagna elettorale almeno negli ultimi vent’anni, ed è indice di una divisione sociale, culturale ed antropologica realmente decisiva.

Il fatto che a New York abbia vinto le elezioni per la carica di sindaco un musulmano nato in Uganda, di origini iraniane, marxista dichiarato, che qualche mese fa ha fatto comizi nei quali auspicava il «superamento della proprietà privata» e sosteneva che la violenza in sé non esista ma sia sempre un «costrutto sociale», così come il genere sessuale, ha aperto un dibattito interno alla Sinistra.

«In cella per un video sui migranti a zonzo»
Jean-Eudes Gannat
L’attivista francese Jean-Eudes Gannat: «È bastato documentare lo scempio della mia città, con gli afghani che chiedono l’elemosina. La polizia mi ha trattenuto, mia moglie è stata interrogata. Dietro la denuncia ci sono i servizi sociali. Il procuratore? Odia la destra».

Jean-Eudes Gannat è un attivista e giornalista francese piuttosto noto in patria. Nei giorni scorsi è stato fermato dalla polizia e tenuto per 48 ore in custodia. E per aver fatto che cosa? Per aver pubblicato un video su TikTok in cui filmava alcuni immigrati fuori da un supermercato della sua città.

«Quello che mi è successo è piuttosto sorprendente, direi persino incredibile», ci racconta. «Martedì sera ho fatto un video in cui passavo davanti a un gruppo di migranti afghani che si trovano nella città dove sono cresciuto. Sono lì da alcuni anni, e ogni sera, vestiti in abiti tradizionali, stanno per strada a chiedere l’elemosina; non si capisce bene cosa facciano.

Confindustria rimpiange i fondi che però anche lei chiese di tagliare
Emanuele Orsini (Ansa)
Dopo aver proposto di ridurre le sovvenzioni da 6,3 a 2,5 miliardi per Transizione 5.0., Viale dell’Astronomia lamenta la fine dei finanziamenti. Assolombarda: «Segnale deludente la comunicazione improvvisa».

Confindustria piange sui fondi che aveva chiesto lei di tagliare? La domanda sorge spontanea dopo l’ennesimo ribaltamento di fronte sul piano Transizione 5.0, la misura con dote iniziale da 6,3 miliardi di euro pensata per accompagnare le imprese nella doppia rivoluzione digitale ed energetica. Dopo mesi di lamentele sulla difficoltà di accesso allo strumento e sul rischio di scarse adesioni, lo strumento è riuscito nel più classico dei colpi di scena: i fondi sono finiti. E subito gli industriali, che fino a ieri lo giudicavano un fallimento, oggi denunciano «forte preoccupazione» e chiedono di «tutelare chi è rimasto in lista d’attesa».

L’Ue deve fare da leva sull’export e migliorare l’accordo col Mercosur
Emmanuel Macron (Ansa)
L’intesa risponderebbe al bisogno europeo di terre rare sottraendoci dal giogo cinese.

Il tema è come rendere l’Ue un moltiplicatore di vantaggi per le nazioni partecipanti. Mettendo a lato la priorità della sicurezza, la seconda urgenza è spingere l’Ue a siglare accordi commerciali nel mondo come leva per l’export delle sue nazioni, in particolare per quelle che non riescono a ridurre la dipendenza dall’export stesso aumentando i consumi interni e con il problema di ridurre i costi di importazione di minerali critici, in particolare Italia e Germania. Tra i tanti negoziati in corso tra Ue e diverse nazioni del globo, quello con il Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay ed Uruguay) è tra i più maturi (dopo 20 anni circa di trattative) e ha raggiunto una bozza abbastanza strutturata.

Le Firme

Scopri La Verità

Registrati per leggere gratuitamente per 30 minuti i nostri contenuti.
Leggi gratis per 30 minuti
Nuove storie
Preferenze Privacy