Caro Roberto Speranza, caro ex ministro della Salute, mi scusi se torno a disturbarla in questi giorni di Ferragosto. Ma ogni volta che si riapre una finestra sulle verità nascoste del Covid, non riesco a non pensare a lei. Ma soprattutto non riesco a non pensare al mio amico Andrea, vittima degli effetti avversi, che l’altro giorno mi ha scritto che le sue condizioni si sono ancora aggravate; a tutti quelli come lui che si sono fidati dello Stato e oggi sono stati abbandonati nel silenzio delle istituzioni; e a tutti quelli che non ci sono più perché sono stati uccisi dall’impreparazione del suo ministero ad affrontare la pandemia (ricorda quando regalavamo mascherine ai cinesi come se noi ne avessimo in abbondanza?).
Ecco tutti costoro, a differenza sua, non possono godersi l’estate. Non so se le capita di pensarci. Ma io non riesco a togliermeli dalla testa. E soprattutto non riesco a togliermi dalla testa il fatto che lei non abbia mai chiesto loro scusa. Sarebbe così semplice, e così umano. Invece lei non l’ha fatto mai.
L’altro giorno questo quotidiano ha rivelato, grazie all’ottima Maddalena Loy, l’audizione alla commissione d’inchiesta Covid di Giuseppe Ippolito, già direttore generale del ministero della Salute nonché componente della task force istituita contro la pandemia, e perciò suo stretto collaboratore. Ippolito l’ha sbugiardata in modo palese dicendo che col cavolo le decisioni erano prese dagli scienziati, come lei ci ha sempre raccontato. Erano prese dai politici, quindi in primo luogo dal ministro, quindi in primo luogo da lei. Ne avevamo il sospetto, le dirò, ma sentirlo dire in sede ufficiale da uno dei suoi più importanti collaboratori fa un certo effetto. Anche perché Ippolito ha confermato un’altra verità, che se vuole è ancor più dolorosa. Ha detto, infatti, che se i malati anziché essere dirottati in ospedale fossero stati curati a casa, per molti di loro il virus avrebbe avuto «un effetto ben diverso». Ergo: si sarebbero salvati.
E qui, caro Speranza, mi scusi ma io non riesco a non pensare a quella sua oscena circolare «tachipirina e vigile attesa». Non riesco a non pensare alla demonizzazione di tutti (tutti!) i medici delle terapie domiciliari, quelli che per l’appunto curavano i malati a casa e che lei si è sempre rifiutato di ricevere e ascoltare. Non riesco a non pensare alle ore e ore di trasmissioni tv in cui, con la complicità di un sistema mediatico meschino, facevate passare l’idea che non c’erano cure, bisognava aspettare e poi andare in ospedale (dove si finiva intubati, e si moriva) descrivendo ogni altra strada come cialtronesca, ben sapendo che i veri cialtroni eravate voi. Non riesco a non pensare che avete condannato a morte persino il professor De Donno, un eroe, che aveva trovato in anticipo sui tempi la cura al plasma, che oggi le riviste scientifiche riconoscono come efficace ma che voi allora avete distrutto, anche perché a differenza dei vaccini, era gratis.
Ecco: io non riesco a non pensare a tutto questo. E mi domando: ma lei non ci pensa mai? Davvero? Come fa? Non posso credere che non le pesi sulla coscienza. E perciò le scrivo questa cartolina ferragostana: per dirle che se in queste caldi notti non riuscirà a dormire, mi creda Speranza, non è per la grigliata troppo pesante. È per quelli che la grigliata non la potranno fare mai più.