2020-06-26
C’è una manina della Ragioneria dietro il blitz per il «super Tesoro»
Il dipartimento ministeriale ha ideato la norma che consente a Roberto Gualtieri di dirottare le risorse anticrisi. Ma ora il Comitato per la legislazione frena e chiede che le riallocazioni vengano decise dal Parlamento.Il tema dei «superpoteri» al ministro Roberto Gualtieri sta diventando come una valanga: più avanza e più aumenta di dimensioni. Quanto inizialmente disposto dai decreti Cura Italia e Rilancio, e poi riproposto in grande stile dal decreto legge 52 del 16 giugno, è una vicenda che potrebbe presto coinvolgere anche Corte costituzionale e presidenza della Repubblica, invalicabili presidi dell'ordine costituzionale.Troppo grave è il fatto che un ministro possa disporre, con semplice suo decreto, di fondi destinati da ben tre decreti legge (di cui due già convertiti in legge) a centinaia di specifiche misure che praticamente impattano su tutti gli aspetti della vita del nostro Paese. Qualcosa di molto più grande di una legge di bilancio annuale. E se il «tiraggio» di tali specifiche misure si rivelasse inferiore o superiore alle stime, non può essere certamente il ministro a disporre le riallocazioni per l'«ottimale utilizzo delle risorse», ma il Parlamento, seguendo il normale iter legislativo. Le buone intenzioni non sono sufficienti per coprire questo sfregio istituzionale, anche perché è noto che le strade dell'inferno ne sono spesse lastricate. Quanto abbiamo descritto sin da domenica 21 e poi dettagliato ancora ieri, ha avuto martedì 23 anche il sigillo del Comitato per la legislazione, organo parlamentare che esprime alle commissioni pareri sulla qualità dei progetti di legge, valutandone l'omogeneità, la semplicità, la chiarezza e proprietà di formulazione. Esso ha l'obbligo di esprimere pareri su tutti i decreti legge all'esame delle Camere. E non è stato tenero con il governo. Il Comitato ha rilevato il salto di qualità - in peggio - che avevamo evidenziato, e cioè che il governo, non contento di appropriarsi dei vasi comunicanti tra le misure di uno stesso decreto, ha pensato bene, con il dl 52, di fare le cose in grande, istituendo analoghe connessioni anche tra i tre decreti. Il Comitato osserva che «dalla formulazione della norma sembra ricavarsi una sorta di “delegificazione" attraverso la quale i decreti ministeriali potrebbero modificare, in modo indefinito, tutte le autorizzazioni legislative di spesa recate dal provvedimento; tale interpretazione della norma non può che suscitare però consistenti dubbi con riferimento al sistema delle fonti». Una stroncatura che non consente repliche, a cui il Comitato aggiunge che «se tale interpretazione della norma è quella corretta, il rispetto del sistema delle fonti ne impone la soppressione, potendosi accedere, in via subordinata, e solo qualora un grave stato di necessità, che andrebbe illustrato dal governo, ne imponga l'adozione, a una parlamentarizzazione della procedura, attraverso la previsione di un parere parlamentare “forte" (ad esempio con il “doppio parere" parlamentare) sugli schemi di decreto ministeriale attuativi».Il Comitato non ha dubbi: la norma deve essere soppressa o, al limite, sottoposta a una rigida procedura di autorizzazione parlamentare, perché qui è in gioco la Costituzione e, finché c'è un Parlamento, le leggi le fa quest'ultimo.Ma il Comitato si era già espresso il 27 maggio con un altro parere in cui, con riferimento alla norma del decreto Rilancio, che disponeva (in scala minore) la stessa manovra a favore del ministero dell'Economia, invitava «ad approfondire l'effettiva necessità della disposizione e, nel caso sia ritenuta necessaria, a inserire l'espressione di un parere parlamentare forte».Per tutta risposta, il governo il 16 giugno ha pensato di aumentare la potenza esplosiva di questa disposizione, riproponendola nel dl 52, con vasi comunicanti tra i diversi decreti. E il 23 il Comitato ha deciso di affondare il colpo con la richiesta di soppressione. A brigante, brigante e mezzo.Ma chi può aver avuto interesse a consentire al ministro Gualtieri spostamenti di risorse, ad esempio, dal bonus vacanze o dal bonus 110% (di cui si teme lo scarso tiraggio rispetto agli stanziamenti) alla cassa integrazione o altro? Abbiamo appreso da autorevoli fonti che la manina avrebbe un indirizzo preciso: la Ragioneria generale dello Stato, che è un dipartimento del ministero dell'Economia. Sarebbe partita da lì questa norma, che avrebbe consentito una rapida dislocazione di miliardi da una misura all'altra. Ora non deve sfuggire che dalla Rgs provengono anche le stime delle risorse assegnate alle diverse misure e, senza voler mettere in dubbio l'accuratezza con cui sono state redatte, è perfino comprensibile che abbiano voluto avere mano libera nel monitorare e riallocare i fondi. Peccato che, come dichiara al nostro giornale l'onorevole della Lega, Maura Tomasi, presidente del Comitato per la legislazione (che è completato da parlamentari di tutti i principali schieramenti di maggioranza e opposizione), esistano un Parlamento e una Costituzione che non possono essere scavalcati. E questo è un valore da difendere a prescindere dalla coloritura politica pro tempore al governo.La presidente fa notare che non condivide il testo dell'emendamento presentato l'altro ieri dal governo, il quale prevede che le variazioni di bilancio a opera del Mef siano soggette a parere delle commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Infatti tutti i componenti del Comitato, incluso il vicepresidente Stefano Ceccanti (del Pd), hanno firmato due sub emendamenti al dl Rilancio che prevedono espressamente un doppio parere parlamentare sugli schemi di decreto ministeriale che riallocano le risorse. E non è detto che sia la soluzione definitiva di questo pasticcio.Chi al Mef intendeva «fare presto» non aveva fatto i conti con la Costituzione, con un organo parlamentare che lavora e con chi si sforza di leggerne gli atti e riferirne il contenuto.