
L’incontro produce poco: su Taiwan e commercio è ancora stallo. La sparata sul «dittatore» rivela le fratture nell’amministrazione.Era appena terminato il colloquio di mercoledì tra Joe Biden e Xi Jinping, quando il presidente americano ha definito nuovamente l’omologo cinese un «dittatore» (l’ultima volta era successo a giugno). «È un dittatore nel senso che è una persona che governa un Paese che è un Paese comunista basato su una forma di governo totalmente diversa dalla nostra», ha detto Biden. «Questo tipo di discorso è estremamente sbagliato ed è una manipolazione politica irresponsabile», ha replicato il ministero degli Esteri cinese, per poi aggiungere sibillinamente: «Ci saranno sempre alcune persone con secondi fini che tentano di provocare e danneggiare le relazioni Usa-Cina, e sono destinate a fallire». Ora, sul fatto che Xi sia un leader decisamente autocratico, non ci sono dubbi. È tuttavia curioso che, subito dopo un incontro teoricamente distensivo con il leader cinese, Biden abbia pronunciato una simile affermazione. Una gaffe? Forse no. Si tratta probabilmente di un paradosso che affonda le sue radici nelle divisioni interne all’amministrazione americana. Ma andiamo con ordine. Cominciamo col dire che il colloquio tra Biden e Xi non ha prodotto svolte eclatanti. I risultati concreti sono stati essenzialmente due. Innanzitutto, i presidenti hanno concordato di ripristinare le comunicazioni ad alto livello tra Washington e Pechino con particolare riferimento alla sfera militare. In secondo luogo, durante il faccia a faccia, Xi si è impegnato a mettere nel mirino quelle aziende cinesi che realizzano i componenti chimici necessari per la produzione di fentanyl: l’oppioide sintetico che, soprattutto attraverso i cartelli messicani della droga, ha mietuto numerose vittime negli Usa negli scorsi anni. Se Pechino lo implementerà realmente, tale accordo potrebbe essere rivendicato da Biden come un successo in politica interna. Ebbene, qui si fermano i risultati tangibili, conseguiti dal colloquio di San Francisco. Va, a onor del vero, ricordato che sono state raggiunte anche altre intese: pensiamo solo all’accordo per dei colloqui sull’intelligenza artificiale o al rilancio della cooperazione in materia green, con particolare riferimento alle energie rinnovabili. Si tratta tuttavia di operazioni di maquillage mediatico dalla dubbia concretezza. Di contro, sulle questioni più importanti, la distanza tra Biden e Xi è rimasta profonda. Sul dossier taiwanese, il presidente americano ha detto di sostenere la politica dell’unica Cina e ha invocato «pace» e «stabilità» nello Stretto di Taiwan. Durante la conferenza stampa, Biden ha inoltre glissato, quando gli è stato chiesto delle sue precedenti affermazioni, in cui aveva promesso di difendere militarmente l’isola in caso di invasione cinese. Dal canto suo, Xi ha auspicato una «riunificazione pacifica» e si è lamentato con gli Usa per la loro fornitura di armamenti a Taipei. Un ulteriore fronte di dissidio tra i due presidenti è emerso sulle restrizioni commerciali in materia di alta tecnologia. «Sopprimere la tecnologia cinese equivale a contenere lo sviluppo di alta qualità della Cina e a privare il popolo cinese del suo diritto allo sviluppo», ha affermato Xi. Tutto questo, sebbene, poco prima del faccia a faccia, Biden avesse detto di non voler perseguire il decoupling dalla Cina: parole che erano sembrate rompere con la linea dell’amministrazione Trump. Anche sulle crisi internazionali in corso non si sono registrati passi avanti. Biden ha chiesto a Xi di fare pressione sull’Iran per cercare di evitare un’escalation in Medio Oriente. Secondo quanto rivelato all’Associated Press da un funzionario americano, Xi, davanti a questa richiesta, ha per lo più ascoltato, senza chiarire che tipo di comunicazioni avrebbe in caso inoltrato a Teheran. Tradotto: nessuna garanzia. D’altronde, la Cina ha tutto l’interesse a sfruttare la crisi israeliano-palestinese per indebolire l’influenza americana in Medio Oriente. Pechino ha negoziato una distensione tra Teheran e Riad a marzo e, nel 2021, aveva siglato un accordo di cooperazione venticinquennale col regime khomeinista. Non solo. Pur appoggiando la soluzione dei due Stati come Biden, la Cina non riconosce Hamas quale organizzazione terroristica.E qui veniamo alle divisioni in seno all’amministrazione americana: da una parte c’è chi - come il Consiglio per la sicurezza nazionale - auspica severità su diritti umani e minacce geopolitiche cinesi; dall’altra, c’è chi - come il segretario al Tesoro Janet Yellen e l’inviato per il clima John Kerry - invoca una distensione nel nome del commercio e della cooperazione green. La Yellen, in particolare, si fa portavoce degli interessi di Corporate America, che spinge da tempo per un disgelo con Pechino. Basti pensare che, alla cena in onore di Xi mercoledì, erano presenti, tra gli altri, il Ceo di Apple, Tim Cook, quello di Blackstone, Steve Schwarzman, e quello di SpaceX, Elon Musk: quella stessa SpaceX che, per inciso, vanta vari contratti di appalto con il Pentagono. Insomma, mentre nella sua visita californiana il presidente cinese ha avuto l’occasione di rafforzare i legami con i vertici del capitalismo statunitense, non è ancora chiaro che cosa abbia ottenuto invece di concreto l’altro ieri l’inquilino della Casa Bianca. Come che sia, è per tenere buone entrambe le anime contrastanti della sua amministrazione che Biden ha dato del «dittatore» a Xi subito dopo averlo cordialmente incontrato. Il problema è che, in questo modo, il presidente americano trasmette all’esterno un’immagine di confusione e irresolutezza. Un elemento che contribuisce ad azzoppare la capacità di deterrenza degli Usa nei confronti del Dragone.
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Lega e Fi vogliono l’agevolazione al 12,5% nella legge di Bilancio: una mossa che può portare 2 miliardi. Fdi: imposta di 2 euro sui pacchi extra Ue e bollo da 500 euro per pagamenti consistenti in contanti.
Spunta il taglio della tassa sull’oro. Dal braccialetto della comunione al lingotto acquistato per investimento, il metallo prezioso entra tra la valanga di emendamenti alla legge di Bilancio che il Senato dovrà cominciare a esaminare dalla prossima settimana.
La proposta di Lega e Forza Italia introduce una tassazione agevolata al 12,5% (dal 26% attuale), allineata al prelievo sugli interessi dei titoli di Stato. La misura si rivolge a chi possiede oro per investimento ma non ha la documentazione del prezzo di acquisto e quindi non ha alcun attestato ufficiale che ne certifichi il valore.
L’Ue vuole sovvenzionare l’Ucraina con altri 140 miliardi, ma non sa da dove tirarli fuori. Sul rischioso uso degli asset russi confiscati c’è il muro del Belgio, mentre l’indebitamento della Commissione o degli Stati esporrebbe troppo mercati e bilanci.
«Le esigenze di finanziamento dell’Ucraina non sono solo elevate, ma anche urgenti». Sono state queste le inequivocabili parole del Commissario Ue, Valdis Dombrovskis, in occasione della conferenza stampa di giovedì dopo il Consiglio Ecofin.
Ansa
Il generale Fabio Mini: «Qualsiasi attacco contro la Russia impatta solo sul breve periodo».
Nella roccaforte ucraina del Donetsk, a Pokrovsk, si fa sempre più concreto il rischio che l’esercito di Kiev abbia i giorni contati, nonostante le varie rassicurazioni dei vertici militari ucraini.
A confermare la situazione drammatica sul campo è il generale di corpo d’armata dell’Esercito italiano, Fabio Mini, che ne ha parlato con La Verità. «Zelensky sa benissimo che le unità del suo esercito sono state circondate» ha detto il generale. Non sono state «ancora eliminate» perché i russi «stanno sempre contrattando e trattando per un ritiro, visto che non hanno bisogno di fare prigionieri». Dunque «le sacche sono chiuse», ha proseguito Mini, sottolineando che dalle fonti «dell’intelligence statunitense e inglese» è evidente «che non ci sia più la grande speranza di una vittoria». Quel che resta è la possibilità «di una sconfitta onorevole».
Bruxelles: «Chiediamo tolleranza zero sulla corruzione». Lo scandalo agita pure il governo. Matteo Salvini: «I nostri soldi vanno ai criminali?». Guido Crosetto: «Non giudico per due casi». E Antonio Tajani annuncia altri aiuti.
«Mi sembra che stiano emergendo scandali legati alla corruzione, che coinvolgono il governo ucraino, quindi non vorrei che con i soldi dei lavoratori e dei pensionati italiani si andasse ad alimentare ulteriore corruzione»: il leader della Lega, Matteo Salvini, pronuncia queste parole a Napoli a margine di un sopralluogo al porto, a proposito dell’acquisto di ulteriori armamenti dagli Usa da inviare in Ucraina. «La via di soluzione», aggiunge Salvini, «è quella indicata dal Santo Padre e da Trump, ovvero dialogo, mettere intorno a un tavolo Zelensky e Putin e far tacere le armi. Non penso che l’invio di altre armi risolverà il problema e mi sembra che quello che sta accadendo nelle ultime ore, con l’avanzata delle truppe russe, ci dica che è interesse di tutti, in primis dell’Ucraina, fermare la guerra. Pensare che mandare armi significa che l’Ucraina possa riconquistare i terreni perduti è ingenuo quantomeno».




