2020-08-19
Caos Cig, Umbria senza aiuti fiscali. Tutti i pasticci del decreto Agosto
La governatrice della Regione Umbria, Donatella Tesei (Ansa)
Il testo finale arriva a 115 articoli: emendarlo in Aula sarà una missione impossibile.Sarebbe servita non solo l'ormai consueta formula «salvo intese», ma pure la successiva precisazione «salvo svarioni». Stiamo parlando del decreto Agosto, approvato dal Consiglio dei ministri una decina di giorni fa, appunto, «salvo intese»: i ministri hanno dunque detto sì a una copertina, a un indice, e a una bozza contenente 115 articoli molti dei quali ancora accompagnati dalla dicitura «nodo politico». Dopo di che, come purtroppo accade da molto tempo (ma i giallorossi hanno trasformato tutto questo in un sistema ormai «ordinario»), è iniziata una vasta opera di correzione e riscrittura, destinata a lasciare spazio a caos e incertezze. Peggio ancora: in altri tempi, l'esecutivo non avrebbe esitato a prendersi altri 15-20 giorni per completare il testo, anche approfittando della chiusura di Camera e del Senato. Tuttavia, stavolta, non si poteva andare oltre il 17 agosto. Perché quella data come deadline? Perché, in base ai decreti precedenti, proprio il 17 agosto scadeva lo stop ai licenziamenti, che questo decreto ha prolungato nella formula mobile spiegata più volte da questo giornale (il blocco, impresa per impresa, sarà cioè posposto tra il 17 novembre e il 31 dicembre). Se il nuovo decreto non fosse stato già in vigore il 17, le imprese avrebbero avuto una finestra temporale per decidere una raffica di licenziamenti. Morale: per questa ragione, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è avvenuta il 14 agosto. Ma ciò non ha evitato il balletto, appena iniziato, degli svarioni, delle smentite, delle correzioni necessarie o evitabili. Il primo round se l'è aggiudicato il governo, dopo un casus belli sollevato ieri da Repubblica, secondo cui, a causa di una svista nel decreto, sarebbe saltata la cosiddetta corsia veloce, quella che consente l'anticipo del 40% di cassa integrazione dall'Inps. Ma - per una volta - la precisazione del ministero del Lavoro è parsa fondata. Una nota del dicastero ha infatti trascritto la norma (l'articolo 1 comma 1 del decreto), secondo cui «i datori di lavoro che, nell'anno 2020, sospendono o riducono l'attività lavorativa per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19, possono presentare domanda di concessione dei trattamenti di cui agli articoli da 19 a 22 quinquies del decreto legge 2020 n. 18, per una durata massima di 9 settimane, incrementate di ulteriori 9». Morale: poiché la norma richiama espressamente le modalità di domanda di cui agli articoli 22 quater e quinquies (introdotti con il decreto Rilancio), è riconfermata la possibilità per le aziende di richiedere all'Inps l'anticipo del 40%. Quindi almeno questo svarione non c'è, fermo restando che permangono le ben note complicazioni e farraginosità procedurali per l'accesso alla cassa. In più, resta un secondo e clamoroso casus belli, anzi un surreale balletto: quello di cui alla fine pare rimasta vittima l'Umbria. La Regione guidata da Donatella Tesei (Lega) sembrava, in base alla relazione tecnica, essere rientrata nei parametri di Pil pro capite e tasso di occupazione per accedere alla forma di fiscalità di vantaggio stabilita dal decreto, e cioè un esonero del 30% dei contributi previdenziali e assistenziali a carico dei datori di lavoro privati non agricoli per i loro dipendenti. Si leggeva infatti nella versione pubblicata: «È previsto l'esonero contributivo del 30%, da ottobre a dicembre, per contratti di lavoro dipendente nelle Regioni Umbria, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia». La cosa avrebbe riguardato ben 181.000 contratti di lavoro dipendente in Umbria. E invece? E invece no: la relazione tecnica verrà «sbianchettata» e l'Umbria, a meno di sorprese ulteriori, sarà esclusa perché non rientrerebbe in uno dei parametri fissati dall'articolo 27 del decreto, e cioè un tasso di occupazione al di sotto della media nazionale. La realtà è che, una volta di più, mostra la corda una tecnica normativa sempre meno difendibile: dietro la foglia di fico della necessità e dell'urgenza, anche questo decreto ha assunto dimensioni monstre. Infatti, la bellezza di 115 articoli rende il testo tecnicamente «non lavorabile» in Parlamento: si tratterà del solito pacchetto «prendere o lasciare», che passerà sotto la frusta del voto di fiducia. C'è solo da sperare che almeno governo e maggioranza correggano tutto il correggibile, prima di porre la fiducia sul testo finale. E c'è anche da augurarsi, considerando i 60 giorni di tempo per la conversione in legge, che ci sia spazio per un esame minimamente approfondito in ciascuno dei rami del Parlamento, senza che uno dei due, come sempre più spesso accade, sia costretto a non poter modificare alcunché per l'imminente scadenza dei due mesi.
Emmanuel Macron (Getty Images)
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)