2020-12-01
Gualtieri completa il tradimento sul Mes
Il ministro mente in Commissione: «Ho il mandato per agire» Poi approva il nuovo Fondo all'Eurogruppo: l'ok è definitivo.Le linee di credito favorirebbero chi ha già i conti in ordine. E la ristrutturazione del debito, resa più probabile, può colpire i risparmiatori. Il Parlamento aveva imposto al governo di condividere qualsiasi modifica. Invano.Vito Crimi: «Diciamo sì alla revisione, però non lo useremo». I grillini rischiano la rottura in Aula.Lo speciale contiene tre articoli.A proposito della riforma del Mes, dopo i troppi, tanti, sì già detti in Europa dal ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri (e anche dal suo predecessore Giovanni Tria, a dirla tutta), ieri non c'era da aspettarsi sicuramente un brusco dietrofront.Ma il ministro, in audizione davanti a ben sei Commissioni parlamentari riunite congiuntamente, è riuscito comunque a sorprenderci. Si è trincerato dietro la differenza banale tra approvazione della riforma (per lui cosa buona e giusta) e utilizzo dei prestiti del Mes (cosa controversa) e, per tutto il resto, ha affermato i suoi dogmi, senza possibilità di replica. A suo dire, egli finora ha rispettato rigorosamente il mandato parlamentare, nessuno dei pur numerosi rilievi sollevati dai parlamentari è fondato e, pertanto, il consenso politico alla riforma, che di lì a poche ore sarebbe stato chiamato a fornire durante la riunione dell'Eurogruppo, è del tutto coerente con il mandato ricevuto. Il 27 gennaio la riforma del trattato sarà firmata e l'Italia non porrà alcun veto. In ogni caso, fino a tale data, il Parlamento avrà tutto il tempo per valutare. Ma attenti a non fare scherzi, che i mercati potrebbero non prenderla bene. La conferenza stampa finale dell'Eurogruppo, terminata intorno alle 19.40, è filata via senza intoppi.Di fronte a tale spavalda sicumera, condita da una minaccia nemmeno tanto velata, c'è solo da allargare le braccia sconsolati, come si farebbe davanti a chi, ad esempio, sosterrebbe ancora oggi la dottrina tolemaica negando quella copernicana. Ma tant'è. Allora ci siamo pazientemente muniti di un interessante studio in materia pubblicato a maggio scorso e cofirmato dal direttore degli affari legali del Mes Jasper Aerts, e abbiamo cercato di fare il controcanto al ministro, utilizzando una fonte al di sopra di ogni sospetto. Il ministro ha magnificato le virtù del nuovo prestito-paracadute (backstop) che il Mes dovrebbe poter erogare a favore del Fondo di risoluzione unico (Srf) a partire dal 2024. Secondo lui, la discussione circa l'anticipo al 2022 di questa linea di credito di 68 miliardi, con scadenza tre anni rinnovabili, è un tema di cui andar fieri, in quanto deriva da una positiva valutazione del rischio delle nostre banche, che hanno ridotto considerevolmente i crediti inesigibili negli ultimi anni. Quello che il ministro non ci ha detto è che tale Fondo era pari, a luglio 2019, a soli 33 miliardi e dovrebbe raggiungere circa l'1% dei depositi dell'eurozona entro la fine del periodo transitorio (2023). Si è anche guardato bene dell'aggiungere che l'intervento del Srf in caso di dissesto bancario presuppone il bail in fino all'8% del passivo della banca coinvolta, il che, come abbiamo visto in Italia, solo qualche anno fa, non è proprio un fattore di stabilità e tranquillità per i risparmiatori.Perfino la modifica delle Clausole di azione collettiva (Cac) per consentire una ristrutturazione del debito - da doppio voto dei creditori (su tutti i titoli in circolazione e su ciascuna serie) a voto unico (solo su tutti i titoli), in modo da impedire la creazione su qualche titolo di minoranze che possano bloccare tutto - è un successo agli occhi di Gualtieri. Che ha evidenziato l'ovvietà della richiesta di attivazione da parte dello Stato emittente. Anche su questo tema, Gualtieri ha omesso di aggiungere un dettaglio essenziale, che scatenerebbe un devastante circolo vizioso: in caso di difficoltà finanziarie di uno Stato, al fine di convincere gli altri Stati membri a erogare il prestito, esso ha un forte incentivo a richiedere la ristrutturazione (in futuro più facilmente approvabile) proprio al fine di rendere il proprio debito sostenibile e accedere quindi al prestito. E quella clausola diventa come offrire, senza nemmeno tanti sforzi, una pistola per far sì che lo Stato membro prema il grilletto. Ma c'è di peggio: gli investitori, avendo contezza di questo probabile scenario, cercheranno di disinvestire rapidamente, creando instabilità finanziaria e quindi contribuendo all'avveramento dell'evento temuto. Perfino per l'avvocato del Mes questo è uno scenario possibile («non è situazione da bianco o nero, solo il tempo lo dirà»), ma non per Gualtieri, che ci propala l'ennesima ovvietà costituita dall'assenza della ristrutturazione automatica preventiva del debito. E ci mancherebbe altro! Non è rilevante la discrezionalità concessa agli Stati nelle decisioni, poiché il Mes serve a imporre la disciplina dei mercati, che costringono a votare all'unanimità anche la decisione di premere il grilletto su sé stessi, e ci riesce benissimo. A nulla sono valsi i rilievi del deputato Stefano Fassina o del senatore Alberto Bagnai, rispettivamente finalizzati a evidenziare l'anacronismo di parametri di valutazione (in sostanza, il Patto di stabilità) che appartengono a un'altra era geologica e a chiedere conto di che fine avesse fatto la terza gamba dell'unione bancaria, cioè la garanzia comune sui depositi. Gualtieri ha ammesso che ci sono contrasti con la posizione tedesca: e allora perché dire sì al Mes senza contemporaneamente avere risultati su quel fronte? E se ci dicessero di no?Gualtieri ha interpretato a modo suo la risoluzione dell'11 dicembre 2019: «mantenere la logica di pacchetto»; «escludere interventi di tipo restrittivo sulla detenzione di titoli sovrani da parte di banche»; «assicurare il pieno coinvolgimento del Parlamento in tutti i passaggi del negoziato sul futuro della Ue e sulla conclusione della riforma del Mes», a suo parere, gli danno un ampio mandato.Bisognerà riscrivere il vocabolario della lingua italiana.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bugie-al-parlamento-e-in-ginocchio-dallue-gualtieri-completa-il-tradimento-sul-mes-2649091362.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="da-salva-stati-a-salva-banche-altrui-tutti-i-punti-di-una-riforma-tossica" data-post-id="2649091362" data-published-at="1606816610" data-use-pagination="False"> Da salva Stati a salva banche (altrui). Tutti i punti di una riforma tossica Cos'è la riforma del Mes? Dal 2018 i Paesi membri del Meccanismo europeo di stabilità, erede delle varie formulazioni dei Fondi salvastati, ragionano - su impulso tedesco e francese - su una riforma la cui innovazione principale riguarda le banche. Le modifiche, approvate nel corso di negoziati interrotti dal Covid, consentirebbero di utilizzare i fondi del Mes (704 miliardi sottoscritti di cui 80 versati, per l'Italia 125 sottoscritti e 14 versati) per il cosiddetto Single resolution fund, uno strumento pensato per intervenire in caso di crisi di banche «sistemiche». Il meccanismo di prestiti del Mes sarebbe disponibile in forma soft (Pccl: Precautionary conditions credit lines) solo per Paesi con i conti in ordine. La linea di credito soggetta a condizioni rafforzate (Enhanced conditions credit line, Eccl) sarebbe destinata ai membri fuori dai criteri del Patto di stabilità, al momento sospeso per la pandemia. Di qui la critica principale: si privilegiano i Paesi che ne hanno meno bisogno, allargando le asimmetrie nell'eurozona, e si riattivano le gabbie dell'austerity mentre si proclama a parole la necessità di fare l'opposto causa Covid. Cosa c'entra con la linea pandemica del Mes di cui tanto si è discusso? Nulla. La linea pandemica era un'opzione aperta dalla lettera di due commissari, che avrebbe permesso di usare per spese sanitarie legate al Covid il Mes attualmente in vigore. Nessun Paese ha ritenuto conveniente accedere a questi fondi. Dove si può leggere il testo del nuovo Trattato? Qui: bit.ly/39At8cq il testo della bozza inglese tratto dal sito ufficiale del Mes. Una traduzione a cura dell'ufficio studi del Senato è stata pubblicata in un dossier dei tecnici di Palazzo Madama, ed è disponibile al sito bit.ly/3fShmv7. Vi si trovano le parti mutate rispetto al testo oggi in vigore. Alcuni dei documenti allegati non sono mai stati divulgati neppure al Parlamento italiano. Quali sono i punti critici? Il rischio principale, cui hanno alluso anche Giampaolo Galli e Ignazio Visco, e da ultimo Wolfgang Münchau sul Financial Times, è quello di avvicinare la prospettiva di una ristrutturazione «alla greca» del nostro debito pubblico. Una minaccia devastante per tutto il sistema bancario e per il risparmio. Tale rischio si concretizzerebbe in primis nel rafforzamento della divisione tra «buoni» (Paesi che possono accedere alla Pccl) e «cattivi» (cui sono destinate le Eccl), che creerebbe uno stigma immediato e metterebbe di fatto sotto il controllo della Troika (Bce, Commissione, Mes e, se richiesto, Fmi) le finanze pubbliche. Nondimeno, la riforma delle Cac (Clausole di azione collettiva) imposte agli Stati membri dal 2022 rende più semplice da parte dei creditori imporre una ristrutturazione del debito (ovvero un taglio della restituzione dei titoli del debito stesso: in pratica, chi ha investito 100 potrebbe, per decisione del Mes, vedersi rimborsato 80). Chi ha autorizzato Gualtieri alla posizione annunciata ieri? Nessuno. L'unica mozione esplicitamente dedicata alla riforma del Mes, votata ai tempi del Conte 1 (giugno 2019) reca la firma dei capigruppo della allora maggioranza gialloblù (Riccardo Molinari per la Lega e Francesco D'Uva per il M5s) e invita il governo, tra le altre cose, a «sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato». Qualche mese e un governo dopo (dicembre 2019), una nuova risoluzione Pd-M5s-Leu-Iv, pur cercando di mediare le istanze della nuova maggioranza, impegna comunque l'esecutivo ad «assicurare il pieno coinvolgimento del Parlamento in tutti i passaggi del negoziato sul futuro della Ue e sulla conclusione della riforma del Mes». Come si è espresso il Parlamento? Al netto di queste due risoluzioni, non è mai stato direttamente interpellato né gli articoli sono mai stati discussi. Il mancato rispetto delle direttive dell'Aula da parte di Conte e Tria è stato uno dei motivi di rottura dell'esecutivo gialloblù. Si può affermare che il ministro Gualtieri abbia agito in maniera politicamente irresponsabile, anche e soprattutto alla luce della legge Moavero (234 del 2012), che impone non solo che il Parlamento sia informato ma anche che si pronunci con atti di indirizzo in occasione di passaggi di questo tipo che riguardano vincoli comunitari o passaggi istituzionali in seno all'eurozona. Un conto è approvare la riforma del Mes, un altro usarlo. Che problemi ha l'Italia finché non lo attiva? Come spiega in modo molto chiaro il citato dossier del Senato, «Mes e Commissione europea, in collaborazione con la Bce, avrebbero il compito di monitorare e valutare il quadro macroeconomico e la situazione finanziaria dei suoi membri, compresa la sostenibilità del debito pubblico. Tale attività si svolgerebbe in via preventiva, indipendentemente da richieste di sostegno». In sostanza, il controllo di queste istituzioni si rafforzerebbe in maniera automatica per Paesi come l'Italia. Le nuove Cac, imposte a tutti i Paesi dal 2022 (articolo 11 del Trattato riformato), muterebbero inoltre la natura giuridica del debito in modo indipendente da eventuali accessi al Mes, dando adito a potenziali rischi Paese che vari analisti reputano gravi. E ora che succede? Dovrebbero esserci due passaggi: il primo alla vigilia del Consiglio europeo che dovrebbe portare all'ok di Conte il 9 dicembre. Poi è comunque necessaria la ratifica parlamentare dopo la firma, prevista il 27 gennaio 2021. Tutta la pressione politica è sul gruppo grillino, che nel programma 2018 aveva lo scioglimento del Mes e che, fino a ieri, ha sempre avversato la sua riforma. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bugie-al-parlamento-e-in-ginocchio-dallue-gualtieri-completa-il-tradimento-sul-mes-2649091362.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-m5s-giurava-lo-smantelleremo-ma-adesso-ingurgita-leuropurga" data-post-id="2649091362" data-published-at="1606816610" data-use-pagination="False"> Il M5s giurava: «Lo smantelleremo». Ma adesso ingurgita l’europurga «La riforma del Mes e il suo utilizzo, l'eventualità di farvi ricorso, sono due elementi totalmente distinti. Una distinzione chiara e sostanziale. Per quanto riguarda l'Italia, il nostro Paese non ha alcuna necessità di farvi ricorso». Vito Crimi, il reggente del M5s, si regge a stento, quando tenta di nascondere il sì alla pericolosissima revisione del Fondo salva Stati, dietro a un bizantinismo che avrebbe fatto impallidire Ciriaco De Mita. E pensare che i pentastellati furono netti, nel programma per le politiche del 2018: «Il M5s [...] si impegnerà allo smantellamento del Mes». E, non pago, pure «della cosiddetta Troika», la triade composta da Commissione Ue, Bce e Fondo monetario internazionale. Tutti organismi rei di sottoporre le nazioni a «ricatti [...] travestiti da “riforme"». Cosa è successo, poi? I grillini sono finiti al governo con il Pd. E della maggioranza giallorossa, esattamente come di quella gialloblù, sono l'anello debole. Così, pur di restare incollati allo scranno, fanno indigestione di battaglie rottamate. Inclusa quella contro il salvastati. Resterebbe da capire - chissà se Crimi potrà spiegarcelo - cosa sia cambiato rispetto al 31 luglio scorso, quando, sempre il successore di Luigi Di Maio, si confermava convinto della «pericolosità e non adeguatezza» del Meccanismo di stabilità. Una settimana prima, Crimi s'era detto «basito» dall'«insistenza sul Mes» degli alleati dem. Sarà che, allora, don Vito si riferiva al Mes sanitario. E la differenza tra riformarlo e usarlo è «chiara e sostanziale». Eppure, il 5 dicembre 2019, sul Blog delle Stelle, il Movimento celebrava come «una prima grande vittoria» il rinvio al 2020 del voto su quella riforma: «Quel trattato non ci ha mai convinto», si leggeva nel post: «La riforma in discussione va a peggiorare alcuni punti decisivi del trattato rendendo più concreta l'ipotesi di ristrutturazione del debito pubblico per gli Stati in difficoltà finanziaria». Poi, Vito Crimi ha scoperto Hegel e «l'immane potenza del negativo». E del voltafaccia. E come la liason con Michele Emiliano in Puglia non è un inciucio, bensì un «confronto senza preconcetti», così l'ok alla riforma del Mes non è un calarsi le braghe, bensì la ricerca di una distinzione «chiara e sostanziale». Come dire: ma sì, costruiamo un'arma di distruzione di massa, tanto mica la utilizziamo. Al teatrino, da ultimo, s'è aggiunto l'imbarazzante caso dell'email, contenente un dossier critico sulle modifiche al Fondo, spedita dallo staff del partito ai parlamentari. Ai quali, subito dopo l'invio, è stato chiesto di «non prendere in considerazione l'allegato». E adesso? Dopo una sfilza di rinvii, Giuseppe Conte dovrà portare la questione in Parlamento all'inizio di dicembre; il voto di ratifica andrebbe tenuto entro gennaio 2021. Gli scenari possibili sono due. Primo: gli onorevoli cercano di salvare l'onore e salgono sulle barricate. Il pezzo «dibattistiano» dei 5 stelle già è in ebollizione: da Elio Lannutti, a Raphael Raduzzi e Alvise Maniero. L'eurodeputato Ignazio Corrao liquida la distinzione «chiara e sostanziale» di Crimi: «Parla a titolo personale». Come si vede, il reggente ha una salda presa sul partito. Secondo scenario: per conservare il seggio, tutti, o quasi, chinano il capo. Dall'entità della reazione grillina, dipenderà poi il peso specifico di un'eventuale stampella forzista al governo. Se le defezioni saranno limitate, i berluscones confermeranno una posizione assunta da mesi, che gli alleati minimizzano come l'unico elemento di disaccordo reciproco. Invece, se la fronda pentastellata fosse più ampia, il soccorso azzurro potrebbe tradursi in un preludio per le larghe intese. E se, addirittura, la rivolta fosse massiccia, il voto di Forza Italia potrebbe non bastare. A quel punto, la logica conseguenza sarebbe aprire una crisi politica, su cui il Colle non potrebbe limitarsi a mettere una pezza. Ma tra il dire e il fare, c'è di mezzo una poltrona comoda, troppo comoda.
Jose Mourinho (Getty Images)