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2022-07-14
Autogrill, storia di un'impresa che fu italiana
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L'Autogrill Pavesi di Fiorenzuola d'Arda visto dall'abitacolo di una Fiat «500». (archivio Autogrill)
«La ragazza dietro al banco mescolava/ birra chiara e Seven-up/ e il sorriso da fossette e denti/ era da pubblicita' /come i visi alle pareti /di quel piccolo autogrill/ mentre i sogni miei segreti/ li rombavano via i TIR.» Fu proprio in un Autogrill lungo l'autostrada che Francesco Guccini ambientò la storia di un amore fugace e sfumato per una barista «bionda senza averne l’aria». E le pareti tappezzate di manifesti pubblicitari, le tendine in nylon rosa, il juke box, le insegne al neon riportano chi ascolta quella ballata malinconica ad uno dei luoghi simbolo dell’imprenditoria italiana dal boom economico in poi. La storia della prima catena italiana di ristorazione lungo la rete autostradale ai suoi albori ebbe inizio dal genio imprenditoriale di un industriale dolciario di Novara, Mario Pavesi.
Nato in provincia di Pavia (come recita il cognome) a Cilavegna, piccolo centro a una ventina di chilometri da Novara, Mario fu il tipico esempio dell’intraprendenza del self-made man partito da nulla o quasi. Da un piccolo negozio di panetteria aperto con il fratello, passò a vendere dolci e confetti ai negozi della città piemontese. Nel 1937 decise di iniziare l’avventura in proprio aprendo un forno per la produzione di dolci e dei biscottini tipici novaresi. La guerra non lo fermò, nonostante le crescenti difficoltà nel reperimento delle materie prime. Anzi, Pavesi fu prodigo nel fornire quel che poteva a tutti: soldati, ospedali, partigiani e non. L’unione in matrimonio con la signora Mariuccia Lodigiani, collaboratrice amministrativa semplice e determinata, spinse ancora di più la piccola impresa verso una dimensione industriale. La ricetta vincente era riuscita: l’azienda si ampliò rapidamente tra il 1945 e il 1950. Intuitivo e anticipatore, simile in questo aspetto alla figura di Bernardo Caprotti patron di Esselunga, capì che il business si sarebbe potuto allargare a poche centinaia di metri dalla sua fabbrica, lungo l’autostrada Milano-Torino. Da sempre attento (oltre che ossessionato dalla qualità e dall’igiene in fabbrica) all’aspetto del marketing dei suoi biscotti dalla ricetta originale incentrata sugli aspetti dietetici ed al packaging dei prodotti, Mario volle fare in Italia quello che aveva sentito dagli Americani e che poi vedrà di persona durante un viaggio oltreoceano. Alla stazione di servizio di Novara vedeva tutte le notti i camionisti che si fermavano al piccolo punto vendita per comprare i biscotti e bere qualcosa: furono loro a fare scattare la scintilla della prima catena di ristorazione autostradale italiana, che porterà il suo cognome: «Autogrill Pavesi». Il primo negozio fu inaugurato nel 1950 con un battage pubblicitario studiato e spettacolare, compresa una mongolfiera che campeggiava sopra l’area di sosta di Novara. Gli anni Cinquanta e Sessanta, con la motorizzazione di massa, parallela allo sviluppo della rete autostradale da Nord a Sud del Paese fecero da volano all’idea vincente di Mario Pavesi. Dal piccolo ma futuristico punto di ristoro di Novara la rete della catena Pavesi (o Pavesini dal nome dei biscotti da cui tutto cominciò) si allargò in tutta la penisola, tanto che nel 1969 i dipendenti della società raggiungeranno le 1.800 unità. Gli affari di Mario il panettiere, in quegli anni di euforia per l’Italia uscita dall’incubo del dopoguerra, vedranno altri successi affiancarsi agli Autogrill: dalla sua inventiva nascevano i biscotti Ringo, i primi ad essere venduti in confezioni snack così come una delle bevande immancabili negli aperitivi degli anni Settanta, il Rabarbaro Zucca.
Il successo dei punti ristoro Pavesi, con l’aumentare rapido dell’utenza automobilistica in Italia, lasciò spazio anche alla concorrenza targata Motta e Alemagna, due colossi dell’industria dolciaria italiana. Se Pavesi pensò e fece le cose in grande affidandosi alla maestria dell’architetto Angelo Bianchetti per le aree di servizio Villoresi sulla A8 (pubblicato sulla rivista americana Life) e Fiorenzuola d’Arda lungo l’autosole A1, Motta rispose con la maestosa stazione di Cantagallo e con quella di Limena, struttura ponte futuristica nei pressi di Padova. Alemagna realizzò i propri punti ristoro con un accordo commerciale con il gruppo Eni Agip.
La storia di Mario Pavesi alla guida della grande catena si interruppe nel 1972 quando, afflitto dalle prime avvisaglie di una grave malattia che lo porterà alla morte nel 1990, decise di cedere alla Montedison il business di Autogrill esautorando i figli ancora troppo giovani dalla successione (si occuperanno in seguito degli altri marchi del gruppo). Il fondatore rimarrà presidente fino al 1974 e tre anni dopo, come era già accaduto ai concorrenti Motta e Alemagna, gli autogrill Pavesi furono inglobati assieme ai primi due marchi nel gruppo statale Sme, ramo alimentare dell’Iri, acquisendo la definitiva denominazione societaria «Autogrill». Sotto la gestione pubblica Autogrill inizia la lunga fase di espansione sia in Italia che all’estero. Degli anni Ottanta sono i brand della ristorazione espressa «Ciao» e «Spizzico», che ebbero una certa diffusione non solo in ambito autostradale nell’Italia che scopriva il mondo del fast food. I nuovi ristoranti furono aperti anche nelle principali città italiane e negli scali aeroportuali. Proprio la ristorazione aerea e il settore delle vendite in regime di porto franco duty free saranno gli obiettivi della società nel decennio successivo, caratterizzato nella prima metà da un’altra rivoluzione societaria per il marchio Autogrill. Nel 1993 l’Iri guidata per la seconda volta da Romano Prodi procedette allo smembramento e alla privatizzazione della Sme. Dopo un periodo in cui le offerte di diverse realtà bancarie e industriali furono ritenute inadeguate, il Gruppo comprendente Autogrill e la catena di supermercati Gs fu venduto ad una cordata costituita dalla famiglia Benetton e dall’altro grande imprenditore del nordest, Leonardo Del Vecchio. All’epoca della privatizzazione Autogrill aveva una rete di 311 punti vendita, quasi 6.500 addetti e un margine operativo lordo di 119 miliardi di lire. Sotto la gestione Benetton (Edizione Holding) l’azienda fu quotata in borsa nel 1997 e proseguì la forte espansione all’estero mediante importanti acquisizioni, sopra tutte quella del colosso della ristorazione aeroportuale statunitense HMS che deteneva il monopolio del franchising autostradale di importanti fast food come Burger King, Pizza Hut e altri. In Italia il marchio Burger King fu rappresentato proprio da Autogrill. Negli anni 2000 aumentò la presenza internazionale della partecipata dei Benetton nel business delle vendite aeroportuali esentasse, scisse nel decennio successivo dal ramo ristorazione con la nascita di World Duty Free con sede a Novara (esattamente dove nacquero gli autogrill di Pavesi), società quotata e in seguito interessata da un Opa della svizzera Dufry nel 2015 che ne ha acquisito la proprietà. La stessa società con sede a Basilea ha ripetuto l’operazione con l’acquisizione di Autogrill dai Benetton (rimasti possessori del 20% del pacchetto azionario), che determinerà di fatto la fine dell’italianità di quell’azienda che per quasi 80 anni ha nutrito i viaggiatori lungo tutta la rete autostradale e aeroportuale della penisola, facendo di Autogrill uno dei simboli più evocativi del miracolo economico del dopoguerra.
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Nata dal genio di un panettiere di Novara, Mario Pavesi, la società Autogrill fu simbolo del boom economico e della motorizzazione di massa in Italia. Inglobata dall'Iri negli anni '70, fu venduta da Prodi ai Benetton. Che hanno ceduto agli svizzeri di Dufry.«La ragazza dietro al banco mescolava/ birra chiara e Seven-up/ e il sorriso da fossette e denti/ era da pubblicita' /come i visi alle pareti /di quel piccolo autogrill/ mentre i sogni miei segreti/ li rombavano via i TIR.» Fu proprio in un Autogrill lungo l'autostrada che Francesco Guccini ambientò la storia di un amore fugace e sfumato per una barista «bionda senza averne l’aria». E le pareti tappezzate di manifesti pubblicitari, le tendine in nylon rosa, il juke box, le insegne al neon riportano chi ascolta quella ballata malinconica ad uno dei luoghi simbolo dell’imprenditoria italiana dal boom economico in poi. La storia della prima catena italiana di ristorazione lungo la rete autostradale ai suoi albori ebbe inizio dal genio imprenditoriale di un industriale dolciario di Novara, Mario Pavesi. Nato in provincia di Pavia (come recita il cognome) a Cilavegna, piccolo centro a una ventina di chilometri da Novara, Mario fu il tipico esempio dell’intraprendenza del self-made man partito da nulla o quasi. Da un piccolo negozio di panetteria aperto con il fratello, passò a vendere dolci e confetti ai negozi della città piemontese. Nel 1937 decise di iniziare l’avventura in proprio aprendo un forno per la produzione di dolci e dei biscottini tipici novaresi. La guerra non lo fermò, nonostante le crescenti difficoltà nel reperimento delle materie prime. Anzi, Pavesi fu prodigo nel fornire quel che poteva a tutti: soldati, ospedali, partigiani e non. L’unione in matrimonio con la signora Mariuccia Lodigiani, collaboratrice amministrativa semplice e determinata, spinse ancora di più la piccola impresa verso una dimensione industriale. La ricetta vincente era riuscita: l’azienda si ampliò rapidamente tra il 1945 e il 1950. Intuitivo e anticipatore, simile in questo aspetto alla figura di Bernardo Caprotti patron di Esselunga, capì che il business si sarebbe potuto allargare a poche centinaia di metri dalla sua fabbrica, lungo l’autostrada Milano-Torino. Da sempre attento (oltre che ossessionato dalla qualità e dall’igiene in fabbrica) all’aspetto del marketing dei suoi biscotti dalla ricetta originale incentrata sugli aspetti dietetici ed al packaging dei prodotti, Mario volle fare in Italia quello che aveva sentito dagli Americani e che poi vedrà di persona durante un viaggio oltreoceano. Alla stazione di servizio di Novara vedeva tutte le notti i camionisti che si fermavano al piccolo punto vendita per comprare i biscotti e bere qualcosa: furono loro a fare scattare la scintilla della prima catena di ristorazione autostradale italiana, che porterà il suo cognome: «Autogrill Pavesi». Il primo negozio fu inaugurato nel 1950 con un battage pubblicitario studiato e spettacolare, compresa una mongolfiera che campeggiava sopra l’area di sosta di Novara. Gli anni Cinquanta e Sessanta, con la motorizzazione di massa, parallela allo sviluppo della rete autostradale da Nord a Sud del Paese fecero da volano all’idea vincente di Mario Pavesi. Dal piccolo ma futuristico punto di ristoro di Novara la rete della catena Pavesi (o Pavesini dal nome dei biscotti da cui tutto cominciò) si allargò in tutta la penisola, tanto che nel 1969 i dipendenti della società raggiungeranno le 1.800 unità. Gli affari di Mario il panettiere, in quegli anni di euforia per l’Italia uscita dall’incubo del dopoguerra, vedranno altri successi affiancarsi agli Autogrill: dalla sua inventiva nascevano i biscotti Ringo, i primi ad essere venduti in confezioni snack così come una delle bevande immancabili negli aperitivi degli anni Settanta, il Rabarbaro Zucca. Il successo dei punti ristoro Pavesi, con l’aumentare rapido dell’utenza automobilistica in Italia, lasciò spazio anche alla concorrenza targata Motta e Alemagna, due colossi dell’industria dolciaria italiana. Se Pavesi pensò e fece le cose in grande affidandosi alla maestria dell’architetto Angelo Bianchetti per le aree di servizio Villoresi sulla A8 (pubblicato sulla rivista americana Life) e Fiorenzuola d’Arda lungo l’autosole A1, Motta rispose con la maestosa stazione di Cantagallo e con quella di Limena, struttura ponte futuristica nei pressi di Padova. Alemagna realizzò i propri punti ristoro con un accordo commerciale con il gruppo Eni Agip.La storia di Mario Pavesi alla guida della grande catena si interruppe nel 1972 quando, afflitto dalle prime avvisaglie di una grave malattia che lo porterà alla morte nel 1990, decise di cedere alla Montedison il business di Autogrill esautorando i figli ancora troppo giovani dalla successione (si occuperanno in seguito degli altri marchi del gruppo). Il fondatore rimarrà presidente fino al 1974 e tre anni dopo, come era già accaduto ai concorrenti Motta e Alemagna, gli autogrill Pavesi furono inglobati assieme ai primi due marchi nel gruppo statale Sme, ramo alimentare dell’Iri, acquisendo la definitiva denominazione societaria «Autogrill». Sotto la gestione pubblica Autogrill inizia la lunga fase di espansione sia in Italia che all’estero. Degli anni Ottanta sono i brand della ristorazione espressa «Ciao» e «Spizzico», che ebbero una certa diffusione non solo in ambito autostradale nell’Italia che scopriva il mondo del fast food. I nuovi ristoranti furono aperti anche nelle principali città italiane e negli scali aeroportuali. Proprio la ristorazione aerea e il settore delle vendite in regime di porto franco duty free saranno gli obiettivi della società nel decennio successivo, caratterizzato nella prima metà da un’altra rivoluzione societaria per il marchio Autogrill. Nel 1993 l’Iri guidata per la seconda volta da Romano Prodi procedette allo smembramento e alla privatizzazione della Sme. Dopo un periodo in cui le offerte di diverse realtà bancarie e industriali furono ritenute inadeguate, il Gruppo comprendente Autogrill e la catena di supermercati Gs fu venduto ad una cordata costituita dalla famiglia Benetton e dall’altro grande imprenditore del nordest, Leonardo Del Vecchio. All’epoca della privatizzazione Autogrill aveva una rete di 311 punti vendita, quasi 6.500 addetti e un margine operativo lordo di 119 miliardi di lire. Sotto la gestione Benetton (Edizione Holding) l’azienda fu quotata in borsa nel 1997 e proseguì la forte espansione all’estero mediante importanti acquisizioni, sopra tutte quella del colosso della ristorazione aeroportuale statunitense HMS che deteneva il monopolio del franchising autostradale di importanti fast food come Burger King, Pizza Hut e altri. In Italia il marchio Burger King fu rappresentato proprio da Autogrill. Negli anni 2000 aumentò la presenza internazionale della partecipata dei Benetton nel business delle vendite aeroportuali esentasse, scisse nel decennio successivo dal ramo ristorazione con la nascita di World Duty Free con sede a Novara (esattamente dove nacquero gli autogrill di Pavesi), società quotata e in seguito interessata da un Opa della svizzera Dufry nel 2015 che ne ha acquisito la proprietà. La stessa società con sede a Basilea ha ripetuto l’operazione con l’acquisizione di Autogrill dai Benetton (rimasti possessori del 20% del pacchetto azionario), che determinerà di fatto la fine dell’italianità di quell’azienda che per quasi 80 anni ha nutrito i viaggiatori lungo tutta la rete autostradale e aeroportuale della penisola, facendo di Autogrill uno dei simboli più evocativi del miracolo economico del dopoguerra.
(Totaleu)
Lo ha detto il Ministro per gli Affari europei in un’intervista margine degli Ecr Study Days a Roma.
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Ed è quel che ha pensato il gran capo della Fifa, l’imbarazzante Infantino, dopo aver intestato a Trump un neonato riconoscimento Fifa. Solo che stavolta lo show diventa un caso diplomatico e rischia di diventare imbarazzante e difficile da gestire perché, come dicevamo, la partita celebrativa dell’orgoglio Lgbtq+ sarà Egitto contro Iran, due Paesi dove gay, lesbiche e trans finiscono in carcere o addirittura condannate a morte.
Ora, delle due l’una: o censuri chi non si adegua a certe regole oppure imporre le proprie regole diventa ingerenza negli affari altrui. E non si può. Com’è noto il match del 26 giugno a Seattle, una delle città in cui la cultura Lgbtq+ è più radicata, era stata scelto da tempo come pride match, visto che si giocherà di venerdì, alle porte del nel weekend dell’orgoglio gay. Diciamo che la sorte ha deciso di farsi beffa di Infantino e del politically correct. Infatti le due nazioni hanno immediatamente protestato: che c’entriamo noi con queste convenzioni occidentali? Del resto la protesta ha un senso: se nessuno boicotta gli Stati dove l’omosessualità è reato, perché poi dovrebbero partecipare ad un rito occidentale? Per loro la scelta è «inappropriata e politicamente connotata». Così Iran ed Egitto hanno presentato un’obiezione formale, tant’è che Mehdi Taj, presidente della Federcalcio iraniana, ha spiegato la posizione del governo iraniano e della sua federazione: «Sia noi che l’Egitto abbiamo protestato. È stata una decisione irragionevole che sembrava favorire un gruppo particolare. Affronteremo sicuramente la questione». Se le Federcalcio di Iran ed Egitto non hanno intenzione di cedere a una pressione internazionale che ingerisce negli affari interni, nemmeno la Fifa ha intenzione di fare marcia indietro. Secondo Eric Wahl, membro del Pride match advisory committee, «La partita Egitto-Iran a Seattle in giugno capita proprio come pride match, e credo che sia un bene, in realtà. Persone Lgbtq+ esistono ovunque. Qui a Seattle tutti sono liberi di essere se stessi». Certo, lì a Seattle sarà così ma il rischio che la Fifa non considera è quello di esporre gli atleti egiziani e soprattutto iraniani a ritorsioni interne. Andremo al Var? Meglio di no, perché altrimenti dovremmo rivedere certi errori macroscopici su altri diritti dei quali nessun pride si era occupato organizzando partite ad hoc. Per esempio sui diritti dei lavoratori; eppure non pochi operai nei cantieri degli stadi ci hanno lasciato le penne. Ma evidentemente la fretta di rispettare i tempi di consegna fa chiudere entrambi gli occhi. Oppure degli operai non importa nulla. E qui tutto il mondo è Paese.
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