Articolo 18: «Così la Consulta smonta la Fornero e blocca i piani delle aziende»

Articolo 18, la decisione della Consulta semplifica il reintegro dei lavoratori licenziati
Un altro colpo alla versione Fornero dell’articolo 18. È arrivato in settimana dalla Consulta che ha reso più semplice il reintegro dei lavoratori licenziati. Con la sentenza 125 depositata giovedì 19 maggio, la Corte Costituzionale ha stabilito che il giudice non è tenuto ad accertare che l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento economico sia «manifesta».
Quindi ha la possibilità disporre il ritorno sul posto di lavoro del dipendente ingiustamente licenziato per motivi economici con il semplice presupposto della insussistenza del fatto. Può sembrare una differenza di lana caprina ma non lo è.
Avvocato ci può spiegare nel concreto cosa cambia?
«Prenda un’azienda che licenzia tre dipendenti per motivi economici. Prima di procedere dovrebbe verificare se quelle persone possono essere utilizzate in un altro settore della stessa azienda che prevede posizioni simili non coperte. Se non lo fa scatta il cosiddetto obbligo di repechage».
Certo. Ma cosa c’entra con l’ultima sentenza della Consulta?
«Prima della decisione di giovedì spesso questo era un elemento border line. Quindi, anche se le aziende non avevano fatto una verifica accuratissima sulla situazione organizzativa, difficilmente scattava l’obbligo di reintegra. Da oggi in poi, la mancanza anche parziale di questa ricerca del datore di lavoro darà il via all’obbligo di riportare in organico il lavoratore licenziato».
Giuseppe Merola è un avvocato giuslavorista dello studio Pirola Pennuto Zei & Associati e di situazioni simili ne ha viste a iosa.
Avvocato ci fa un altro caso?
«Certo. Prenda un’azienda che ha una contrazione di fatturato e quindi decide di ridurre i suoi dipendenti passando da 5 a 4 unità. Nella scelta della persona da “tagliare”, visto che svolgono tutti le stesse mansioni, deve adottare dei criteri assolutamente oggettivi».
Mi sembra giusto.
«Certo. Ma prima della sentenza le modalità di scelte erano abbastanza libere, da oggi in poi tutto il processo di individuazione delle persone da licenziare diventerà più formale e verranno utilizzati anche i piccoli cavilli per dire che il datore di lavoro non ha seguito pedissequamente l’iter previsto e arrivare alla reintegra sul posto di lavoro».
La ratio della sentenza?
«Secondo la Consulta in questo modo viene eliminato un elemento di discrimine, di incertezza applicativa. Su quel «manifesta» infatti si sono concentrate molte discussioni e decise molte cause di lavoro. Il problema è che adesso l’elemento di incertezza ce l’hanno le imprese che si vedono complicata la vita».
In che senso?
«Guardi, io difendo le aziende nelle cause di lavoro e quasi tutte le imprese prima di licenziare per motivi economici chiedono un’indicazione sul costo potenziale della probabile vertenza».
Ora diventa più complicato quantificarlo?
«Certo. Prima dicevamo tra le 12 e le 24 mensilità e avevamo un’indicazione di massima, con questa sentenza diventa più difficile programmare, perché la tutela non è più indennitaria ma punta sul reintegro nel posto di lavoro. Tutto ciò comporta un elemento di grande incertezza».
Nel concreto?
«Beh, consideri che il nostro studio si è trovato un paio di anni fa davanti al caso di una sentenza di reintegro sul posto di lavoro che si è chiusa dopo 13 anni dall’inizio della causa. L’azienda è stata costretta a pagare 13 anni di stipendi arretrati e a riprendersi in organico il lavoratore».
Insomma, secondo voi la sentenza della Consulta potrebbe cambiare le decisioni su tante vertenze di lavoro?
«Assolutamente sì. E mi sembra l’ennesimo tentativo della magistratura di sovvertire quello che ha deciso il legislatore».
La decarbonizzazione dell’automobile europea si trova a un bivio. Lo evidenzia un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, in un articolo dal titolo Revisione o avvitamento per la decarbonizzazione dell’automobile, che mette in luce le difficoltà del cosiddetto «pacchetto automotive» della Commissione europea e la possibile revisione anticipata del Regolamento Ue 2023/851, che prevede lo stop alle immatricolazioni di auto a combustione interna dal 2035.
Originariamente prevista per il 2026, la revisione del bando è stata anticipata dalle pressioni dell’industria, dal rallentamento del mercato delle auto elettriche e dai mutati equilibri politici in Europa. Germania e Italia, insieme ad altri Stati membri con una forte industria automobilistica, chiedono maggiore flessibilità per conciliare gli obiettivi ambientali con la realtà produttiva.
Il quadro che emerge è complesso. La domanda di veicoli elettrici cresce più lentamente del previsto, la produzione europea di batterie fatica a decollare, le infrastrutture di ricarica restano insufficienti e la concorrenza dei produttori extra-Ue, in particolare cinesi, si fa sempre più pressante. Nel frattempo, il parco auto europeo continua a invecchiare e la riduzione delle emissioni di CO₂ procede a ritmi inferiori alle aspettative.
I dati confermano il divario tra ambizioni e realtà. Nel 2024, meno del 14% delle nuove immatricolazioni nell’Ue a 27 è stata elettrica, mentre il mercato resta dominato dai motori tradizionali. L’utilizzo dell’energia elettrica nel settore dei trasporti stradali, pur in crescita, resta inferiore all’1%, rendendo molto sfidante l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.
Secondo la Fondazione Eni Enrico Mattei, non è possibile ignorare l’andamento del mercato e le preferenze dei consumatori. Per ridurre le emissioni occorre che le nuove auto elettriche sostituiscano quelle endotermiche già in circolazione, cosa che al momento non sta avvenendo in Italia, seconda solo alla Germania per numero di veicoli.
«Ai 224 milioni di autovetture circolanti nel 2015 nell’Ue, negli ultimi nove anni se ne sono aggiunti oltre 29 milioni con motore a scoppio e poco più di 6 milioni elettriche. Valori che pongono interrogativi sulla strategia della sostituzione del parco circolante e sull’eventuale ruolo di biocarburanti e altre soluzioni», sottolinea Antonio Sileo, Programme Director del Programma Sustainable Mobility della Fondazione. «È necessario un confronto per valutare l’efficacia delle politiche europee e capire se l’Unione punti a una revisione pragmatica della strategia o a un ulteriore avvitamento normativo», conclude Sileo.
Ecco #DimmiLaVerità del 15 novembre 2025. Con il senatore di Fdi Etel Sigismondi commentiamo l'edizione dei record di Atreju.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina














