2025-11-16
Merz abbatte il prezzo dell’energia per legge
Con l’ok di Ursula, il governo tedesco approva un massiccio intervento sul settore elettrico che prevede una tariffa industriale bloccata a 50 euro al Megawattora per tre anni, a partire dal prossimo gennaio. Antonio Gozzi (Federacciai): «Si spiazza la concorrenza».Ci risiamo. La Germania decide di giocare da sola e sussidia la propria industria energivora, mettendo in difficoltà gli altri Paesi dell’Unione. Sempre pronta a invocare l’unità di intenti quando le fa comodo, ora Berlino fa da sé e fissa un prezzo politico dell’elettricità, distorcendo la concorrenza e mettendo in difficoltà i partner che non possono permettersi sussidi. Avvantaggiata sarà l’industria energivora tedesca (acciaio, chimica, vetro, automobile).Il governo tedesco ha approvato giovedì sera un massiccio intervento sul mercato elettrico che prevede un prezzo industriale fissato a 50 euro a Megawattora per tre anni, a partire dal prossimo gennaio, accompagnato da un nuovo programma di centrali «a capacità controllabile», cioè centrali a gas mascherate da neutralità tecnologica, da realizzare entro il 2031. Il sistema convivrebbe con l’attuale attuale meccanismo di compensazione dei prezzi dell’energia, già in vigore, come ha confermato il ministro delle finanze Lars Klingbeil. La misura dovrebbe costare attorno ai 10 miliardi di euro, anche se il governo parla di 3-5 miliardi finanziati dal Fondo per il clima e la trasformazione. Vi sono già proteste da parte delle piccole e medie imprese tedesche, che non godranno del vantaggio.Berlino presenta l’operazione come necessaria per salvare la competitività della propria industria. Ma il risultato vero è una distorsione della concorrenza grazie all’intervento unilaterale dello Stato tedesco. La Germania decide di usare la forza fiscale relativa di cui dispone rispetto agli altri Stati membri dell’Ue per ridurre il costo dell’energia alle sue aziende. Un vantaggio diretto che nessun altro Paese dell’Unione può permettersi.Tutto questo avviene mentre il piano tedesco sulle centrali di backup si rivela già in partenza insufficiente. La Bundesnetzagentur (BNetzA), l’agenzia federale delle reti, ha calcolato che serviranno almeno 21 Gigawatt di potenza elettrica entro il 2030, e fino a 35 Gigawatt entro il 2035, per evitare blackout nei periodi senza vento e senza sole. Il governo ne prevede appena 12, di cui solo 8 realmente definibili come nuovi impianti affidabili.Dopo l’annuncio dato venerdì, ieri in Italia si è levata una protesta. Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, ha denunciato che mentre alla Germania viene concesso un tetto triennale estremamente favorevole, Roma si è vista bloccare e ritardare l’Energy release per intervento della Commissione Ue, che ne ha rinviato l’entrata in vigore di un anno. Soprattutto, l’Energy release italiana è a 65 euro al Megawattora e non è un sussidio statale (che sarebbe vietato), bensì una sorta di anticipo di un vantaggio che andrà poi restituito dai beneficiari a fronte dell’impegno ad investire in impianti a fonte rinnovabile. «Così si spiazza ogni concorrenza», ha detto Gozzi, accusando Bruxelles di usare «due pesi e due misure».La concorrenza interna all’Ue è falsata dagli aiuti di Stato e lo è a vantaggio dei Paesi che possono spendere di più. Cosa su cui da questo giornale avevamo avvisato, quando si modificò il quadro temporaneo che sospendeva il divieto di aiuti di stato. Per le economie con margini fiscali limitati, Italia in primis, è impossibile replicare interventi simili senza violare i vincoli di bilancio. Nel Trattato dell’Unione è scritto chiaramente che gli aiuti pubblici devono essere limitati perché alterano il mercato comune. Ma quando l’intervento arriva da Berlino, la musica cambia. Difficile immaginare che la Commissione, che dovrà dare il proprio assenso alla misura, blocchi tutto. Sappiamo bene chi tira le fila a Bruxelles.Intanto, l’annuncio del sussidio ha già rialzato i prezzi elettrici tedeschi sui mercati: il future sul dicembre 2025 ha chiuso ieri a 100,80 euro al Megawattora (+4,6%). Tanto paga lo Stato, e gli operatori lo hanno capito benissimo. E non è finita: anche la CO2 continua a correre, ormai a 82 euro/tonnellata, un aggravio che colpisce soprattutto le imprese non sussidiate, cioè quelle italiane e degli altri Paesi che non possono permettersi analoghi interventi pubblici. Ora la CO2 pesa per circa 33 euro al Megawattora sul prezzo spot dell’energia elettrica. Il grande esperimento verde tedesco è fallito, ha demolito la capacità di generazione, ha aumentato i costi, ha esposto il sistema ai blackout. E oggi Berlino, per salvarsi, fa quello che proibiva agli altri, cioè usa sussidi pubblici per proteggere la propria industria, lasciando gli altri Paesi a cavarsela da soli. Prima ha imposto all’Europa un modello energetico irrealistico, poi, quando quel modello ha iniziato a crollare, ha attivato la forza fiscale dello Stato per coprire i buchi. Ora il problema della Germania non è più essere green, ma avere abbondanza di energia a prezzi ragionevoli per restare a galla. La certificazione che il Green deal è morto e sepolto.Senza sussidi statali il sistema energetico europeo, per come è stato preso a martellate, non sta più in piedi. Non regge né dal punto di vista energetico né dal punto di vista industriale. Chi può permettersi di spendere come la Germania cerca di metterci una toppa, chi non può resta schiacciato. Del resto, il trattato sull’Unione europea è chiaro, evocando un’«economia fortemente competitiva» e aprendo la porta alla competizione tra Stati. Per salvare sé stessa la Germania non guarda in faccia a nessuno, neppure quando è vittima di sé stessa. Forse un Paese come l’Italia dovrebbe iniziare a imparare dalla storia.