2025-11-16
A Bruxelles tengono su l’elmetto. Però cominciano a scaricare Kiev
Nella Commissione Ue si deplora il livello «rivoltante» di corruzione in Ucraina. Lo scandalo mazzette rafforza la posizione di Orbán e il veto belga sull’uso degli asset russi. Kallas invece rimane coi paraocchi.In Europa faticano ad ammetterlo e c’è pure chi - tipo Kaja Kallas, che smania per farci indossare gli elmetti - tiene su i paraocchi. Ma la verità è che lo scandalo delle mazzette in Ucraina ha rotto qualcosa nell’idillio tra Kiev e Bruxelles. Con l’opinione pubblica già stressata dall’ossessiva evocazione di un grande conflitto contro la Russia, messa di fronte alla prospettiva di un riarmo a tappe forzate, anche al prezzo della macelleria sociale, diventa complicato giustificare altre liberali elargizioni a Volodymyr Zelensky, con la storiella degli eroi che si battono anche per i nostri valori.Venerdì, una portavoce della Commissione europea, Paula Pinho, ha dovuto ammonire l’alleato: «L’Ue mantiene una politica di tolleranza zero nei confronti della corruzione». E una fonte anonima, citata da Politico, che definiva «rivoltante» la «corruzione endemica» nel Paese invaso, confermava che l’esecutivo di Ursula von der Leyen avrebbe dovuto «di sicuro riconsiderare il mondo in cui spende» i fondi per il settore energetico ucraino. Al tempo stesso, i sostenitori della resistenza si sono mostrati preoccupati di non infierire troppo, per evitare di dover dare ragione agli scettici della crociata a Est. In Europa funziona così: la verità si dice a porte chiuse, oppure non si dice affatto, per paura che la gente si accorga di essere stata presa in giro.I presunti putiniani infiltrati nel blocco occidentale, però, ora hanno le carte in regola per rivendicare il loro buon senso. Qualche giorno fa, Viktor Orbán, su X, è stato intransigente: «L’illusione dorata dell’Ucraina sta cadendo a pezzi», ha scritto. «È stata svelata una rete di mafia di guerra con innumerevoli legami con Zelensky. Questo è il caos nel quale l’élite di Bruxelles vuole riversare il denaro dei contribuenti europei, dove tutto ciò che non si spara al fronte finisce nelle tasche della mafia di guerra. Follia». Ieri, il premier ungherese, in vista del voto di primavera, ha inaugurato un tour elettorale che sarà incentrato sulla questione ucraina: l’«Anti-war roadshow» ha preso il via da Gyor. Non è solo folklore, perché le fratture tra Stati membri - e dalla parte dei magiari bisogna collocare anche la Slovacchia di Robert Fico e la Repubblica ceca, dove è tornato al governo Andrej Babis - sono destinate a ripercuotersi in Consiglio.Nel vertice dei capi di Stato, così, si rafforza la posizione del Belgio sulla confisca degli asset russi immobilizzati. La Von der Leyen, che venerdì ha visto il premier Bart de Wever, preme affinché cadano i veti sull’utilizzo dei beni congelati nella società Euroclear, con sede nella capitale belga, per destinarli a Kiev. Dal canto suo, il Belgio teme le conseguenze del blitz: valanghe di cause, rappresaglie, effetto deterrente sul futuro ingresso di capitali in Europa. Quale forza e credibilità hanno adesso gli ucraini, per pretendere si porti avanti l’operazione che frutterebbe loro ancora centinaia di miliardi di euro? E chi lo spiega, alle persone, che dovranno rischiare conseguenze economiche pesanti, pur di continuare a finanziare la nazione in cui gli oligarchi del cerchio magico del presidente approfittano di una tragedia, per incassare stecche e farsi i bagni d’oro?Vengono corroborate pure le perplessità più volte espresse da Donald Trump, rispetto alla destinazione dei finanziamenti americani. Il tycoon non ha nascosto la sua irritazione per l’atteggiamento ondivago e inconcludente di Vladimir Putin, però non ha mai sbloccato la consegna di missili Tomahawk per Kiev. Ha introdotto pesanti sanzioni sul greggio russo, ma ieri il Tesoro Usa ha attivato una deroga temporanea per le attività di Lukoil in Bulgaria, dopo che la Germania sia era detta sicura che avrebbe ricevuto un analogo salvacondotto per il ramo tedesco di Rosneft.A breve capiremo se la Commissione Ue farà buon viso a cattivo gioco, se si accontenterà del maquillage di Zelensky, il quale, ieri, ha lanciato il piano per la riorganizzazione delle aziende statali dell’energia; oppure se, benché non sia disposta a calcare la mano, voglia fermare la giostra degli aiuti a pioggia all’Ucraina. Il totale delle sue erogazioni, finora, ha superato i 187 miliardi.Di sicuro, a Bruxelles qualcuno rifiuterà di mollare l’osso. Ieri la Kallas - la cui Estonia ha stanziato 3,5 milioni per far comprare sistemi Starlink a Kiev - in un videomessaggio per un evento della Cisl a Roma, è tornata a pontificare: «L’Europa deve parlare in un linguaggio che la Russia capisca: quello della forza. È per questo», ha insistito, «che facciamo quello che facciamo per sostenere l’Ucraina politicamente e finanziariamente». Dopodiché, è arrivata l’immancabile tirata su «attacchi ibridi, incursioni di droni e tentativi deliberati di destabilizzare le nostre democrazie. Non possiamo permettere», ha predicato la Kallas, «che questo sia il precursore di qualcosa di molto peggio». L’adagio è il solito: «Se vogliamo la pace, dobbiamo prepararci alla guerra». L’importante è che, a furia di prepararci, la guerra non finiamo per farla davvero.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
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