2022-06-21
Anche la neuroscienza è divenuta un dogma
Per gli studiosi non c’è esperienza umana, emotiva, cognitiva, motoria che non «passi» dal cervello. Tutto viene spiegato in termini di evoluzione neurale. Un paradigma curioso, ma anche aberrante, somigliante a una inquietante idolatria di sinapsi e neuroni.Le rivoluzioni, o meglio i «cambi di paradigma», sono una costante nella storia delle scienze: l’uomo-macchina di Julien Offray de La Mettrie riduceva l’organismo umano - e ogni organismo - a un complicato meccanismo (sulle basi, peraltro, della rivoluzione cartesiana); nella fisica del tardo Novecento non c’è fenomeno che non venga letto in termini quantici, è la fisica quantistica a mangiarsi tutto, nel domino della fisica. Risalendo al Grand Siècle, fu il calcolo differenziale a rivoluzionare la matematica, e con la matematica l’intero comparto fisico-matematico. Quanto all’ambito umano, alle «sciences de l’homme», non c’è dubbio che l’esplorazione del cosiddetto «inconscio» abbia modificato alla radice la lettura dei comportamenti umani, da quella più scientificamente sofisticata a quella ordinaria (non diremmo che abbiamo fatto un certo gesto «inconsciamente» se un a priori freudiano non agisse - dovremmo dire «inconsciamente» - nelle nostre valutazioni ordinarie). Nel secolo XXI è la volta delle neuroscienze, nuova clavis universalis in fase di tumultuosa espansione: l’accoppiata neuroscienze-evoluzionismo sembra il paradigma vincente, definitivo. Non c’è niente che non venga «spiegato» in termini di evoluzione neurale (ossia: il mondo ridotto al cervello, e il cervello a un prodotto dell’evoluzione). Sembra l’uovo di Colombo: non c’è esperienza umana - emotiva, cognitiva, motoria - che non «passi» da lì, dalla massa cerebrale, e allora come non cercare lì la chiave di tutto?il dito e la luna Effettuando la sempre utile mossa del cavallo, con un leggero spostamento laterale, questa egemonia neuronale - e quindi neuroscientifica - ha qualcosa di curioso e di aberrante. Per metterla in forma molto semplice, è la vecchia storia del dito e della luna: di chi si ferma a guardare il dito dimenticando la luna. O meglio, il cervello è una raffinatissima antenna, in grado di captare ed elaborare segnali provenienti da ogni direzione: ma l’antenna non è il segnale, la radiofrequenza catturata da un’antenna radio non è prodotta dall’antenna, che la cattura e la traduce. E se il messaggio non fosse contenuto nella radiofrequenza, l’antenna non avrebbe niente da catturare (anche l’occhio, la più mirabile delle antenne, lavora così: se non ci fosse niente da vedere, là fuori, l’occhio non potrebbe captarlo, e così via). L’assolutismo neuroscientifico sembra cadere insomma nel più banale degli equivoci: come se il cervello fosse non già un’antenna, ma il luogo stesso dove i significati vengono prodotti, e poiché il nostro mondo è un mondo di significati, il cervello diventerebbe il luogo in cui il mondo stesso viene prodotto. Niente cervello, niente mondo. L’equivoco è palese: non è il cervello a produrre le leggi fisiche, non è il cervello a produrre le forme, le strutture. Allarghiamo il discorso: il paradigma neuroscientifico non è che l’ultima, la più aggiornata versione del paradigma cartesiano - il mondo è il «mio» mondo, è l’insieme delle mie rappresentazioni mentali - paradigma destinato a evolversi, di lì a un secolo e mezzo, nel nuovo e famigerato (oggi) paradigma idealistico: il mondo è una costruzione della mente (dello «spirito»), non nella forma soft teorizzata da Kant (idealismo critico), dove la funzione della mente è di costruire il mondo partendo da fasci di percezioni che provengono comunque da «là fuori», ma nella forma hard di un riduzionismo mentale integrale, dove non c’è spazio per qualcosa che non sia mentale.teorie Abbiamo insomma una sequenza storica coerente di paradigmi, che scandiscono la marcia trionfale del Soggetto moderno: quello cartesiano (il mondo «è» le mie rappresentazioni), quello kantiano e poi idealistico (il mondo è «costruito» della mente); quello idealistico-tedesco corretto dalla «scoperta» dell’inconscio (il mondo è costruito dalla mente «e» dall’inconscio), e infine il paradigma neuroscientifico, che fonde la tradizione idealistica con quella positivistica, ripensando la mente come cervello, e mettendola così sotto una lente d’ingrandimento di natura anatomico-biochimica. modifiche Le funzioni cognitive diventano processi neuronali. E poiché neuroni e sinapsi sono empiricamente accertabili, sono «oggetti», dati positivi, sarà anche possibile (ecco il presunto balzo in avanti) modificarli, e modificare così il mondo stesso. Peccato che il mondo, o anche la realtà, là fuori, sia piuttosto indifferente a questo accanimento auto-referenziale. Perché le forme, i significati, le relazioni, se vogliamo gli archetipi, non sono affatto una produzione neuronale, ma «sono», e il privilegio dell’umana condizione è di poterli captare, grazie alla formidabile antenna del cervello: che resta però una semplice antenna, e sarebbe quasi comico scambiarla per il messaggio che l’antenna è chiamata a captare. Non sono certo neuroni e sinapsi a «produrre» il bosco e il convento di Monteripido, e la vicina torre merlata del Cassero, che brillano là fuori, in questo momento, nella tersa luce mattutina di giugno. Se si vuole, è una forma raffinatamente «scientifica» di idolatria: nel senso che l’idolo viene scambiato per la potenza che rappresenta. Il complesso delle neuroscienze è fondato su una dogmatica idolatria del cervello, abusivamente «amputato» dalla realtà (nei suoi molteplici piani) di cui è l’araldo. Come poi questo cervello-messaggero sia diventato ciò che è, è un altro discorso (e a cadere dalla torre sarebbe, questa volta, il paradigma darwiniano). Resta il fatto che il riduzionismo neuronale si condanna a leggere un complicato messaggio in codice, nella ridicola supposizione che esista soltanto il codice, e non il messaggio. Come pensare che esista solo il dito, e non la luna.
Jose Mourinho (Getty Images)