2019-10-19
Ai registi del Sinodo i soldi degli abortisti
La Repam ha svolto un ruolo fondamentale nella progettazione e realizzazione del vertice panamazzonico in Vaticano. Ha ricevuto finanziamenti milionari dalla Fondazione Ford, molto impegnata a favore dell'Ivg e dell'ideologia di genere.Il denaro dell'Obolo per il petrolio? Finito subito nel fondo di Mincione. La lettera del consulente a monsignor Angelo Becciu per il conferimento in Athena capital.Lo speciale contiene due articoliL'attivista brasiliano Bernardo Küster in questi giorni ha sollevato il caso del Cimi, Consiglio missionario dei popoli indigeni, che ha ricevuto finanziamenti milionari dalla Fondazione Ford, creata nel 1936 dall'imprenditore automobilistico Henry Ford e da suo figlio Edsel. Questo Consiglio missionario, diretto da monsignor Roque Paloschi, vescovo di Porto Velho in Brasile, fa parte del Pan-amazon ecclesial network (Repam), un ente creato dalla Conferenza episcopale dell'America latina (Celam) e dalla Caritas. La Repam ha svolto un ruolo fondamentale nella progettazione e realizzazione del sinodo panamazzonico in corso in Vaticano e che si chiuderà il prossimo 27 ottobre.Giovedì scorso, nel consueto briefing per i lavori del sinodo, il giornalista del National catholic register, Edward Pentin si è rivolto proprio al vescovo Roque Paloschi chiedendo conto di questi finanziamenti per circa 2 milioni di dollari provenienti dalla Fondazione ed erogati a vari livelli in un periodo che va dal 2006 al 2015. Il problema, ha sottolineato Pentin, riguarda il fatto che la Fondazione Ford è impegnata da decenni nella battaglia a favore dell'aborto e per l'ideologia di genere, «a cui la Chiesa si oppone fermamente». La domanda rivolta a Paloschi è stata diretta: «Potrebbe dirci perché la sua organizzazione, che fa anche parte della conferenza episcopale brasiliana, sta accettando finanziamenti da tale fondazione? E uno di questi fondi viene utilizzato per finanziare Repam e quindi questo Sinodo?».Il vescovo non ha negato i finanziamenti e si è dimostrato completamente indifferente alla questione morale sollevata dal vaticanista. In altre parole, Paloschi è sembrato eludere la domanda e ha, invece, ribadito che tutto è alla luce del sole, preoccupandosi della questione formale. «Conosciamo già i numeri che appaiono su internet», ha detto Paloschi, «sono pubblici e sono sottoposti a revisione contabile interna ed esterna da parte del governo brasiliano». Non ha negato il legame tra il Cimi e «i vescovi brasiliani» e ha specificato che non c'è alcun disaccordo nel lavorare insieme, «ma non ci scambiamo risorse». Che i conti siano a posto, ha riferito l'attivista brasiliano Küster al National catholic register, «non significa nulla perché il problema è che ciò sarebbe disapprovato dalla dottrina della Chiesa». Comunque di soldi dalla Fondazione Ford ne sono arrivati tanti, anche ad altre organizzazioni dell'Amazzonia che lavorano con il Repam. Ci sono, infatti, quasi 4 milioni di dollari arrivati dal 2007 al 2018 all'organismo di Coordinamento delle organizzazioni popolari indigene del bacino amazzonico (Coica) e circa 1,5 milioni di dollari assegnati all'organo di coordinamento delle organizzazioni indigene dell'Amazzonia brasiliana (Coiab). La finalità e l'utilizzo di questi contributi non è chiara.Proprio su questa mancata trasparenza si concentrano le obiezioni dell'attivista brasiliano Küster, da cui tutto è partito. «Il finanziamento non è trasparente», ha detto ancora Küster al National catholic register. «I conti del Cimi non vengono pubblicati, non pubblica i suoi resoconti finanziari» e lo stesso, dice ancora, vale per il Repam. Tuttavia è ormai acclarato che sono diversi i casi di organizzazioni legate alla Chiesa che percepiscono finanziamenti da enti che promuovono politiche in contrasto con la dottrina morale. Anche leggendo il data base dei contributi concessi dalla stessa Fondazione Ford si nota che soldi sono arrivati anche al Catholic relief service degli Stati Uniti, fondato dalla conferenza episcopale americana e che fa parte di Caritas internazionale. In alcuni casi poi si è parlato addirittura di campagne in contrasto con la dottrina morale condotte direttamente da organismi cattolici. Nel 2017 lo scandalo che ha sconquassato l'ordine dei Cavalieri di Malta era partito da presunte partecipazioni del Malteser International, l'organismo dell'Ordine che si occupa di soccorso internazionale, a progetti sanitari per la prevenzione dell'Aids e per i servizi di salute riproduttiva che includevano la distribuzione di contraccettivi. Il caso era stato sollevato per una campagna in Myanmar, ma un rapporto all'origine della crisi dell'Ordine parlava anche di altri progetti in Kenya e Sud Sudan. Al di là delle vicende dei Cavalieri di Malta, resta il dubbio che effettivamente ci siano progetti e campagne che vedono impegnati direttamente o indirettamente organismi cattolici che ricevono fondi da chi promuove aborto, contraccezione e gender. È il grido più volte sollevato dai vescovi africani circa le pressioni che accompagnano gli aiuti economici internazionali concessi ai loro Paesi, a volte anche da parte di organismi legati a chiese dell'Europa. In cambio degli aiuti si chiede il semaforo verde per politiche di controllo della natalità o promozione del matrimonio omosessuale. Si tratta di quelle «colonizzazioni ideologiche» più volte denunciate da papa Francesco. Il caso della Fondazione Ford è solo un altro capitolo di una storia controversa. Così risuonano ancora le parole che Benedetto XVI pronunciò proprio davanti ai Cavalieri di Malta, in uno dei suoi ultimi discorsi. Era il 9 febbraio 2013, e di lì a poco il Papa avrebbe sconvolto la Chiesa con la sua rinuncia. «Operate», disse, «con rinnovato ardore apostolico, sempre in atteggiamento di profonda sintonia con il magistero della Chiesa».Lorenzo Bertocchi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ai-registi-del-sinodo-i-soldi-degli-abortisti-2641019100.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-denaro-dell-obolo-per-il-petrolio-finito-subito-nel-fondo-di-mincione" data-post-id="2641019100" data-published-at="1758063020" data-use-pagination="False"> Il denaro dell'Obolo per il petrolio? Finito subito nel fondo di Mincione «Sono orgoglioso di aver salvato 147 milioni di euro del Vaticano che loro erano pronti a bruciare in Angola, altro che finanziere oscuro!». Bisogna riprendere le parole che Raffaele Mincione ha consegnato al Corriere la scorsa settimana, per capire che l'inchiesta della magistratura vaticana sugli investimenti finanziari della Segreteria di Stato ha ancora molto da raccontare. Perché in un documento visionato dalla Verità - datato 28 gennaio 2013 e inviato dal consulente targato Credit suisse, Enrico Crasso, a monsignor Angelo Becciu (all'epoca sostituto per gli affari generali della Segretaria) - compare il fondo Athena capital fund, che sarebbe stato fondamentale nell'acquisto della quote della Falcon oil nel blocco petrolifero offshore in Angola. In sostanza, il fondo di Mincione era da subito coinvolto nell'investimento africano, pari a 250 milioni di dollari e non è subentrato dopo per l'acquisto dell'immobile a Londra, valutato invece 200 milioni di euro, provenienti dall'Obolo di San Pietro. Nella missiva riservata, infatti, Crasso è molto chiaro con Becciu. Oltre a ricordare la lettera del 7 gennaio 2013, «con la quale Ella comunica l'intenzione di codesta Segreteria di Stato a partecipare all'operazione proposta dalla società Falcon oil, […] per portare a regime produttivo un blocco petrolifero offshore in Angola denominato 15/06. Tale impegno è stimato complessivamente in 250 milioni di dollari», il consulente di Credit suisse spiega i passaggi dell'affare, dalla costituzione del fondo comune di 500.000 dollari per la due diligence alla definizione di una struttura di finanziamento per ricevere congrua remunerazione del capitale investito». Ma è a pagina 2 che Crasso - memore di quando l'operazione fu presentata in Vaticano il 22 novembre precedente dalla Capital investments company - ricorda di come siano state promosse varie azioni volte all'esecuzione del deal. Al primo punto «c'è la creazione di un fondo ad hoc di diritto lussemburghese, denominato Athena capital commodities fund, specifico comparto della Sicav di diritto lussemburghese Athena capital fund». Si tratta del fondo di Mincione, che molto probabilmente era a conoscenza dell'investimento petrolifero del Vaticano. Del resto l'affare con l'Angola era ghiotto. Si tratta di un giacimento su cui lavora da qualche anno l'Eni. Il nostro colosso petrolifero è operatore con una quota del 35%, mentre Sonangol Ep è la concessionaria del blocco. Gli altri partner della joint venture erano Sonangol pesquisa e producao, Ssi Fifteen limited e Falcon oil Tenere Angola Sa (con il 5%). Il Vaticano si sarebbe inserito in quest'ultima quota, in un giacimento che si prevede che quest'anno arrivi alla produzione di 170.000 barili al giorno. Crasso, che in quegli anni ha lavorato con un altro manager Credit suisse, Alessandro Noceti , aveva individuato lo studio legale londinese che avrebbe seguito l'operazione angolana, ovvero SjBerwin. Non solo. Era stato anche individuato uno studio legale a Luanda, Fbl advogados e era già stato conferito mandato alla società Nardello & co, specializzata in indagini per evitare qualsiasi rischio reputazionale. In sostanza era tutto pronto, tanto che alla fine Crasso chiedeva a Becciu di versare i 500.000 euro con solerzia. La risposta del monsignore arriva a stretto giro di posta. Si mettono a disposizione i soldi richiesti. Qualcosa però va storto al di là dell'intervento di monsignor Alberto Perlasca. Alla fine si decide di virare sull'investimento londinese. Ora sarà il tribunale del Vaticano, con i promotori Gian Piero Milano e Alessandro Diddi, a dipanare questa matassa dove si ipotizzano, secondo L'Espresso, «gravi indizi di peculato, truffa, abuso d'ufficio e autoriciclaggio» ma anche «appropriazione indebita e favoreggiamento» secondo la relazione del revisore Alessandro Cassinis. La Verità per capire come sia nata la scelta del palazzo di Sloan Square ieri ha contattato anche l'ex consulente Credit suisse, Alessandro Noceti. Per motivi di riservatezza ha rinviato. Claudio Antonelli e Alessandro Da Rold