2022-03-24
Agonia di Mariupol e timori di bombe vietate
La città portuale è ormai prossima a cadere. I separatisti avrebbero anche sequestrato un convoglio umanitario di undici bus. Distrutto il museo Kuindzhi. Il sindaco di Irpin denuncia l’utilizzo di ordigni al fosforo da parte dei russi. Ma non ci sono prove.Mariupol è ormai prossima a cadere, nonostante una strenua resistenza che tenta di salvare il salvabile. Il 90 per cento degli edifici pubblici e privati, però, è ormai raso al suolo, come ben evidenziato dalle immagini satellitari. Da quel che risulta, le forze separatiste russe del Donbass hanno guadagnato posizioni in città e, secondo il capo dell’autoproclamata repubblica separatista, Denis Pushilin, controllerebbero oltre la metà del territorio dell’importante centro portuale. La situazione umanitaria, che già la Croce Rossa aveva definito «apocalittica», resta grave. La guerra si combatte infatti, ormai, anche sul fronte degli aiuti umanitari. Le forze russe avrebbero sequestrato un convoglio umanitario di undici autobus diretti a Mariupol. I mezzi, vuoti, stavano cercando di andare a trarre in salvo gli ucraini in fuga dalla città ormai spettrale. I conducenti però sono stati sequestrati dai militari russi e il presidente ucraino Zelensky ne chiede ora la liberazione. Mentre sono dunque centinaia di migliaia i civili intrappolati in città, spesso senza acqua né riscaldamento e con il cibo che inizia a scarseggiare, anche le risorse culturali ucraine sono in pericolo. Un raid aereo ha distrutto il museo intitolato al pittore Arkhip Kuindzhi, dove erano conservati i dipinti di diversi artisti ucraini. Le opere all’interno dell’edificio, come denuncia il Consiglio comunale di Mariupol, erano circa duemila tra sculture, dipinti e altre creazioni. Tre noti quadri di Kuindzhi, fortunatamente, pur facendo parte della collezione del museo, non si trovavano al suo interno e quindi sono in salvo. Due notizie sono particolarmente preoccupanti per le sorti di questo conflitto e fanno intravedere cupi scenari futuri. La prima arriva dalla Bielorussia. Avevamo raccontato ieri di come Minsk avesse accusato alcuni diplomatici di Kiev di essere spie. A poche ore da quei fatti, la Bielorussia ha ordinato l’espulsione dei diplomatici ucraini, che dovranno lasciare l’ambasciata a Minsk entro 72 ore, e ha deciso di chiudere il consolato ucraino a Brest. L’ambasciata ucraina continuerà a lavorare, ma solo con l’ambasciatore e altri quattro dipendenti. «Eravamo a conoscenza», ha dichiarato il portavoce del ministro degli esteri di Minsk, Anatoly Glaz, «di attività di alcuni dipendenti dell’ambasciata ucraina e del consolato generale, incompatibili col loro status diplomatico e che si stavano intensificando». La rottura tra Minsk e Kiev spaventa, perché potrebbe portare vigore a quelle voci dell’intelligence Nato secondo le quali la Bielorussia sarebbe pronta a entrare in guerra a fianco della Russia. Il «casus belli», insomma, vero o pretestuoso, verrebbe servito su un piatto d’argento. La seconda novità, tutta da accertare ma che comunque potrebbe favorire l’escalation, è una denuncia che arriva dal sindaco di Irpin, Oleksandr Markushin. Secondo il primo cittadino, le forze russe avrebbero usato, negli attacchi della scorsa notte, bombe al fosforo bianco. Questo non sarebbe avvenuto solo nella stessa Irpin, ma anche a Hostomel. In seguito, il vicecapo della Polizia di Kiev ha diffuso un video, asserendo che munizioni al fosforo sarebbero state usate contro la città di Kramatorsk, nell’est del Paese e a Popasna, nella regione del Lugansk. Le bombe al fosforo, vietate dalla Convenzione di Ginevra del 1980, pur non rientrando ufficialmente nella categoria delle armi chimiche sono a queste affini. Il loro principio di azione è il fosforo bianco, sostanza gravemente tossica per ingestione e inalazione. L’effetto, abbastanza immediato, è quello di gravissime ustioni, estremamente dolorose. Se il fosforo arriva a contatto con la pelle, provoca la necrosi dei tessuti. Necrosi che può arrivare fino alle ossa. Questa seconda notizia potrebbe costituire un «casus belli» invece per la Nato, poiché Biden nei giorni scorsi aveva lanciato l’allarme sul possibile uso di armi chimiche da parte di Mosca, minacciando azioni concrete qualora ciò fosse avvenuto. Come si ricorderà, però, il Cremlino aveva a sua volta denunciato il possesso di armi chimiche da parte dell’Ucraina e il loro possibile utilizzo. Tra accuse reciproche, sospetti e dubbi, le prove che tale tipologia di armi sia stata in qualche modo utilizzata non ci sono. La questione degli impianti chimici e nucleari e la loro sicurezza resta comunque in primo piano. L’Oms, come dichiarato dal suo direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, «sta lavorando con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica e continua a fare appello a tutte le parti per ridurre al minimo il rischio di un incidente nucleare o atomico, i cui effetti sarebbero catastrofici per la salute umana». Intanto è giallo su uno scambio di prigionieri che si sarebbe verificato tra Mosca e Kiev. Secondo i russi, la liberazione e «riconsegna» dei prigionieri sarebbe avvenuta. Kiev, invece, si è affrettata a smentire questa circostanza. L’unico scambio riconosciuto dagli ucraini è stato quello relativo alla liberazione del sindaco di Melitopol che era stato sequestrato dai russi e rilasciato dopo apposite trattative.