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2018-10-18
A furia di imporci più Europa siamo diventati i più euroscettici. E Bruxelles continua a punirci con nuove minacce
ANSA
Gli italiani sono euroscettici, e il loro sentimento di dubbio nei confronti delle istituzioni comunitarie e dell'Unione cresce sempre di più. L'avreste detto? Forse. Ma in ogni caso, sappiate che questa notizia - detta in questi termini vagamente brutali - non la troverete sugli altri giornali. Il paradosso fantastico dei comunicati stampa - infatti - sono titoli ricapitolativi del tenore di questo, diffuso proprio ieri per presentare i risultati dell'ultima indagine di opinione condotta in tutto il continente: «Eurobarometro: cresce l'apprezzamento per l'Unione Europea nella maggior parte degli Stati membri"» Bene, benissimo.
Poi vai a vedere la tabella allegata e scopri subito due notizie che ovviamente quella sintesi non racconta. E cioè che 1) il Paese in cui questo apprezzamento è più basso è l'Italia. E subito dopo che 2) in Italia il numero di quelli che non apprezzano l'Unione è addirittura superiore a quello di coloro che l'apprezzano. E allora, con un punto di curiosità in più te lo vai a cercare il dettaglio di quella tabella, che come avrete intuito non è inserita nel comunicato (dove il numero dei non apprezzanti è pudicamente omesso), e che invece si trova in un link specifico sul sito del Parlamento Europeo.
Dovete sapere anche che «Eurobarometro» è una indagine ufficiale pagata dall'Unione, e persino vidimata dallo stesso parlamento, per bocca del suo presidente Antonio Tajani, con tanto di entusiastica dichiarazione: «In quasi tutta Europa cresce l'apprezzamento per l'appartenenza all'Unione e per i benefici che ne derivano, con livelli record dal 1983». Bene, benissimo. Quasi. È quindi ovvio che quel dato di malessere profondo sia occultato dall'enfasi, mentre è clamoroso che sia stato rilevato proprio da questa indagine. È divertente che dentro la splendida elusione di quel «quasi» Tajani ci nasconda il suo Paese. E che solo dopo qualche entusiastica riga aggiunga qualche parola per affrontare il problema segnalato da quell'avverbio: «Non possiamo certo cullarci sugli allori. In alcuni Stati membri, tra cui l'Italia, la percentuale di chi pensa che l'appartenenza all'Ue sia positiva è ancora troppo bassa».
Se però li leggi, quei numeri, fai un salto sulla sedia. E il titolo corretto (almeno secondo l'antica regola per cui la notizia non è mai il cane che morde l'uomo, ma viceversa), andrebbe formulata così. È tanto grande il malessere degli italiani nei confronti dell'Europa, che interrogati su questo tema, rispondono a maggioranza in questo modo. Ma prima di tutto la domanda, che in sé stessa è già un capolavoro, un punto di incontro sublime tra demoscopia e imbarazzata ufficialità: «Tutto considerato», chiede l'Eurobarometro, «lei ritiene che il nostro Paese abbia tratto oppure no dei vantaggi dall'appartenenza all'Unione europea?». E allora immaginatevi la scena: siete dei cittadini italiani, già tendenzialmente reprobi, vi chiama l'oste, cioè l'Eurobarometro, vi chiede pudicamente se «tutto considerato» il suo vino sia buono. E i reprobi rispondono: «Non ho tratto vantaggi», nella percentuale incredibile del 45%. Quelli che scelgono l'opzione «Ha tratto vantaggi» si fermano al 43%. Bene, benissimo. Tutto considerato. Quindi ecco che la notizia deve essere ribaltata: non solo gli italiani sono quelli che in maggior numero rispetto agli altri cittadini dei Paesi membri sentono l'Europa come una istituzione matrigna. Ma addirittura la maggior parte dei cittadini italiani condivide questo sentimento di sfiducia. Al punto da spingersi fino a dire all'oste (cioè quasi Tajani, cioè l'Eurobarometro, cioè l'Europa stessa) che «tutto considerato» pensano che quel vino in questi anni abbia fatto loro del male.
Andiamo allora alla tabella comparativa e cronologica, che è ancora più interessante: in Europa il 68% di cittadini pensano di aver tratto dei vantaggi, e questa percentuale - già apprezzabilmente alta - è addirittura in crescita di un punto negli ultimi quattro mesi. Mentre in Italia questa tendenza letteralmente si ribalta: coloro che hanno un giudizio negativo sono addirittura cresciuti del 4% tra aprile e settembre di quest'anno. Erano cioè una cospicua minoranza solo pochi mesi fa, e adesso sono diventati una maggioranza relativa.
Provate a immaginare se a fare questo sondaggio - senza «tutto considerato» - non fosse l'Eurobarometro, ma qualche sondaggista più spettinato. Il punto è che in un'altra tabella scopriamo che tra le ragioni di questo scontento gli italiani mettono in testa lo scetticismo sul contributo dell'Unione alla democrazia, e - soprattutto - sono convinti che l'Italia incida pochissimo sulle decisioni prese collettivamente. Questo barometro - dunque - non dovrebbe essere preso con trombetta e fanfara, levigato, smussato, modellato per far sparire il malessere, sopratutto dai difensori dell'Europa. Anzi, al contrario: proprio chi vuole salvare l'Europa dovrebbe capire che proprio davanti all'oste gli italiani raccontano la propria disillusione per una grande promessa tradita. Il disincanto per una favola che non è arrivata al lieto fine. Alla domanda su «credo che la mia voce abbia un peso» (ammirate il fideismo inoppugnabile con cui è formulata la domanda) gli italiani rispondono «no» al 72%. È un dato clamoroso.
Crediamo ancora nell'euro, dunque. Ma non all'Europa. Crediamo alla strumentalità, e all'utilità, ma non più all'ideale e all'architettura che lo sostiene. Ci fossero Altiero Spinelli e Konrad Adenauer farebbero un salto sulla sedia. Purtroppo abbiamo gli Juncker e i Moscovici. E quindi, «tutto considerato», gli osti sono «quasi» soddisfatti.
Oettinger fa marcia indietro: «La bocciatura alla manovra italiana è una mia opinione personale»
Ve lo ricordate Günther Oettinger? È l'arcigno commissario europeo tedesco, compagno di partito di Angela Merkel, che a maggio scorso, evidentemente insoddisfatto dei risultati del 4 marzo, si era espresso così: «La prossima volta i mercati insegneranno agli italiani a votare». Un sincero democratico, insomma: gli elettori votano, e poi qualcun altro stabilisce se hanno votato bene o no.
E ve lo ricordate lo Spiegel? È il settimanale tedesco che, la scorsa primavera, prima ci ha dato degli «scrocconi» (a noi, a un Paese fondatore dell'Ue, a un contribuente netto, cioè a uno Stato che dà all'Unione più di quanto prenda), e poi ha pubblicato in copertina una vignetta con uno spaghetto annodato come un cappio, con l'affettuoso titolo «Ciao amore! L'Italia si autodistrugge e trascina l'Europa con sé».
Ecco, ora unite i due ricordi: nel senso che ieri Oettinger ha dato un'intervista allo Spiegel online, sostenendo che la Commissione Ue respingerà la legge di bilancio italiana. E lo Spiegel ha aggiunto che una lettera del commissario Pierre Moscovici dovrebbe arrivare a Roma giovedì o venerdì.
Tutto questo a Borse aperte, con inevitabile impennata dello spread nel primo pomeriggio, dopo una mattina ben sotto quota 300. Un paio d'ore dopo, a sasso tirato, Oettinger ha cercato di nascondere la mano, e ha diffuso una mezza (e patetica) smentita precisando di non aver detto che una decisione della Commissione ci sia già stata, ma che la sua è un'opinione: «È mia personale opinione che, sulla base delle cifre, è molto probabile che dovremo chiedere all'Italia di correggere la manovra. Nei prossimi due giorni ci saranno ulteriori colloqui informali con il governo italiano per trovare una soluzione e assicurare che gli impegni presi siano rispettati. La Commissione dovrà esprimere un giudizio formale sulla legge di bilancio entro due settimane». Traduzione: non abbiamo già deciso di bocciarvi, ma io penso che sia probabile che lo faremo, e nel frattempo vi facciamo ballare sui mercati.
Ricapitoliamo: il governo di uno Stato membro invia la legge di bilancio lunedì notte (entro il termine stabilito del 15 ottobre); non c'è ancora stata nessuna riunione della Commissione; eppure già ieri arriva un preannuncio di reiezione. Tutto questo dopo settimane di insulti (sempre a Borse aperte) di Jean Claude Juncker, Pierre Moscovici, Jyrki Katainen, tutti commissari Ue in articulo mortis, potenziali disoccupati dal 26 maggio prossimo, privi di qualunque legittimazione politica. La sensazione è che davvero gli attuali membri della Commissione abbiano deciso di agire da pasdaran, per non dire da agenti provocatori, per creare incidenti sui mercati, e per rendere drammatici i giorni in cui Moody's, Standard & Poor's e Fitch dovranno ridare il loro rating sui titoli italiani.
La cosa che rende ancora più grave il comportamento dei membri uscenti della Commissione è che - di fatto - stiano parlando solo a nome di sé stessi. Sabato, da Bali, il Presidente della Bce Mario Draghi aveva richiamato tutti (in primo luogo loro) alla moderazione e a un ragionevole negoziato, ricordando che molte volte vi sono stati scostamenti dai parametri degli Stati membri. Da Berlino e dal governo tedesco non è venuta una sola parola: e con tutti i guai che ha in casa la Merkel, non si vede perché aprire un altro fronte con l'Italia. Perfino Parigi, sempre aspra con noi, nelle ultime ore ha scelto toni più distesi, ben consapevole della manovra extralarge decisa dal governo francese (oltre che del «record» pregresso: dieci anni di allegro sforamento francese dei parametri Ue, dal 2007 al 2016).
Insomma, Parigi decelera, Berlino si ferma, Francoforte invita alla cautela, e invece i commissari di Bruxelles vanno in corsia di sorpasso contro di noi. Situazione francamente curiosa, oltre che grave, resa addirittura surreale dal fatto che oggi sarà a Roma proprio Moscovici, uno dei più scatenati contro di noi, l'uomo della lettera preannunciata da Oettinger, per capirci. L'occasione gli è offerta dal dialogo bilaterale italo-francese organizzato da Aspen sulla politica economica dell'Ue, ed è già annunciato anche un incontro con il ministro dell'Economia Giovanni Tria.
Ma attenzione: il tour romano di Moscovici non è finito. È infatti in calendario un colloquio con il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, e soprattutto una salita al Quirinale che ha destato notevoli perplessità, al punto che fonti della Commissione Ue si sono affrettate a derubricare tutto a una «visita di cortesia». A che titolo un Commissario europeo va a conferire con il capo dello Stato italiano, che a sua volta - secondo la nostra Costituzione - non è capo dell'esecutivo? E soprattutto: con che faccia un commissario Ue sale al Quirinale avendo già in tasca una lettera di censura contro l'Italia, preventivamente «volantinata» alla stampa dal suo collega Oettinger? Si vuole dare il senso di un avvertimento? O, peggio, di una manovra per scavalcare il governo?
È abbastanza intuitivo che, in condizioni come queste, un uomo come Francesco Cossiga avrebbe potuto avere la tentazione di affidare Moscovici a carabinieri e corazzieri, non certo per trattenerlo, ma per rispedirlo urgentemente a Bruxelles. Chi non si è fatto però intimidire è il premier Giuseppe Conte il quale, appena arrivato a Bruxelles per il Consiglio europeo (che ha all'ordine del giorno Brexit e migrazioni, non temi economici) ha affermato: «Non ci sono margini per cambiare la manovra, che è studiata molto bene». Conte ieri ha avuto un bilaterale con Angela Merkel e, presumibilmente oggi, avrà un confronto con il presidente francese Emmanuel Macron sul caso dei «rispediti» dalla Francia. A spingere perché il summit diventi un processo all'Italia è ovviamente l'apparato della Commissione.
Pesante anche Matteo Salvini: «Lancio un appello a Berlino, Parigi, Bruxelles: lasciateci lavorare, lasciateci occuparci degli italiani. Non stupiamoci se poi gli italiani diventano euroscettici». Luigi Di Maio: «Gli impegni saranno rispettati, ma non si può più morire di austerità». Invece, si è ancora una volta schiacciato sulla Commissione il presidente dell'europarlamento Antonio Tajani, di fatto aggregato alla linea Juncker-Oettinger-Moscovici: «L'Italia è in tempo per fare marcia indietro». E sulla bocciatura della manovra: «Mi auguro che non accada, ma il rischio è forte».
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Riduci
Nell'ingessato e istituzionale sondaggio commissionato dall'Unione gli italiani mostrano di essere i meno convinti dell'appartenenza comunitaria. Eppure Antonio Tajani e soci esultano: «Cresce il gradimento totale».Grottesco balletto del burocrate Günther Oettinger. Ai giornali annuncia la lettera di bocciatura della Commissione, poi fa marcia indietro: «Opinione personale». Giuseppe Conte al Consiglio europeo: «La manovra resta così». Francia e Germania non affondano il colpo.Lo speciale contiene due articoli.Gli italiani sono euroscettici, e il loro sentimento di dubbio nei confronti delle istituzioni comunitarie e dell'Unione cresce sempre di più. L'avreste detto? Forse. Ma in ogni caso, sappiate che questa notizia - detta in questi termini vagamente brutali - non la troverete sugli altri giornali. Il paradosso fantastico dei comunicati stampa - infatti - sono titoli ricapitolativi del tenore di questo, diffuso proprio ieri per presentare i risultati dell'ultima indagine di opinione condotta in tutto il continente: «Eurobarometro: cresce l'apprezzamento per l'Unione Europea nella maggior parte degli Stati membri"» Bene, benissimo. Poi vai a vedere la tabella allegata e scopri subito due notizie che ovviamente quella sintesi non racconta. E cioè che 1) il Paese in cui questo apprezzamento è più basso è l'Italia. E subito dopo che 2) in Italia il numero di quelli che non apprezzano l'Unione è addirittura superiore a quello di coloro che l'apprezzano. E allora, con un punto di curiosità in più te lo vai a cercare il dettaglio di quella tabella, che come avrete intuito non è inserita nel comunicato (dove il numero dei non apprezzanti è pudicamente omesso), e che invece si trova in un link specifico sul sito del Parlamento Europeo. Dovete sapere anche che «Eurobarometro» è una indagine ufficiale pagata dall'Unione, e persino vidimata dallo stesso parlamento, per bocca del suo presidente Antonio Tajani, con tanto di entusiastica dichiarazione: «In quasi tutta Europa cresce l'apprezzamento per l'appartenenza all'Unione e per i benefici che ne derivano, con livelli record dal 1983». Bene, benissimo. Quasi. È quindi ovvio che quel dato di malessere profondo sia occultato dall'enfasi, mentre è clamoroso che sia stato rilevato proprio da questa indagine. È divertente che dentro la splendida elusione di quel «quasi» Tajani ci nasconda il suo Paese. E che solo dopo qualche entusiastica riga aggiunga qualche parola per affrontare il problema segnalato da quell'avverbio: «Non possiamo certo cullarci sugli allori. In alcuni Stati membri, tra cui l'Italia, la percentuale di chi pensa che l'appartenenza all'Ue sia positiva è ancora troppo bassa».Se però li leggi, quei numeri, fai un salto sulla sedia. E il titolo corretto (almeno secondo l'antica regola per cui la notizia non è mai il cane che morde l'uomo, ma viceversa), andrebbe formulata così. È tanto grande il malessere degli italiani nei confronti dell'Europa, che interrogati su questo tema, rispondono a maggioranza in questo modo. Ma prima di tutto la domanda, che in sé stessa è già un capolavoro, un punto di incontro sublime tra demoscopia e imbarazzata ufficialità: «Tutto considerato», chiede l'Eurobarometro, «lei ritiene che il nostro Paese abbia tratto oppure no dei vantaggi dall'appartenenza all'Unione europea?». E allora immaginatevi la scena: siete dei cittadini italiani, già tendenzialmente reprobi, vi chiama l'oste, cioè l'Eurobarometro, vi chiede pudicamente se «tutto considerato» il suo vino sia buono. E i reprobi rispondono: «Non ho tratto vantaggi», nella percentuale incredibile del 45%. Quelli che scelgono l'opzione «Ha tratto vantaggi» si fermano al 43%. Bene, benissimo. Tutto considerato. Quindi ecco che la notizia deve essere ribaltata: non solo gli italiani sono quelli che in maggior numero rispetto agli altri cittadini dei Paesi membri sentono l'Europa come una istituzione matrigna. Ma addirittura la maggior parte dei cittadini italiani condivide questo sentimento di sfiducia. Al punto da spingersi fino a dire all'oste (cioè quasi Tajani, cioè l'Eurobarometro, cioè l'Europa stessa) che «tutto considerato» pensano che quel vino in questi anni abbia fatto loro del male. Andiamo allora alla tabella comparativa e cronologica, che è ancora più interessante: in Europa il 68% di cittadini pensano di aver tratto dei vantaggi, e questa percentuale - già apprezzabilmente alta - è addirittura in crescita di un punto negli ultimi quattro mesi. Mentre in Italia questa tendenza letteralmente si ribalta: coloro che hanno un giudizio negativo sono addirittura cresciuti del 4% tra aprile e settembre di quest'anno. Erano cioè una cospicua minoranza solo pochi mesi fa, e adesso sono diventati una maggioranza relativa.Provate a immaginare se a fare questo sondaggio - senza «tutto considerato» - non fosse l'Eurobarometro, ma qualche sondaggista più spettinato. Il punto è che in un'altra tabella scopriamo che tra le ragioni di questo scontento gli italiani mettono in testa lo scetticismo sul contributo dell'Unione alla democrazia, e - soprattutto - sono convinti che l'Italia incida pochissimo sulle decisioni prese collettivamente. Questo barometro - dunque - non dovrebbe essere preso con trombetta e fanfara, levigato, smussato, modellato per far sparire il malessere, sopratutto dai difensori dell'Europa. Anzi, al contrario: proprio chi vuole salvare l'Europa dovrebbe capire che proprio davanti all'oste gli italiani raccontano la propria disillusione per una grande promessa tradita. Il disincanto per una favola che non è arrivata al lieto fine. Alla domanda su «credo che la mia voce abbia un peso» (ammirate il fideismo inoppugnabile con cui è formulata la domanda) gli italiani rispondono «no» al 72%. È un dato clamoroso. Crediamo ancora nell'euro, dunque. Ma non all'Europa. Crediamo alla strumentalità, e all'utilità, ma non più all'ideale e all'architettura che lo sostiene. Ci fossero Altiero Spinelli e Konrad Adenauer farebbero un salto sulla sedia. Purtroppo abbiamo gli Juncker e i Moscovici. E quindi, «tutto considerato», gli osti sono «quasi» soddisfatti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/a-furia-di-imporci-piu-europa-siamo-diventati-i-piu-euroscettici-2613108324.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="oettinger-fa-marcia-indietro-la-bocciatura-alla-manovra-italiana-e-una-mia-opinione-personale" data-post-id="2613108324" data-published-at="1765390844" data-use-pagination="False"> Oettinger fa marcia indietro: «La bocciatura alla manovra italiana è una mia opinione personale» Ve lo ricordate Günther Oettinger? È l'arcigno commissario europeo tedesco, compagno di partito di Angela Merkel, che a maggio scorso, evidentemente insoddisfatto dei risultati del 4 marzo, si era espresso così: «La prossima volta i mercati insegneranno agli italiani a votare». Un sincero democratico, insomma: gli elettori votano, e poi qualcun altro stabilisce se hanno votato bene o no. E ve lo ricordate lo Spiegel? È il settimanale tedesco che, la scorsa primavera, prima ci ha dato degli «scrocconi» (a noi, a un Paese fondatore dell'Ue, a un contribuente netto, cioè a uno Stato che dà all'Unione più di quanto prenda), e poi ha pubblicato in copertina una vignetta con uno spaghetto annodato come un cappio, con l'affettuoso titolo «Ciao amore! L'Italia si autodistrugge e trascina l'Europa con sé». Ecco, ora unite i due ricordi: nel senso che ieri Oettinger ha dato un'intervista allo Spiegel online, sostenendo che la Commissione Ue respingerà la legge di bilancio italiana. E lo Spiegel ha aggiunto che una lettera del commissario Pierre Moscovici dovrebbe arrivare a Roma giovedì o venerdì. Tutto questo a Borse aperte, con inevitabile impennata dello spread nel primo pomeriggio, dopo una mattina ben sotto quota 300. Un paio d'ore dopo, a sasso tirato, Oettinger ha cercato di nascondere la mano, e ha diffuso una mezza (e patetica) smentita precisando di non aver detto che una decisione della Commissione ci sia già stata, ma che la sua è un'opinione: «È mia personale opinione che, sulla base delle cifre, è molto probabile che dovremo chiedere all'Italia di correggere la manovra. Nei prossimi due giorni ci saranno ulteriori colloqui informali con il governo italiano per trovare una soluzione e assicurare che gli impegni presi siano rispettati. La Commissione dovrà esprimere un giudizio formale sulla legge di bilancio entro due settimane». Traduzione: non abbiamo già deciso di bocciarvi, ma io penso che sia probabile che lo faremo, e nel frattempo vi facciamo ballare sui mercati. Ricapitoliamo: il governo di uno Stato membro invia la legge di bilancio lunedì notte (entro il termine stabilito del 15 ottobre); non c'è ancora stata nessuna riunione della Commissione; eppure già ieri arriva un preannuncio di reiezione. Tutto questo dopo settimane di insulti (sempre a Borse aperte) di Jean Claude Juncker, Pierre Moscovici, Jyrki Katainen, tutti commissari Ue in articulo mortis, potenziali disoccupati dal 26 maggio prossimo, privi di qualunque legittimazione politica. La sensazione è che davvero gli attuali membri della Commissione abbiano deciso di agire da pasdaran, per non dire da agenti provocatori, per creare incidenti sui mercati, e per rendere drammatici i giorni in cui Moody's, Standard & Poor's e Fitch dovranno ridare il loro rating sui titoli italiani. La cosa che rende ancora più grave il comportamento dei membri uscenti della Commissione è che - di fatto - stiano parlando solo a nome di sé stessi. Sabato, da Bali, il Presidente della Bce Mario Draghi aveva richiamato tutti (in primo luogo loro) alla moderazione e a un ragionevole negoziato, ricordando che molte volte vi sono stati scostamenti dai parametri degli Stati membri. Da Berlino e dal governo tedesco non è venuta una sola parola: e con tutti i guai che ha in casa la Merkel, non si vede perché aprire un altro fronte con l'Italia. Perfino Parigi, sempre aspra con noi, nelle ultime ore ha scelto toni più distesi, ben consapevole della manovra extralarge decisa dal governo francese (oltre che del «record» pregresso: dieci anni di allegro sforamento francese dei parametri Ue, dal 2007 al 2016). Insomma, Parigi decelera, Berlino si ferma, Francoforte invita alla cautela, e invece i commissari di Bruxelles vanno in corsia di sorpasso contro di noi. Situazione francamente curiosa, oltre che grave, resa addirittura surreale dal fatto che oggi sarà a Roma proprio Moscovici, uno dei più scatenati contro di noi, l'uomo della lettera preannunciata da Oettinger, per capirci. L'occasione gli è offerta dal dialogo bilaterale italo-francese organizzato da Aspen sulla politica economica dell'Ue, ed è già annunciato anche un incontro con il ministro dell'Economia Giovanni Tria. Ma attenzione: il tour romano di Moscovici non è finito. È infatti in calendario un colloquio con il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, e soprattutto una salita al Quirinale che ha destato notevoli perplessità, al punto che fonti della Commissione Ue si sono affrettate a derubricare tutto a una «visita di cortesia». A che titolo un Commissario europeo va a conferire con il capo dello Stato italiano, che a sua volta - secondo la nostra Costituzione - non è capo dell'esecutivo? E soprattutto: con che faccia un commissario Ue sale al Quirinale avendo già in tasca una lettera di censura contro l'Italia, preventivamente «volantinata» alla stampa dal suo collega Oettinger? Si vuole dare il senso di un avvertimento? O, peggio, di una manovra per scavalcare il governo? È abbastanza intuitivo che, in condizioni come queste, un uomo come Francesco Cossiga avrebbe potuto avere la tentazione di affidare Moscovici a carabinieri e corazzieri, non certo per trattenerlo, ma per rispedirlo urgentemente a Bruxelles. Chi non si è fatto però intimidire è il premier Giuseppe Conte il quale, appena arrivato a Bruxelles per il Consiglio europeo (che ha all'ordine del giorno Brexit e migrazioni, non temi economici) ha affermato: «Non ci sono margini per cambiare la manovra, che è studiata molto bene». Conte ieri ha avuto un bilaterale con Angela Merkel e, presumibilmente oggi, avrà un confronto con il presidente francese Emmanuel Macron sul caso dei «rispediti» dalla Francia. A spingere perché il summit diventi un processo all'Italia è ovviamente l'apparato della Commissione. Pesante anche Matteo Salvini: «Lancio un appello a Berlino, Parigi, Bruxelles: lasciateci lavorare, lasciateci occuparci degli italiani. Non stupiamoci se poi gli italiani diventano euroscettici». Luigi Di Maio: «Gli impegni saranno rispettati, ma non si può più morire di austerità». Invece, si è ancora una volta schiacciato sulla Commissione il presidente dell'europarlamento Antonio Tajani, di fatto aggregato alla linea Juncker-Oettinger-Moscovici: «L'Italia è in tempo per fare marcia indietro». E sulla bocciatura della manovra: «Mi auguro che non accada, ma il rischio è forte».
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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