2022-12-22
Zelensky vola negli Stati Uniti per chiedere soldi e armi. E Biden raddoppia la posta
Volodymyr Zelensky e Joe Biden (Ansa)
Dopo i 48 miliardi già stanziati, gli Usa concedono il bis al presidente ucraino, accolto con tutti gli onori a Washington. Pronti anche i Patriot. Dall’Ue 1,5 miliardi al meseIl vicecapo del Consiglio di sicurezza di Mosca va in Cina: «Coincidenza di vedute». Vladimir Putin minaccia: «Useremo i missili Sarmat e raggiungeremo gli obiettivi militari»Lo speciale contiene due articoli Per chi si fosse illuso che il primo faccia a faccia in tempo di guerra tra il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e quello americano, Joe Biden, potesse essere un’occasione per parlare di proposte equilibrate da portare al tavolo delle trattative, la doccia fredda non ha tardato ad arrivare. Biden, che ha ribadito quello che è il suo mantra - «niente riguardo all’Ucraina senza l’Ucraina» - sembra aver perso l’opportunità, ora che l’Ucraina era «fisicamente» presente, per spingere nella direzione della pace, mentre ha usato le sue forze per promettere a Kiev nuove risorse, economiche e militari, per resistere a Putin. Mentre in Europa era notte, negli Usa (dove invece era ancora sera) Zelensky ha chiesto ancora armi e soldi e la Casa Bianca gli ha dato ascolto. La visita del presidente ucraino a Washington è di fatto servita a Kiev per smentire che i rapporti con gli Stati Uniti si stessero «raffreddando», tanto che il principale del presidente ucraino, Mikhailo Podolyak, ha concluso che gli Usa «appoggiano inequivocabilmente Kiev». Zelensky è infatti stato accolto con tutti gli onori, dopo essere atterrato alla base militare di Joint base Andrew, non lontano da Washington, dopo che il suo volo era stato scortato da un aereo militare americano. Bandiere ucraine sono state issate in diversi luoghi iconici di Washington accanto a quelle americane, soprattutto lungo i viali di fronte a Capitol Hill e a Pennsylvania avenue, nei pressi della Casa Bianca. Poi l’abbraccio tra Biden e Zelensky (accolto con un tappeto rosso), vestito con la solita tenuta militare. Più volte i due hanno parlato per telefono in questi mesi di guerra e più volte il presidente ucraino non ha esitato ad accusare gli alleati occidentali di non fare abbastanza, nonostante i più che cospicui aiuti giunti da Washington e dall’Ue. Va ricordato, infatti, che la Commissione europea, dopo aver elargito miliardi nel 2022 sia per aiuti militari, sia per l’appoggio umanitario, ha già presentato un piano di finanziamento a Kiev da 18 miliardi di euro per il 2023. Il sostegno da 1,5 miliardi al mese permetterà al Paese in guerra di «continuare a pagare salari e pensioni e mantenere attivi i servizi pubblici essenziali, come ospedali e scuole», oltre che di ripristinare «infrastrutture energetiche, sistemi idrici e reti di trasporto». Nel simbolico viaggio di Zelensky (simbolico perché è la prima volta che il presidente esce dal Paese in guerra per andare a confrontarsi con un altro leader), il Congresso, riunito in seduta congiunta, ha ascoltato la sua ulteriore richiesta di armi e denaro. Del resto, il leader ucraino lo aveva già anticipato, scrivendo: «Sono in viaggio verso gli Usa per rafforzare la resilienza e le capacità di difesa dell’Ucraina. In particolare, il presidente americano e io discuteremo della cooperazione tra Ucraina e Stati Uniti. Terrò anche un discorso al Congresso e una serie di incontri bilaterali». In definitiva, non sono apparsi sufficienti i 48 miliardi forniti finora dagli Usa per gli aiuti militari e per quelli umanitari ed è facile quantificare cosa Zelensky intendesse per cooperazione: Biden ha annunciato che 1,8 miliardi di dollari verranno forniti per la sicurezza dell’Ucraina, mentre il Congresso si appresta ad approvare un budget che prevede altri 45 miliardi di dollari così suddivisi: 20 miliardi in aiuti militari e fondi per ristabilire l’arsenale del Pentagono, impoverito dall’invio di armi a Kiev; 6,2 miliardi per rafforzare la presenza Usa sul fianco orientale della Nato; altri fondi per sostenere l’economia e i rifugiati. Zelensky, con la sua mossa, ha voluto ingraziarsi il nuovo Congresso che si insedia il prossimo 3 gennaio. Questo, infatti, conta una maggioranza repubblicana - seppur risicata - alla Camera, tra cui diversi deputati di estrema destra del «Freedom Caucus», apertamente scettici per le continue spese per la guerra, che potrebbero dare del filo da torcere a chi vuole ancora inviare aiuti all’Ucraina. Quanto al nodo dell’invio dei Patriot, è certamente uno dei più spinosi. Il presidente Biden che inizialmente era restio per evitare l’escalation, pare essersi convinto, con la motivazione che la Russia arricchirà il suo arsenale con missili balistici iraniani. L’annuncio della fornitura dei Patriot a Kiev ha causato un’immediata reazione di Mosca. «Le nuove armi che saranno consegnate all’Ucraina dagli Usa aggraveranno il conflitto», ha dichiarato Putin, affermando di essere pronto a dispiegare i missili balistici intercontinentali Sarmat, fiore all’occhiello dei nuovi programmi militari russi. Ma il nuovo pacchetto di aiuti militari dagli Usa all’Ucraina contempla anche sistemi Gps avanzati che permettono di rendere «intelligenti» bombe di diversa portata già in possesso di Kiev. Intanto, in Europa, si registra la prima, rilevante, marcia indietro finanziaria sulle sanzioni agli asset russi. Il ministero delle Finanze lussemburghese ha infatti rilasciato un’autorizzazione generale che consente lo svincolo dei fondi del Russian national depository (Nsd), congelati ai sensi di una sanzione dell’Ue dello scorso 3 giugno 2022. L’autorizzazione è sottoposta alla condizione che i fondi siano «necessari per la cessazione, entro il 7 gennaio 2023, di operazioni, contratti o altri accordi conclusi con, o comunque coinvolgenti, tale soggetto prima del 3 giugno 2022». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/zelensky-vola-negli-stati-uniti-per-chiedere-soldi-e-armi-e-biden-raddoppia-la-posta-2658998226.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-risposta-russa-medvedev-da-xi" data-post-id="2658998226" data-published-at="1671693883" data-use-pagination="False"> La risposta russa: Medvedev da Xi Mossa a sorpresa della Russia, a poche ore dal previsto arrivo a Washington del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, per incontrare il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Il leader di Russia unita, il partito di Vladimir Putin, Dmitri Medvedev, ha incontrato a Pechino il presidente della Cina, Xi Jinping. L’incontro tra i due leader si è svolto alla Diaoyutai State Guest house, sul versante occidentale della Capitale cinese, dove la Cina accoglie tradizionalmente i dignitari stranieri in visita. Medvedev ha portato al presidente cinese i saluti del capo del Cremlino, e un messaggio di elogio della cooperazione bilaterale pratica tra Mosca e Pechino. Come ha scritto l’agenzia Tass, «Medvedev, che è anche il numero due del Consiglio di sicurezza russo, ha reso noto di aver discusso con Xi Jinping di collaborazione bilaterale con la Federazione russa e di questioni internazionali, compreso il conflitto in Ucraina», riscontrando «un’ampia coincidenza di vedute. Xi ha auspicato che si arrivi una soluzione politica pacifica alla crisi ucraina, anche se la situazione è molto complicata». Pechino, ha detto Xi, «ha sempre deciso la sua posizione e la sua politica in base al merito della questione stessa» e auspica che tutte le parti interessate «esercitino moderazione, conducano un dialogo complessivo e risolvano le preoccupazioni comuni nel campo della sicurezza attraverso mezzi politici». Inoltre, sempre secondo la Tass, il leader del Dragone ha detto che «la Cina è pronta a stringere ulteriormente i suoi rapporti con la Russia per una governance globale più giusta». I due hanno sottolineato come i rispettivi punti di vista coincidano, oltre alla necessità per quanto riguarda la cooperazione economica e industriale tra i due Paesi, di un «coordinamento strategico» nelle Nazioni unite e nelle piattaforme multilaterali, tra cui la Shanghai cooperation organization (Sco), i Brics (la sigla che riunisce le economie emergenti di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e il G20. I due hanno parlato anche della situazione negli Stati asiatici dell’ex Unione sovietica. Soddisfatto dell’incontro lo stesso Putin, che nel suo messaggio, secondo il comunicato stampa del segretariato di Medvedev, avrebbe «espresso fiducia nello sviluppo continuo e progressivo dei legami interstatali e interpartitici, in stretta collaborazione con la nuova dirigenza del Partito сcomunista сinese». Sul suo account Telegram, il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo ha condiviso un video che lo ritrae durante l’incontro con Xi e a colloquio con funzionari cinesi. Nel frattempo, in un incontro televisivo con alti funzionari militari, Putin ha definito il conflitto in Ucraina «una tragedia condivisa», ma ha attribuito la responsabilità dello scoppio delle ostilità a Kiev e ai suoi alleati, «non a Mosca»: «Quello che sta accadendo non è il risultato della nostra politica. È il risultato della politica di Paesi terzi». Lo zar ha anche annunciato l’intenzione di installare basi navali nelle città ucraine di Mariupol e Berdiansk, con l’obiettivo di migliorare il dispiegamento marittimo, a cui ha garantito «sostegno finanziario illimitato». Inoltre Putin ha annunciato che «presto saranno dispiegati i missili balistici Sarmat», fiore all’occhiello dei nuovi programmi militari russi. Una risposta diretta al possibile invio di missili Patriot dagli Usa all’Ucraina. «Raggiungeremo gli obiettivi militari e il governo darà tutto ciò che l’esercito chiede». Il Cremlino ha anche pianificato di fornire droni a tutte le unità dell’esercito, non solo come metodo di attacco, ma anche per raccogliere informazioni di intelligence, secondo l’agenzia di stampa Interfax. Nel frattempo il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, ha confermato anche l’intenzione russa di schierare navi di supporto a Berdiansk e Mariupol, due città sul Mar d’Azov, attualmente controllate dalle forze russe.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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