2025-06-02
«Con Giorgetti non so più come difendere gli aumenti bloccati»
Paolo Zangrillo (Imagoeconomica)
Il ministro Paolo Zangrillo: «Se mi chiedesse conto dei 20 miliardi destinati agli statali e tenuti fermi dalla Cgil, farei fatica a rispondere. Al referendum si partecipa anche astenendosi».«Non è mai successo che un esecutivo, peraltro in tempi difficili per l’economia del continente, stanziasse 20 miliardi per il rinnovo del contratto degli statali riuscendo a usarne solo una minima parte. Una situazione oggettivamente insostenibile, anche perché parliamo di più di un terzo del budget complessivo delle manovre 2023-2024. Se il ministro Giorgetti domani dovesse chiedermi che intenzioni ho sull’utilizzo di quei fondi avrei difficoltà a rispondere». Lo sfogo è del ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo. Ormai da mesi è in corso una trattativa infruttuosa per rinnovare il contratto degli statali, parliamo di 3,2 milioni di lavoratori. C’è un muro, quello di Cgil e Uil, inscalfibile. Per Landini e Bombardieri 20 miliardi non bastano. Quindi il Dipartimento della Funzione Pubblica e Aran hanno portato a casa il contratto per i comparti sicurezza-difesa e funzioni centrali dello Stato. Parliamo di circa 700.000 persone, dove è stato possibile superare la soglia del 50% dei sì grazie all’appoggio della Cisl e dei sindacati autonomi. Gli altri comparti, dalla sanità alla scuola fino agli enti locali (Regioni, Comuni ecc.), sono fermi al palo. Questo vuol dire che più di 2 milioni di lavoratori, con risorse già stanziate, non possono ricevere aumenti in busta paga (oltre agli istituti accessori concordati) che riguardano il triennio 2022-2024 e che sbloccherebbero automaticamente anche la tornata successiva, quella in corso, 2025-2027. Parliamo di aumenti medi dai 140 ai 170 euro lordi al mese, che sarebbero dovuti partire nel 2022 e invece restano bloccati nella pancia della cosa pubblica. (Insomma, dare aumenti salariali ai lavoratori pubblici e darli subito non sembra più una prerogativa di certi sindacati). Ministro, quanto tempo avete ancora a disposizione?«Per farle capire, se noi domani firmassimo il contratto degli enti locali, prima che questo diventi effettivo passerebbero almeno altri 3 o 4 mesi. Perché ci sono i passaggi obbligati in Ragioneria e Corte dei Conti che richiedono dei tempi tecnici. Quindi se dovessimo firmare dopo o a cavallo dell’estate arriveremmo al 2026. Ecco, noi non vogliamo che questo accada». Mi perdoni, quindi la dead line è l’estate? «Direi proprio di sì». Che poi vuol dire qualche settimana, perché la vediamo difficile che ad agosto possa sbloccarsi qualcosa. «Faccia lei i conti». Lei ha qualche segnale di cambiamento di linea da parte di Cgil e Uil? Qualcosa che la induca a pensare che si vada verso un sì.«Qualche giorno fa c’è stato un incontro per il rinnovo del comparto sanità. Abbiamo notato una disponibilità a proseguire il dialogo da parte dei sindacati autonomi, per esempio il Nursing Up (una delle sigle degli infermieri che aveva fatto saltare il tavolo schierandosi all’ultimo dalla parte di Landini, ndr), mentre la posizione della Cgil è granitica. La Cgil ritiene che le risorse non siano sufficienti perché non recuperano completamente l’inflazione del periodo. E la Uil segue a ruota». Hanno ragione?«I numeri dicono che l’inflazione del periodo, in virtù dell’impennata post Covid, è stata superiore al 10%. La nostra proposta prevede aumenti vicini al 7% oltre a garantire istituti accessori, come i buoni pasto anche in smart working o la settimana corta (lavoro fino al giovedì, ndr), che comunque incidono da un punto di vista economico. Senza contare i fondi già stanziati anche per il rinnovo successivo. Vista la situazione dei conti pubblici, abbiamo fatto più del massimo. Soddisfare le richieste della Cgil vorrebbe dire usare tutti i fondi di una manovra finanziaria. Sono più di 30 miliardi, solo per il rinnovo di una tornata dei contratti pubblici. Come si fa a pretenderlo? Anche perché con governi diversi (2016-2018) e con un’inflazione cumulata del 12%, gli stessi sindacati hanno firmato rinnovi che prevedevano aumenti di poco superiori al 3%. Perché questa differenza?».Perché si tratta di una posizione politica e preconcetta?«Io rispetto l’idea che anche il sindacato possa fare politica». In che senso?«Abbiamo aspettato che ci fosse il rinnovo delle Rsu (i delegati sindacali nella Pa) ad aprile senza che questa attesa abbia portato risultati. E adesso aspettiamo il referendum proposto dalla Cgil e appoggiato da tutta la sinistra del fine settimana. Quello che però il sindacato non deve fare è portare la politica sul tavolo negoziale». E secondo lei lo sta facendo. «Mi sembra evidente, e le posizioni diverse con governi diversi sulla dinamica inflattiva lo dimostrano».A proposito, ministro. Lei andrà a votare al referendum?«Non andrò a votare al referendum perché considero questo referendum qualcosa di surreale. Parliamo della richiesta di abrogare una legge (il Jobs act, ndr) che arriva da chi quella legge l’ha fatta. E a chi dice che non è democratico invitare all’astensione, rispondo che non siamo alle politiche dove il non voto vuol dire rinunciare a esprimere la propria volontà sul futuro del Paese. L’astensione nel caso del referendum non è un invito a disinteressarsi della cosa pubblica, ma significa bocciare in toto i quesiti referendari, perché l’obiettivo è evitare che si raggiunga il quorum. È una chiara espressione di volontà». C’è chi dice che Landini stia provando a scalare la sinistra e che i referendum siano una tappa decisiva di questa scalata. Pensa che con una leadership nel Pd più forte, anche la partita del rinnovo dei contratti della Pa sarebbe stata più semplice?«Non conosco le ambizioni politiche di Landini. Certo che alcune esternazioni, penso al famoso invito alla “rivolta sociale”, hanno un forte connotato politico. Noto una sorta di corsa a superarsi a sinistra tra sindacato e Partito democratico. E la radicalizzazione di certo non porta giovamento alla dinamica negoziale sulla quale punta il governo».E allora torniamo al governo e a Giorgetti. Se tra qualche settimana dovesse comunicarle che intende usare le risorse dei contratti per aumentare le pensioni lei cosa farebbe?«L’obiettivo è evitare che ciò accada». Come? «L’alternativa è assegnare quelle risorse per legge. È una cosa che mi ripugna perché credo molto nel dialogo con le parti sociali e nella possibilità di arrivare a delle sintesi vantaggiose grazie al negoziato. Però è evidente che se la situazione non si sblocca non vedo altre strade. Sarebbe una sconfitta per tutti, anche perché perderemmo tutta la parte normativa dei contratti che si aggiunge a quella salariale. I buoni pasto, certo, ma anche il patrocinio gratuito per i dipendenti della sanità nel caso di aggressioni in ospedale. Sono solo alcuni esempi per far capire la valenza sociale e monetaria di questi istituti. Io non voglio perderli, per questo motivo non mi arrendo e fino a quando ci sarà una possibilità continuerò a insistere per arrivare a una firma congiunta». La Pa non è solo contratti. Da sempre lei sostiene che la Pubblica amministrazione per crescere deve puntare su nuove energie. E avete aperto le porte agli ingressi dagli Its Academy (istituti tecnici superiori, percorsi formativi biennali post diploma). Come funzionerà il ricambio? «Noi abbiamo bisogno di accelerare il processo di modernizzazione della Pa. Ripensare la nostra organizzazione rispetto alle aspettative di cittadini e imprese. Oggi disponiamo di strumenti tecnici e digitali che ci permettono di accelerare, ma mancano quelle competenze che possono arrivare dai nativi digitali. Per questo ho aperto agli Its Academy. Vede, con le regole precedenti questi ragazzi non potevano accedere ai ruoli di funzionari perché privi di diploma di laurea».Quindi?«Noi gli diamo la possibilità di essere assunti con un contratto di 36 mesi durante i quali avranno la possibilità di laurearsi attraverso i nostri finanziamenti agevolati, il Pa 110 e lode, che sostiene il percorso universitario». Quante risorse stanziate per il Pa 110 e lode?«Circa 50 milioni all’anno. E non finisce qui, tutto questo è in coerenza con la svolta che stiamo imprimendo sul merito. Abbiamo introdotto meccanismi di valutazione e di premi alla carriera sulla base dei risultati raggiunti valorizzando la figura dei dirigenti. I dirigenti, per esempio, potranno proporre percorsi di crescita per i collaboratori che ritengono più capaci». A proposito di merito e innovazione. Lei ha seguito il nuovo ad di Stellantis, Antonio Filosa, ai tempi della Fiat?«Conosco bene Filosa e gestivo le risorse umane in Fiat quando lui è andato in Brasile, dove ha costruito una parte fondamentale della sua carriera. Possiede delle caratteristiche che considero fondamentali anche nella Pubblica amministrazione: pragmatismo, empatia, visione, dialogo e spirito di squadra».Che posizione ha rispetto all’auto elettrica?«Filosa è un Marchionne boys, ha avuto la fortuna di lavorare con uno dei manager più lungimiranti che abbiamo avuto negli ultimi decenni. E Marchionne che era un precursore, già una decina di anni fa era molto prudente sull’elettrico. Riteneva che i tempi non fossero ancora maturi e che l’elettrico non fosse l’unica, ma una delle opzioni tecnologiche per il futuro dell’automotive. Dunque, è inutile fissare tempistiche inderogabili se non ci sono i presupposti, dalle colonnine alla disponibilità a prezzi di mercato delle materie prime. Guardando quello succede oggi direi che aveva ragione».