2020-03-02
Yabba Dabba Doo! Amiamo il progresso e le comodità ma in fondo siamo «primitivi»
Il nostro Dna è stato programmato per la vita da cacciatori-raccoglitori. Perciò la modernità ci sta stretta.Avreste mai pensato che il cavernicolo, da noi anche preso amabilmente in giro con cartoni animati come I Flintstones, con quel Fred che gridava sempre «Wilma, dammi la clava!», vivesse meglio di noi? Tendiamo ad associare acriticamente progresso e benessere. Più progrediamo, più staremo bene, pensiamo. ll miglioramento eliminerà ogni imperfezione, ci diciamo. Ma non sempre è così. La tesi che si conducesse un'esistenza migliore nell'età umana più remota è sempre più diffusa nel mondo scientifico.Di questa sorta di «si stava meglio quando si stava peggio» dell'evoluzione è convinto Vybarr Cregan-Reid, autore dell'affascinante Il corpo dell'antropocene. Come il mondo che abbiamo creato ci sta cambiando (Codice edizioni), appena arrivato in libreria. Cregan-Reid insegna Scienze umane e ambientali all'Università del Kent ed è tassativo: «Il nostro corpo si è evoluto per stare immerso nella natura, muoversi e contare su fonti di cibo varie e incostanti. Condividiamo il Dna dei paleolitici, ma viviamo in metropoli dall'aria inquinata, tentati da cibi ipercalorici e stando immobili per ore. C'è da meravigliarsi che la salute ne risenta?». Cerchiamo di capire innanzitutto chi sono esattamente «i paleolitici». L'epoca geologica attuale, iniziata circa 11.700 anni fa, è l'Olocene. Quella precedente è il Pleistocene, a sua volta principiato dopo la fine della fase glaciale dell'emisfero settentrionale. Il Pleistocene e il nostro attuale Olocene sono i due periodi che costituiscono la cosiddetta era del Quaternario. Il Quaternario, anche detto Neozoico, è iniziato ben 2,58 milioni di anni fa ed è ancora in corso. Il Quaternario è caratterizzato dall'evoluzione del genere Homo, che attraverso una serie di passaggi evolutivi ha portato a Homo sapiens sapiens, specie alla quale apparteniamo anche noi. Gli ultimi Australopitechi (attivi da 4 a 1,1 milioni di anni fa) vivevano durante la prima metà del Pleistocene: erano bipedi e avevano un cervello di dimensioni pari a quelli delle grandi scimmie odierne. Il genere Homo compare nel Pleistocene e si sviluppa attraverso una serie di adattamenti evolutivi: si parte da Homo habilis e si giunge a Homo sapiens, che colonizza tutto il pianeta (le migrazioni sono state rese possibili anche dal basso livello dei mari). Il Pleistocene inferiore e medio corrispondono al periodo del paleolitico inferiore (Homo habilis e Homo erectus), il Pleistocene superiore corrisponde ai periodi del paleolitico medio e superiore (Homo neanderthalensis, Homo sapiens). Il Paleolitico va quindi da 2.500.000 a 10.000 anni fa, si situa tra Pleistocene e Olocene, e si suddivide in tre sottoperiodi che sono il Paleolitico inferiore, da 2.500.000 a 120.000 anni fa, il Paleolitico medio, da 120.000 a 36.000 anni fa, il Paleolitico superiore, da 36.000 a 10.000 anni fa. Il Paleolitico, quindi, inizia con Homo erectus, vede l'avvento di Homo sapiens Nearderthalensis e poi di Homo sapiens sapiens.Il termine «antropocene» si diffonde negli anni Ottanta, ideato dal biologo Eugene F. Stoermer, per intendere l'epoca geologica fortemente caratterizzata dall'impatto dell'uomo sulla natura: considerato che per questa tesi l'essere umano e la sua attività sono le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche, si tratta di un impatto negativo. Derivante dal greco anthropos, che significa uomo, il termine Antropocene, in quest'epoca di narrazione dell'uomo come distruttore del pianeta, ha quasi completamente sostituito l'uso del più corretto Olocene. Furono molti i fattori, compresi i cambiamenti climatici - per molti, non provocati di certo dall'uomo - che permisero al nostro antenato di passare dallo status esistenziale e, in un certo senso, economico di cacciatore-raccoglitore a quello, stanziale, di coltivatore-allevatore.Gruppi che inizialmente erano nomadici, prima iniziarono a usare i ripari naturali, come le caverne, poi si misero a edificarne di propri con rami e foglie, pelli, legno, fango e pietre. Di evoluzione in evoluzione umana ed edile giungiamo, con un balzo, all'oggi, tempo nel quale siamo intenti a sperimentare la domotica, cioè la gestione dell'abitazione tramite l'informatica e l'elettronica o, addirittura, l'edificazione di case stampate in 3D. L'evoluzione umana conta molti altri momenti topici: lo sviluppo dei primi utensili, in legno, osso e pietra e infine in metallo, il controllo del fuoco, per il riscaldamento e per la cottura alimentare, addomesticare e allevare animali utili al sostentamento e coltivazione al posto della raccolta di ortofrutta spontanea in giro per boschi e foreste. In questo progredire, ovviamente, si cambiò anche dieta. Ma il problema non è tanto e non è solo la dieta. Sembra essere altrettanto rilevante lo sforzo compiuto per procurarsi il cibo, che per l'uomo del primo Paleolitico era notevole e per noi è diventato irrisorio - pensiamo a chi fa la spesa online, seduto su quella sedia dalla quale non si stacca mai e che, per Cregan-Reid, è il simbolo dell'età sedentaria dell'Antropocene. Lo studioso ha stimato che al mondo ce ne sono non meno di 8-10 per persona. 60 bilioni di sedie che ci descrivono meglio di qualsiasi parola. Le patologie dovute all'abbandono di uno stile di vita tanto attivo da poter essere definito selvatico e completamente calato nella natura, mentre oggi viviamo nel cemento - e sempre seduti - sono numerose. Sentiamo ancora Cregan-Reid: «Io, per esempio, soffro di asma allergica e mal di schiena. Oggi sono patologie diffuse, mentre in passato erano rare o sconosciute. Le allergie sono causate dal sistema immunitario che, evolutosi per attaccare parassiti e batteri, oggi reagisce esageratamente a stimoli innocui come i pollini o agli inquinanti. Il mal di schiena è invece un effetto della tecnologia, che ci evita ogni sforzo, e dell'insana abitudine di stare a lungo seduti: la colonna vertebrale resta sana se stimolata».Il nostro corpo è letteralmente frustrato dalle abitudini di vita dell'oggi e abbiamo problemi anche con la dentatura: «Le dentature degli scheletri preistorici non mostrano problemi con i denti del giudizio. Ora invece sono frequenti, perché i bambini mangiano cibo morbido, e non stimolano la mascella a crescere abbastanza per ospitarli». I denti del giudizio non ci servono più, perché non dobbiamo strappare pezzi di carne cruda dall'animale che abbiamo ucciso con le nostre mani e mangiarli così - prima dell'avvento del fuoco e dell'invenzione di primitivi strumenti di taglio, l'alimentazione umana funzionava in questo modo. Ora mangiamo mousse mollicce, stampate anche quelle in 3D, in fantastici colori arcobaleno o fluo e infatti potremmo vivere direttamente senza denti. Non a caso, soffriamo anche molto di parodontiti, causate anche dal fumo, attività sconosciuta al nostro paleoavo, e di tutta una serie di disturbi, anche digestivi, dovuti a una insufficiente masticazione. Insomma, il passaggio dall'Età del Ferro, che va fino al 900 a.C., a quella attuale denominata Età del silicio, caratterizzata dall'informatizzazione e quindi dalla smaterializzazione dell'esistenza, ha comportato tanti cambiamenti dagli esiti positivi, certo, ma anche tanti altri negativi. Cregan-Reid ci spiega come anche gli occhi soffrano per via delle innaturali condizioni della nostra vita: «Per svilupparsi bene gli occhi hanno bisogno di luce solare: se durante l'infanzia si passa molto tempo al chiuso, i bulbi oculari rischiano di restare troppo allungati, portando alla miopia». Si filosofeggia spesso che il prezzo della civiltà del benessere sia quello che occorre pagare per vivere di più rispetto agli antenati cacciatori-raccoglitori, ma Cregan-Reid sfata anche questo pensiero: «Un tempo la vita era più corta per l'altissima mortalità infantile, ma gli attuali cacciatori-raccoglitori, una volta adulti, hanno un'aspettativa di vita simile alla nostra e una vecchiaia più in salute. Inattitività e cattiva dieta, invece, stanno creando una massa di malati che sopravvivono grazie alla moderna medicina». Anche tra i bambini. Quali sono le soluzioni? Secondo Cregan-Reid «basterebbe rimettere in sincrono Dna e stili di vita, recuperando abitudini come camminare alcuni chilometri al giorno, far giocare i bambini all'aperto, non stare seduti per ore e mangiare in modo sano». In sostanza, la soluzione sarebbe rappresentata dalla sincronizzazione. Non del nostro cellulare con il cloud: la risincronizzazione del nostro Dna, che è quello del nostro paleoavo, e del nostro stile di vita, che è invece quello di una pelle d'orso stesa a terra immobile. Il problema principale, infatti, è proprio questo, il «mismatch evolutivo». Noi ci siamo evoluti e continuiamo a evolvere in una direzione che frustra il nostro Dna. La soluzione non è permettere mutazioni in negativo del Dna, ma ritornare a onorare il nostro Dna. Secondo il docente di Biologia evolutiva umana di Harvard, Daniel E. Lieberman, autore di La storia del corpo umano. Evoluzione, salute e malattia, «la risposta di fondo al perché così tanti uomini si stiano ammalando di malattie un tempo rare è che molte delle funzioni corporee erano adattative negli ambienti in cui ci siamo evoluti, ma sono divenute adattamenti pessimi (o maladattamenti) negli ambienti moderni da noi stessi creati». Nel suo libro scrive che «siamo primati grassocci a cui piacciono zuccheri e grassi, ma siamo ancora adattati a una dieta ricca di frutta e verdura, noci, semi e carne magra. Ci piace rilassarci, ma i nostri corpi sono ancora quelli di atleti di resistenza, evoluti per camminare per molti chilometri al giorno e per correre spesso. Adoriamo le comodità, ma non siamo ben adattati a trascorrere le giornate seduti in poltrona, fissando un libro o lo schermo di un computer». Obesità, certi tipi di cancro, diabete di tipo 2, osteoporosi, disturbi cardiaci, ictus, disturbi del fegato, alcune allergie, demenza senile, depressione, ansia, insonnia, mal di schiena, piedi piatti, fascite plantare, miopia, artrite, costipazione, reflusso gastroesofageo, sindrome dell'intestino irritabile e tante altre afflizioni che il nostro paleoavo ignorava sono la conseguenza di Homo sapiens sapiens, che, per dirla con l'antropologo Stefano Boni, diventa Homo comfort. Nel libro omonimo, lo studioso spiega come «la vita comoda» goda di una «accettazione generale e acritica» che, invece, «va interrogata per comprendere i cambiamenti epocali indotti dall'imperante ipertecnologia». Perché con Homo comfort siamo a una «umanità che va liberandosi dalla fatica e dal dolore, ma che al contempo perde facoltà sensoriali e abilità conoscitive costruite nel corso dei secoli, diventando sempre più dipendente da una tecnologia che usa ma non conosce». Non bisogna mitizzare la vita dei cacciatori-raccoglitori: molti esperimenti di vita into the wild dimostrano che a questo punto saremmo incapaci di vivere esattamente come i nostri antenati.La storia di Christopher McCandless è emblematica: il benestante ragazzo americano donò il denaro che i suoi genitori avevano messo via per i suoi studi alla Ong Oxfam (quella degli scandali sessuali del 2018) e, ossessionato dalle letture di anticonformisti come Henry David Thoureau e Jack London, dichiarò guerra alla società consumista mettendosi a viaggiare a piedi verso l'Alaska, dove poi visse accampato in un bus abbandonato e cibandosi di selvaggina e bacche. Morì avvelenato - e impossibilitato a chiedere aiuto a causa dell'isolamento nella natura - proprio da bacche che aveva scambiato per commestibili (il film Into the wild - Nelle terre selvagge, del 2007, è ispirato alla sua tragica storia). Grizzly Man è un docufilm di Werner Herzog del 2005 che racconta la storia dell'esploratore ambientalista Timothy Treadwell, talmente innamorato degli orsi grizzly da andarci a convivere, sempre in Alaska. Convinto di averli addomesticati, e affascinato da quella vita così naturale, morirà insieme con la sua compagna per l'aggressione di un orso. Parte del fatto si vede direttamente nel film, realizzato montando selezioni dalle 100 ore di filmati - qualcosa di molto simile alle stories e ai video che possiamo caricare sui social network - che Treadwell aveva girato interagendo con gli orsi. Non serve fingere che il progresso delle ultime centinaia di migliaia di anni non sia esistito e ribaltare l'ottimismo ottuso nei confronti del progresso in uno che consideri positivo solo il passato. Anzi, un ribaltamento di questo tipo sarebbe pericoloso. Ma è certamente necessario recuperare un rapporto più diretto con la natura e con le esigenze e le caratteristiche più fisiche che mentali del nostro corpo. Nel 2016 Cregan-Reid ha anche pubblicato un altro bel saggio, non ancora tradotto in Italia, intitolato Footnotes. How running makes us human (Note a pie' di pagina. Perché correre ci rende umani). Il titolo è giocato anche sul doppio senso di «nota a pie' di pagina» e «note del piede che corre». L'autore spiega come correre non sia solo uno sport, ma una riconnessione con il nostro corpo e il luogo in cui viviamo, un po' come se fossimo cacciatori-raccoglitori che esplorano il territorio. D'altronde, anche senza arrivare indietro fino al Paleolitico, il conservatorismo sostiene da sempre che le buone abitudini del passato non vanno gettate via ma trasportate nel futuro.