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2025-03-31
Vivere a lungo è (anche) una scelta
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È in aumento la speranza di vita in Italia, ma quasi il 20% degli anni sono segnati da limitazioni e malattia. Secondo i report Bes 2023 dell’Istat, l’attesa media di vita è di 83,1 anni, quasi un anno in più rispetto al 2022 (82,3). Per gli uomini il valore è di 81,1 anni mentre per le donne è di 85,2. Ma è il dato sulla speranza di vita in buona salute ad essere particolarmente interessante. Nel 2023 è pari a 59,2 anni, in riduzione rispetto ai 60,1 anni del 2022, ma in linea con il 2019: il dato anomalo, secondo gli esperti, sarebbe dovuto al Covid. Quasi vent’anni di vita sono quindi seganti da limitazioni fisiche, dalla presenza di almeno una patologia, situazione che interessa l’85% degli over 75. Attualmente un quarto della popolazione italiana ha più di 65 anni con implicazioni socio-sanitarie non indifferenti, specie in prospettiva, considerando che l’80% del budget sanitario è per le malattie croniche. Come campare cent’anni in salute? Se le patologie cardiovascolari sono la prima causa di morte, tra le patologie che minacciano la salute negli ultimi anni di vita, una delle più comuni e gravi è il cancro: circa una persona su 5 lo sviluppa e la metà delle diagnosi riguarda persone con più di 70 anni. È ormai consolidato che si può agire su buona parte dei fattori che causano queste patologie e dati recenti puntano i riflettori su ambiente e condizioni socioeconomiche, più che di Dna.
Chi nasce a Bolzano può beneficiare di quasi 14 anni anni in più (13,7 per l’esattezza) di vita in buona salute di chi invece nasce in Basilicata (66,5 anni di vita senza malattie contro 52,8). Ma quanto contano i geni? Lo rivela uno studio pubblicato in queste settimane su Nature Medicine realizzato da ricercatori di Oxford per svelare il dilemma su cosa influisca sulla longevità tra Dna e stile di vita. Per rispondere hanno attinto alla Uk Biobank, che contiene le informazioni sulla salute di mezzo milione di cittadini inglesi aggiornate anche per decenni di seguito, incluse le abitudini alimentari, di sonno e di attività fisica, malattie dell’infanzia, condizioni socioeconomiche, familiari e le cause di morte. Per ciascun soggetto censito, i ricercatori hanno tracciato il profilo del rischio di ammalarsi, incrociando i geni con 164 tra fattori ambientali e stili di vita: dal fumo alla convivenza con un partner, dal peso all’età di 10 anni all’uso di apparecchi elettronici. In un decimo del campione è stata inoltre fatta l’analisi dell’orologio dell’invecchiamento, un test del sangue che, in base all’esame di 204 proteine, definisce lo stato di usura dei vari organi prima ancora che mostrino sintomi di malattia. Correlando i dati tra geni, stili di vita e livello di usura degli organi, è emerso che abitudini e ambiente impattano di più sulla durata della vita del patrimonio genetico con un valore del 17% contro il 2% del Dna. Poche le sorprese sui fattori di rischio che incidono di più sulla longevità. Al primo posto c’è il fumo, legato all’insorgere di 21 delle 22 malattie considerate nello studio. Al secondo posto ci sono condizioni socioeconomiche come il possedere una casa, alloggiare in affitto o dover pagare un mutuo, avere un contratto di lavoro stabile, vivere in condizioni di povertà. L’effetto sulla salute di queste variabili, che hanno a che fare su questioni di reddito, è molto grande: riguarda la prevenzione di 19 malattie. L’attività fisica moderata è al terzo posto ed è implicata nel ridurre il rischio di 17 patologie. Lo sport ad alta intensità, invece, produce un effetto contrario: sarebbe implicato lo stress ossidativo da troppo lavoro cellulare in grado a velocizzare l’invecchiamento. Lo studio di Oxford evidenzia anche l’impatto dei vari fattori nell’infanzia nell’allungare o accorciare la vita. La probabilità di invecchiare in salute, per esempio, si abbassano se si ha una madre che fuma nei primi anni di vita del figlio. C’è poi una rivincita per i bambini che a 10 anni possono soffrire per essere più bassi e pesare meno rispetto alla media: vivono mediamente di più di quelli più alti e grossi. Anche il carattere rientra tra i fattori che erodono la durata media della vita: la poca vitalità e il poco entusiasmo ridurrebbero non solo la qualità, ma anche la quantità di anni da vivere. Dormire più di 9 ore o meno di 7 è associato a una vita più breve, come anche l’abitudine al pisolino pomeridiano. Al contrario, un titolo di studio elevato, il numero di automobili possedute, come indice di ricchezza, e convivere con un partner - ma non con persone diverse dal partner - favorirebbero una una vecchiaia prolungata.
Considerando i singoli organi, gli stili di vita si rivelano particolarmente influenti sulla salute di polmoni, cuore e fegato. Il Dna ha però degli organi su cui esercita maggior potere. Le mutazioni ereditate dai genitori fanno la differenza nel rischio di ammalarsi di demenza e di alcuni tipi di cancro, soprattutto a seno, ovaie, prostata e colon-retto.
Varie ricerche sostengono che invecchia più in salute e rallenta lo sviluppo delle malattie, chi comincia sin da giovane ad avere uno stile di vita sano, evitando fumo e sovrappeso, principali fattori di rischio di cancro e malattie cardio-metaboliche. C’è però speranza anche per chi inizia nella mezza età. Uno studio pubblicato nel 2024, che ha analizzato gli stili di vita di oltre 276.000 veterani statunitensi di età compresa tra i 40 e i 99 anni rispetto a una serie di 8 comportamenti definiti sani - dieta equilibrata, regolare attività fisica e sonno, gestione dello stress, relazioni forti, niente fumo o abuso di alcol e oppioidi - ha dimostrato che seguire tutti gli 8 consigli (tutti di buon senso) portava a un rischio significativamente più basso di mortalità prematura e a un’aspettativa di vita stimata dopo i 40 anni più lunga, fino a 24 in più rispetto a chi aveva abitudini meno sane. Già nel 2018 un altro studio americano aveva evidenziato che l’adesione a 5 fattori di stile di vita a basso rischio - non fumare, peso sano, attività fisica regolare, dieta sana e consumo moderato di alcol - potrebbe prolungare la speranza di vita a 50 anni di 14 anni per le donne e di 12,2 anni per gli uomini, rispetto a chi non ha adottano nessuno di questi fattori. Ci sono poi benefici che valgono sempre: smettere di fumare si traduce in un vantaggio in termini di potenziali anni di vita sia che si smetta a 35 anni che a 75 anni.
A sbaragliare apparentemente le carte ci sono delle ricerche che rivelano come molte persone con vite eccezionalmente lunghe non abbiano abitudini più salutari rispetto alla media degli americani con tassi inferiori di malattie legate all’età, come patologie cardiache, cancro e demenza. In questo caso ad essere implicati sembrano esserci dei geni rari, presenti in meno dell’1% della popolazione, in grado di ritardare o evitare le malattie in misura maggiore rispetto a chi vive di meno. Meglio spegnere la sigaretta, evitare gli eccessi, curare le relazioni e poter guadagnare da almeno arrivare a fine mese.
«Riscopriamo i grassi a tavola»
«La longevità si costruisce a tavola ma non solo. Fondamentale è l’attività fisica, anche solo una passeggiata giornaliera». È quanto afferma Debora Rasio, nutrizionista e oncologa che ha dedicato la propria vita professionale allo studio dell’alimentazione come strumento fondamentale per prevenire le malattie.
Cosa bisogna mangiare per vivere più a lungo?
«La sfida è vivere più a lungo ma soprattutto in salute. Se la nostra aspettativa di vita è in aumento, non si può dire altrettanto sulla qualità dell’invecchiamento, nel senso che le malattie croniche sono sempre più precoci. La salute è una traiettoria che nasce da prima del concepimento. Lo stile di vita dei genitori programma la salute dei figli. Le nuove generazioni stanno ereditando programmi epigenetici che le rendono più vulnerabili a molte forme di malattia».
I giovani sono più vulnerabili di genitori e nonni?
«Nel passare delle generazioni c’è stato un impoverimento nutrizionale. Magari si mangia di più ma ciò che mettiamo a tavola è povero di nutrienti. Mi riferisco alla diffusione dei cibi trasformati a livello industriale».
Pure il pane è trasformato?
«Proprio così. Può contenere tanti ingredienti occulti. Si possono aggiungere fino a 40 sostanze chimiche per migliorare le farine, che non devono essere nemmeno riportate in etichetta. Il rischio di morire precocemente aumenta del 16% per ogni porzione in più consumata giornalmente di alimenti ultra trasformati. Questi sono all’origine di obesità, malattie cardiovascolari e tumori. Non solo non nutrono ma apportano tossicità al microbiota che contribuisce alla nostra salute. Non mi stancherò mai di ripeterlo: i primi anni di vita sono fondamentali per programmare le piste metaboliche che rimarranno accese per tutta la vita. La carenza di grassi buoni, vitamine e minerali, - insieme all’eccesso di proteine - altera profondamente i meccanismi di regolazione del metabolismo, dell’appetito e dell’infiammazione. Oggi, nel cuore del mondo occidentale, si sta diffondendo una pandemia silenziosa: la malnutrizione di micronutrienti. Subdola e potente, apre le porte alle malattie che affliggono la nostra epoca: i disturbi del neurosviluppo, la neurodegenerazione, le malattie cardiovascolari, i tumori, il diabete. Non a caso nei popoli primitivi c’erano veri e propri protocolli nutrizionali per i futuri genitori che iniziavano sei mesi prima del matrimonio e prevedevano un’abbondanza di cibi ricchi di grassi e di vitamine liposolubili. Uova, fegato, pesce, latte, erano i pilastri dell’alimentazione dei nostri avi. Ora si preferisce il latte scremato e lo yogurt magro. Le uova? Non più di 2-4 a settimana. La campagna massiccia contro i grassi sani ha tolto dalle tavole il burro, il latte e i formaggi con un danno per la nostra salute. È stata un’operazione condotta dalle multinazionali del cibo industriale per far posto agli oli di semi e alle margarine».
Ma si può recuperare in età adulta il tempo perduto?
«Una tavola equilibrata e sana è sempre possibile. Ciò vuol dire più frutta e verdura, latticini freschi bianchi non magri, magari di capra o pecora. Per le proteine largo a legumi, uova e pesce, soprattutto quello piccolo pescato, non di allevamento. Per la carne è difficile trovare polli che non vengano da allevamenti intensivi, più facile reperire carne rossa di qualità. I cibi precotti sono da evitare perché ultra lavorati».
Grassi, formaggi, uova, legumi. Cibi che compaiono poco nelle diete ipocaloriche.
«Quando si mangia sano con alto contenuto di vitamine, minerali e fibre, il corpo si regola con le quantità, subentra una sensazione di sazietà. Con i cibi ultraprocessati permane il senso di fame. La carne rossa si può mangiare con moderazione. Certo poi è essenziale l’attività fisica, almeno 8.000 passi al giorno».
E il vino lo concede?
«Alcuni studi mettono in relazione l’alcol ai tumori e di certo nuoce al cervello. Il vino però ha la caratteristica di essere un fluidificante delle membrane cellulari e può proteggerci dal rischio di infarto. La dose da non superare è un bicchiere al giorno per le donne, due per gli uomini».
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Ambiente e abitudini contano molto più dei geni. Le basi per una vecchiaia sana si mettono durante l’infanzia. Ma per chi è già nella mezza età non è troppo tardi.La nutrizionista Debora Rasio: «Uova, fegato, pesce e latte erano pilastri per i nostri avi. Coi cibi ultra processati ci priviamo di nutrienti. La carne? Più facile trovare quella rossa di qualità».Lo speciale contiene due articoli.È in aumento la speranza di vita in Italia, ma quasi il 20% degli anni sono segnati da limitazioni e malattia. Secondo i report Bes 2023 dell’Istat, l’attesa media di vita è di 83,1 anni, quasi un anno in più rispetto al 2022 (82,3). Per gli uomini il valore è di 81,1 anni mentre per le donne è di 85,2. Ma è il dato sulla speranza di vita in buona salute ad essere particolarmente interessante. Nel 2023 è pari a 59,2 anni, in riduzione rispetto ai 60,1 anni del 2022, ma in linea con il 2019: il dato anomalo, secondo gli esperti, sarebbe dovuto al Covid. Quasi vent’anni di vita sono quindi seganti da limitazioni fisiche, dalla presenza di almeno una patologia, situazione che interessa l’85% degli over 75. Attualmente un quarto della popolazione italiana ha più di 65 anni con implicazioni socio-sanitarie non indifferenti, specie in prospettiva, considerando che l’80% del budget sanitario è per le malattie croniche. Come campare cent’anni in salute? Se le patologie cardiovascolari sono la prima causa di morte, tra le patologie che minacciano la salute negli ultimi anni di vita, una delle più comuni e gravi è il cancro: circa una persona su 5 lo sviluppa e la metà delle diagnosi riguarda persone con più di 70 anni. È ormai consolidato che si può agire su buona parte dei fattori che causano queste patologie e dati recenti puntano i riflettori su ambiente e condizioni socioeconomiche, più che di Dna.Chi nasce a Bolzano può beneficiare di quasi 14 anni anni in più (13,7 per l’esattezza) di vita in buona salute di chi invece nasce in Basilicata (66,5 anni di vita senza malattie contro 52,8). Ma quanto contano i geni? Lo rivela uno studio pubblicato in queste settimane su Nature Medicine realizzato da ricercatori di Oxford per svelare il dilemma su cosa influisca sulla longevità tra Dna e stile di vita. Per rispondere hanno attinto alla Uk Biobank, che contiene le informazioni sulla salute di mezzo milione di cittadini inglesi aggiornate anche per decenni di seguito, incluse le abitudini alimentari, di sonno e di attività fisica, malattie dell’infanzia, condizioni socioeconomiche, familiari e le cause di morte. Per ciascun soggetto censito, i ricercatori hanno tracciato il profilo del rischio di ammalarsi, incrociando i geni con 164 tra fattori ambientali e stili di vita: dal fumo alla convivenza con un partner, dal peso all’età di 10 anni all’uso di apparecchi elettronici. In un decimo del campione è stata inoltre fatta l’analisi dell’orologio dell’invecchiamento, un test del sangue che, in base all’esame di 204 proteine, definisce lo stato di usura dei vari organi prima ancora che mostrino sintomi di malattia. Correlando i dati tra geni, stili di vita e livello di usura degli organi, è emerso che abitudini e ambiente impattano di più sulla durata della vita del patrimonio genetico con un valore del 17% contro il 2% del Dna. Poche le sorprese sui fattori di rischio che incidono di più sulla longevità. Al primo posto c’è il fumo, legato all’insorgere di 21 delle 22 malattie considerate nello studio. Al secondo posto ci sono condizioni socioeconomiche come il possedere una casa, alloggiare in affitto o dover pagare un mutuo, avere un contratto di lavoro stabile, vivere in condizioni di povertà. L’effetto sulla salute di queste variabili, che hanno a che fare su questioni di reddito, è molto grande: riguarda la prevenzione di 19 malattie. L’attività fisica moderata è al terzo posto ed è implicata nel ridurre il rischio di 17 patologie. Lo sport ad alta intensità, invece, produce un effetto contrario: sarebbe implicato lo stress ossidativo da troppo lavoro cellulare in grado a velocizzare l’invecchiamento. Lo studio di Oxford evidenzia anche l’impatto dei vari fattori nell’infanzia nell’allungare o accorciare la vita. La probabilità di invecchiare in salute, per esempio, si abbassano se si ha una madre che fuma nei primi anni di vita del figlio. C’è poi una rivincita per i bambini che a 10 anni possono soffrire per essere più bassi e pesare meno rispetto alla media: vivono mediamente di più di quelli più alti e grossi. Anche il carattere rientra tra i fattori che erodono la durata media della vita: la poca vitalità e il poco entusiasmo ridurrebbero non solo la qualità, ma anche la quantità di anni da vivere. Dormire più di 9 ore o meno di 7 è associato a una vita più breve, come anche l’abitudine al pisolino pomeridiano. Al contrario, un titolo di studio elevato, il numero di automobili possedute, come indice di ricchezza, e convivere con un partner - ma non con persone diverse dal partner - favorirebbero una una vecchiaia prolungata. Considerando i singoli organi, gli stili di vita si rivelano particolarmente influenti sulla salute di polmoni, cuore e fegato. Il Dna ha però degli organi su cui esercita maggior potere. Le mutazioni ereditate dai genitori fanno la differenza nel rischio di ammalarsi di demenza e di alcuni tipi di cancro, soprattutto a seno, ovaie, prostata e colon-retto.Varie ricerche sostengono che invecchia più in salute e rallenta lo sviluppo delle malattie, chi comincia sin da giovane ad avere uno stile di vita sano, evitando fumo e sovrappeso, principali fattori di rischio di cancro e malattie cardio-metaboliche. C’è però speranza anche per chi inizia nella mezza età. Uno studio pubblicato nel 2024, che ha analizzato gli stili di vita di oltre 276.000 veterani statunitensi di età compresa tra i 40 e i 99 anni rispetto a una serie di 8 comportamenti definiti sani - dieta equilibrata, regolare attività fisica e sonno, gestione dello stress, relazioni forti, niente fumo o abuso di alcol e oppioidi - ha dimostrato che seguire tutti gli 8 consigli (tutti di buon senso) portava a un rischio significativamente più basso di mortalità prematura e a un’aspettativa di vita stimata dopo i 40 anni più lunga, fino a 24 in più rispetto a chi aveva abitudini meno sane. Già nel 2018 un altro studio americano aveva evidenziato che l’adesione a 5 fattori di stile di vita a basso rischio - non fumare, peso sano, attività fisica regolare, dieta sana e consumo moderato di alcol - potrebbe prolungare la speranza di vita a 50 anni di 14 anni per le donne e di 12,2 anni per gli uomini, rispetto a chi non ha adottano nessuno di questi fattori. Ci sono poi benefici che valgono sempre: smettere di fumare si traduce in un vantaggio in termini di potenziali anni di vita sia che si smetta a 35 anni che a 75 anni.A sbaragliare apparentemente le carte ci sono delle ricerche che rivelano come molte persone con vite eccezionalmente lunghe non abbiano abitudini più salutari rispetto alla media degli americani con tassi inferiori di malattie legate all’età, come patologie cardiache, cancro e demenza. In questo caso ad essere implicati sembrano esserci dei geni rari, presenti in meno dell’1% della popolazione, in grado di ritardare o evitare le malattie in misura maggiore rispetto a chi vive di meno. 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Se la nostra aspettativa di vita è in aumento, non si può dire altrettanto sulla qualità dell’invecchiamento, nel senso che le malattie croniche sono sempre più precoci. La salute è una traiettoria che nasce da prima del concepimento. Lo stile di vita dei genitori programma la salute dei figli. Le nuove generazioni stanno ereditando programmi epigenetici che le rendono più vulnerabili a molte forme di malattia». I giovani sono più vulnerabili di genitori e nonni? «Nel passare delle generazioni c’è stato un impoverimento nutrizionale. Magari si mangia di più ma ciò che mettiamo a tavola è povero di nutrienti. Mi riferisco alla diffusione dei cibi trasformati a livello industriale». Pure il pane è trasformato? «Proprio così. Può contenere tanti ingredienti occulti. Si possono aggiungere fino a 40 sostanze chimiche per migliorare le farine, che non devono essere nemmeno riportate in etichetta. Il rischio di morire precocemente aumenta del 16% per ogni porzione in più consumata giornalmente di alimenti ultra trasformati. Questi sono all’origine di obesità, malattie cardiovascolari e tumori. Non solo non nutrono ma apportano tossicità al microbiota che contribuisce alla nostra salute. Non mi stancherò mai di ripeterlo: i primi anni di vita sono fondamentali per programmare le piste metaboliche che rimarranno accese per tutta la vita. La carenza di grassi buoni, vitamine e minerali, - insieme all’eccesso di proteine - altera profondamente i meccanismi di regolazione del metabolismo, dell’appetito e dell’infiammazione. Oggi, nel cuore del mondo occidentale, si sta diffondendo una pandemia silenziosa: la malnutrizione di micronutrienti. Subdola e potente, apre le porte alle malattie che affliggono la nostra epoca: i disturbi del neurosviluppo, la neurodegenerazione, le malattie cardiovascolari, i tumori, il diabete. Non a caso nei popoli primitivi c’erano veri e propri protocolli nutrizionali per i futuri genitori che iniziavano sei mesi prima del matrimonio e prevedevano un’abbondanza di cibi ricchi di grassi e di vitamine liposolubili. Uova, fegato, pesce, latte, erano i pilastri dell’alimentazione dei nostri avi. Ora si preferisce il latte scremato e lo yogurt magro. Le uova? Non più di 2-4 a settimana. La campagna massiccia contro i grassi sani ha tolto dalle tavole il burro, il latte e i formaggi con un danno per la nostra salute. È stata un’operazione condotta dalle multinazionali del cibo industriale per far posto agli oli di semi e alle margarine». Ma si può recuperare in età adulta il tempo perduto? «Una tavola equilibrata e sana è sempre possibile. Ciò vuol dire più frutta e verdura, latticini freschi bianchi non magri, magari di capra o pecora. Per le proteine largo a legumi, uova e pesce, soprattutto quello piccolo pescato, non di allevamento. Per la carne è difficile trovare polli che non vengano da allevamenti intensivi, più facile reperire carne rossa di qualità. I cibi precotti sono da evitare perché ultra lavorati». Grassi, formaggi, uova, legumi. Cibi che compaiono poco nelle diete ipocaloriche. «Quando si mangia sano con alto contenuto di vitamine, minerali e fibre, il corpo si regola con le quantità, subentra una sensazione di sazietà. Con i cibi ultraprocessati permane il senso di fame. La carne rossa si può mangiare con moderazione. Certo poi è essenziale l’attività fisica, almeno 8.000 passi al giorno». E il vino lo concede? «Alcuni studi mettono in relazione l’alcol ai tumori e di certo nuoce al cervello. Il vino però ha la caratteristica di essere un fluidificante delle membrane cellulari e può proteggerci dal rischio di infarto. La dose da non superare è un bicchiere al giorno per le donne, due per gli uomini».
David Neres festeggia con Rasmus Hojlund dopo aver segnato il gol dell'1-0 durante la semifinale di Supercoppa italiana tra Napoli e Milan a Riyadh (Ansa)
Nella prima semifinale in Arabia Saudita i campioni d’Italia superano 2-0 i rossoneri con un gol per tempo di Neres e Hojlund. Conte: «Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza». Allegri: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà».
È il Napoli la prima finalista della Supercoppa italiana. All’Alawwal Park di Riyadh, davanti a 24.941 spettatori, i campioni d’Italia superano 2-0 il Milan al termine di una semifinale mai realmente in discussione e torneranno lunedì nello stadio dell’Al Nassr per giocarsi il primo trofeo stagionale contro la vincente di Bologna-Inter, in programma domani sera.
Decidono un gol per tempo di Neres e Hojlund, protagonisti assoluti di una gara che la squadra di Antonio Conte ha interpretato con maggiore lucidità, intensità e qualità rispetto ai rossoneri. Il pubblico saudita, arrivato a scaglioni sugli spalti come da consuetudine locale, si è acceso soprattutto per Luka Modric durante il riscaldamento, più inquadrato sugli smartphone che realmente seguito sul campo, ma alla lunga è stato il Napoli a prendersi scena e risultato. Un successo meritato per i partenopei che rispetto al Milan hanno dimostrato di avere più idee e mezzi per colpire.
Conte ha scelto la miglior formazione possibile, confermando il 3-4-2-1 con l’unica eccezione rispetto alle ultime gare di campionato che riguarda il ritorno tra i titolari di Politano al posto di Lang. Davanti la coppia McTominay-Neres ad agire alle spalle di Hojlund. Ed è stato proprio il centravanti danese uno dei protagonisti del match e della vittoria del Napoli, mettendo lo zampino in entrambi i gol e facendo impazzire in marcatura De Winter. L’ex difensore del Genoa è stato scelto da Allegri come perno della difesa a tre per sostituire l'infortunato Gabbia, un’assenza che alla fine dei conti si è rivelata più pesante del previsto. Ma se quella del difensore centrale era praticamente una scelta obbligata, il turnover applicato in mezzo al campo e sulla corsia di destra non ha restituito gli effetti desiderati. Nel solito 3-5-2 hanno trovato spazio dal primo minuto anche Jashari e Loftus-Cheek, titolari al posto di Modric e Fofana, ed Estupinan per far rifiatare Bartesaghi, uno degli uomini più in forma tra i rossoneri.
Il Napoli ha preso infatti fin da subito l’iniziativa, con Elmas al tiro già al 2’ e con Maignan attento a bloccare senza problemi. Il Milan ha poi avuto due ghiotte occasioni: al 5’ sugli sviluppi di una rimessa laterale Pavlovic ha tentato una rovesciata, il pallone è arrivato a Loftus-Cheek che, solo davanti a Milinkovic-Savic, ha mancato incredibilmente l’impatto; al 16' Saelemaekers ha sprecato calciando alto da buona posizione. È l’illusione rossonera, perché da quel momento sono i partenopei a comandare il gioco. Al 32' McTominay ha sfiorato il vantaggio con un destro di prima poco fuori, mentre Nkunku al 37’ ha confermato il suo momento negativo non inquadrando nemmeno la porta a conclusione di un contropiede che poteva cambiare la partita. Partita che è cambiata in maniera decisiva due minuti dopo, al 39’, quando è arrivato il gol che ha sbloccato la semifinale: da un'azione insistita di Elmas sulla sinistra, il pallone è arrivato a Hojlund il cui tiro in diagonale ha messo in difficoltà Maignan. La respinta troppo corta del portiere francese è finita sui piedi di Neres, il più rapido ad avventarsi sul pallone e a depositarlo in rete. Il Napoli è andato vicino al raddoppio già prima dell’intervallo con un altro contropiede orchestrato da Elmas e concluso da Hojlund, su cui Maignan ha dovuto compiere un mezzo miracolo.
Nella ripresa il copione non è cambiato. Rrahmani ha impegnato ancora Maignan da fuori area, poi al 64’ è arrivato il 2-0 che ha chiuso la partita: Spinazzola ha affondato a sinistra e servito Hojlund, veloce e preciso a finalizzare con freddezza, firmando così una prestazione dominante contro un De Winter in grande difficoltà. Allegri ha provato a cambiare volto alla gara passando al 4-1-4-1 con l’ingresso di Fofana e Athekame, ma il Milan non è riuscito di fatto mai a rientrare davvero in partita. Anzi. Al 73' uno scatenato Hojlund ha sfiorato la doppietta personale. Poi, al 75', il Milan ha regalato alla parte di stadio rossonera la gioia più grande di tuta la serata, ovvero l'ingresso in campo di Modric. Il croato è entrato tra gli applausi del pubblico, ma è solo una nota di colore in una serata che resta saldamente nelle mani del Napoli. Nel finale spazio anche a qualche tensione, sia in campo che in panchina. Prima le scintille tra Tomori e McTominay, ammoniti entrambi da Zufferli. Poi, in pieno recupero, un battibecco verbale tra Oriali e Allegri. E mentre scorrevano i sette minuti di recupero concessi dal direttore di gara, accompagnato dal coro dei tifosi sauditi di fede azzurra «Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi», è arrivato il verdetto definitivo.
Nel post partita Massimiliano Allegri ha riconosciuto i meriti degli avversari: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà». Sull’eliminazione da Coppa Italia e Supercoppa è stato netto: «Siamo dispiaciuti, ma il nostro obiettivo resta la qualificazione in Champions, che è un salvavita per la società». Di tutt’altro tono Antonio Conte, soddisfatto della risposta della sua squadra: «Battere il Milan fa morale. Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza. Con energia, anche in emergenza, siamo difficili da affrontare». Parole di elogio per Hojlund: «Ha 22 anni, grandi margini di crescita e oggi è stato determinante. Sta capendo sempre di più quello che gli chiedo».
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