2025-10-23
Militari al fronte, Nato, riarmo. Il campo largo torna campo minato
Angelo Bonelli con Elly Schlein (Ansa)
La politica estera squassa le opposizioni: il Pd vuole l’Italia in missione, Iv lo dice e poi nega, 5 stelle e Avs esigono lo stop agli aiuti per Zelensky. Bonelli critica l’Alleanza atlantica, la Picierno attacca i contiani.Nel campo largo ci sono poche idee ma confuse. Al Pd, o almeno a un pezzo del Pd, non basta il sostegno a Kiev espresso da Giorgia Meloni. Il senatore Filippo Sensi lo snobba: è «un gargarismo». «Niente nostri militari in Ucraina e niente interventi su asset russi», lamenta. Dunque, i dem vorrebbero spedire i soldati italiani al fronte? Inseguendo - lo suggerisce l’onorevole Alessandro Alfieri - i volenterosi, aizzati dai decotti Emmanuel Macron e Keir Starmer?Anche Francesco Boccia, capo della delegazione del Nazareno a Palazzo Madama, s’indigna: sull’Ucraina, tuona, si sentono «solo parole». Simona Malpezzi pretende che il premier rifiuti la «pace rapida» di Donald Trump. Difende i confini nel Donbass, li attraversa in Aula: alla fine, vota con la maggioranza, con Carlo Calenda e con l’altro centrista, Marco Lombardo, una risoluzione presentata da Azione. Un po’ rimaneggiata per sfumarne i toni su Russia e Gaza.Le tesi dei renziani generano equivoci. La Meloni, durante il dibattito in Senato, li accusa di essere favorevoli all’invio di truppe. Davide Faraone la smentisce. Nella risoluzione del partito si fa cenno a «ogni supporto politico, difensivo, economico, umanitario, diplomatico» a Kiev, «anche attraverso la nomina di un inviato speciale per la pace». Uno dei pallini di Matteo Renzi era incaricare Angela Merkel. Fatto sta che Enrico Borghi, nel suo intervento, rimprovera all’esecutivo di aver manifestato la disponibilità a spedire un contingente a Gaza, «su mandato Onu e con regole d’ingaggio chiare», ma di non essere pronto a compiere «analoga scelta in Ucraina, da cui ci chiamiamo fuori». Mistero: se, come giura Faraone, Iv non vuole mandare i nostri soldati nel Donbass, di cosa si lamenta il suo collega Borghi? A Meloni viene facile rigirare il dito nella piaga: «Sull’invio delle truppe in Ucraina, mi pareva una delle poche cose sulle quali questo Parlamento era d’accordo»; al contrario, «neanche su questo, nel cosiddetto campo largo, esiste una posizione unitaria».Dall’altra parte della barricata, si agita la sinistra radicale. Quella che sarebbe quasi entrata in guerra con Israele in nome della Flotilla ma che, in Europa orientale, riscopre il pacifismo. Il Movimento 5 stelle ribadisce il proprio scetticismo verso il sostegno a oltranza alla resistenza. Invoca «un netto cambiamento nell’approccio dell’Unione europea e degli Stati membri alla risoluzione della crisi ucraina» e domanda di «interrompere immediatamente la fornitura di materiali d’armamento alle autorità governative ucraine». Sono più o meno gli stessi punti presentati da Avs, desiderosa di «definire un riorientamento della politica dell’Unione verso la diplomazia e l’allentamento delle tensioni», nonché di «costruire le condizioni per una conferenza multilaterale per la pace in Ucraina». Un modo elegante per dire: meno Trump, più Cina. La formazione di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni auspica «la fine della fornitura nazionale di equipaggiamento militare all’Ucraina» e raccomanda di «sollevare in Consiglio europeo la necessità di interrompere anche il ricorso all’European peace facility a questo fine». Di più: per il tandem ultraprogressista, è tempo di «riaggiornare» la «valutazione sul rapporto con le alleanze militari esistenti, a partire dalla Nato». Di nuovo: voltare le spalle agli Stati Uniti e spalancare le braccia a Pechino?In verità, la Meloni ha presente che nella Nato non tutto funziona alla grande. Il premier spera di rafforzarne «il pilastro europeo», «complementare a quello nordamericano», mantenendo però - è la differenza con gli avventurieri di Avs - «il vincolo transatlantico come orizzonte imprescindibile per la nostra nazione e l’intera Europa». Su questo, si spera, anche il Pd, o almeno un pezzo del Pd, concorderà. L’inquilina di Palazzo Chigi, tuttavia, non intende mollare l’osso sulla questione delle frontiere meridionali, che Mark Rutte, segretario generale dell’Alleanza, aveva provato a liquidare facendo ammuina sui missili russi puntati contro le capitali del Vecchio continente. «Tutti sosteniamo la necessità di proteggere il fianco Est», insiste la Meloni, «ma non possiamo permettere che si perda di vista il fianco Sud».La linea del presidente del Consiglio può non piacere; comunque, ha il pregio della chiarezza. Quella della sinistra, più o meno unita solo sull’ostilità a Israele ma ormai superata dalla Storia, è schizoide: chi spedirebbe i militari in Ucraina; chi lancia il sasso e nasconde la mano; chi non darebbe più armi a Zelensky; chi resterebbe nella Nato; chi preferirebbe affidarsi a Xi Jinping, se non ad Hamas; chi spinge per il riarmo; chi lo boccia e si batte il petto per il welfare depauperato; chi vota una risoluzione insieme al centrodestra e a una transfuga del Pd. Sia al Senato sia alla Camera, le opposizioni viaggiano in ordine sparso. Mentre, al Parlamento Ue, Pina Picierno attacca il M5s, contrario alla risoluzione che dà del dittatore al bielorusso Aljaksandr Lukashenko: «Vorrei chiedere ai tanti miei compagni fulminati sulla via del “campo largo”», si sfoga sui social, «cosa pensano». Esaurito l’effetto Netanyahu, il campo largo è ridiventato un campo minato.
La Guerra in Ucraina, il disarmo di Hamas e le persone che scompaiono durante i conflitti.